Caro lettore, cara lettrice,
sul cammino di Gerusalemme, il 30 settembre scorso, c’erano anche Matteo Renzi e François Hollande convenuti qui per le esequie di Shimon Peres. Dall’alto del Monte Herzl, insieme a una sessantina di altri capi di stato, Hollande e Renzi guardavano Gerusalemme e le sue pietre, con la certezza della sua millenaria storia biblica e l’evidenza di scoperte archeologiche che ogni giorno illuminano il passato ebraico di questi luoghi. Come ad esempio l’ultima, presentata pochi giorni fa con una conferenza stampa alla Hebrew University (e perfettamente collimante con i testi di Flavio Giuseppe): ovvero l’esatto luogo della breccia aperta sul muro di cinta della Gerusalemme erodiana dalle legioni romane al momento della Grande Rivolta del 66 d.E.V., rivolta che portò alla distruzione del Secondo Tempio. Eccoli lì i resti della battaglia accanita e dell’irruzione dei romani sulla via del Monte del Tempio, resti di mura, torri, catapulte e decine di massi rotondi lanciati per buttar giù le difese dei ribelli. Ogni mese, quaggiù, non si contano più le evidenze archeologiche e le scoperte di antichità giudaiche, bibliche, asmonee, erodiane.
Eppure Francia e Italia hanno fatto finta di non saperlo, pronte a esibire il più scandaloso silenzio quando si sono astenute al voto della mozione Unesco denominata “Palestina occupata”, con cui si è negato, il mese scorso, in via definitiva, qualsiasi legame tra il Monte del Tempio, l’ebraismo e il cristianesimo. Tra le tante cose, la mozione cancellava i nomi ebraici da tutti i luoghi del Monte del Tempio per mantenere solo quelli in arabo. Su questo testo ignominioso si è ormai scritto di tutto, un testo che falsifica la storia, nega il legame ancestrale tra Gerusalemme e il popolo ebraico, cedendo, una volta di più, alle pressioni e al terrorismo intellettuale degli stati arabi e dell’Autorità palestinese. Voglio qui ricordare che Inghilterra, Olanda, Stati Uniti, Germania, Lituania e Estonia avevano votato contro. Speravamo in una Italia e Francia più coraggiose nel rigettare questo testo buffone. Mai avremmo pensato che, in sede di voto definitivo, avrebbero scelto l’astensione avallando così la vocazione perversa dell’Unesco alla delegittimazione di Israele. Perché, ovviamente, di questo si tratta.
Una delegittimazione che corre in parallelo con la demonizzazione di Israele e col nuovo antisemitismo europeo di matrice arabo-musulmana e la sua esplosione demografica in terra d’Europa. Un antisemitismo che rialza la testa, come ci fa notare il recente saggio dello storico Pierre Andrè Taguieff (Il Razzismo, Cortina editore), che si ripresenta con i vetusti schemi della storia europea e con una attualizzazione dei vecchi stereotipi antigiudaici che oggi si innestano sul rapporto con Israele. Un antisemitismo negato e strisciante, perciò tanto più pericoloso (vedi intervista a Georges Bensoussan a pag. 14). Accanito contro le “turpitudini” dello stato di Israele, il mondo intellettuale europeo ha sempre subito una bizzarra fascinazione per i totalitarismi, da Stalin ai kmer rossi, dal castrismo alla nebulosa arabo-islamica, tutti regimi bellamente ignari di qualsivoglia diritto umano. Inutilmente, opinionisti e intellettuali europei potranno a lungo continuare a negare la realtà del nuovo antisemitismo arabo. La storia dell’antisemitismo è quella del canarino e della miniera. Come diceva Walter Benjamin, possiamo scacciare e nascondere la realtà finché vogliamo, ma prima o poi lei torna e si vendica.
Fiona Diwan