di Ilaria Ester Ramazzotti
Yakir Avraham, israeliano residente a Berlino, lo scorso 24 febbraio era andato in una filiale della banca Sparkasse nella zona di Alexanderplatz per aprire un conto corrente. Ma l’addetta allo sportello, dopo aver preso il suo passaporto al fine di istruire la pratica, se l’è portato in un altro locale per controllarlo. E tornata dopo pochi minuti gli ha detto: “Mi dispiace molto, ma non possiamo aprire un conto per lei, non ci è permesso di aprirlo ai cittadini dei Paesi sotto embargo”.
“In un primo momento mi sono sentito sotto shock – ha riferito a Yakir Avraham a Ynet News, che lo ha riportato lo scorso 8 marzo -. Come si è arrivati al punto che ci trattano come i lebbrosi? Ho preso il mio passaporto e ha lasciato la banca”.
Il quotidiano israeliano Ynet News, rivoltosi alla dirigenza di Sparkasse per chiedere se ci fosse una politica della banca specifica riguardo a Israele e che cosa intendesse per “Paese sotto embargo”, ha raccolto le scuse e un chiarimento, dopo un’indagine aziendale interna durata due settimane. “Tutto quello che possiamo fare è chiedere scusa”, ha poi dichiarato l’istituto bancario tedesco, fra i più grandi in Germania, chiarendo che non vi è alcuna politica ufficiale a riguardo e che si è trattato di un errore della cassiera.
“E ‘chiaro che questa non è la nostra politica aziendale – ha sottolineato Sparkasse in un comunicato -. Si è trattato di uno spiacevole errore commesso da una giovane collega che è ancora in fase di formazione e che non sapeva come affrontare la situazione in modo corretto. Lei si scusa profondamente per l’accaduto. Noi speriamo che il signor Avraham accetti la spiegazione e le scuse”.