di Marina Gersony
Si chiama Chaim Miller, è nato 93 anni fa a Vienna ed è un cacciatore di nazisti. Oggi vive in Israele nel Kibbutz Kfar Menahem. Sposato con figli e nipoti, la sua storia l’ha già raccontata varie volte ma non perde occasione per ripeterla, come se volesse imprimerla nella memoria collettiva. È di questi giorni l’intervista che ha rilasciato a Philip Peyman Engel, redattore della Jüdische Allgemeine.
Membro della Brigata ebraica (Jewish Infantry brigade Group), Miller è il protagonista – probabilmente l’ultimo ancora in vita – dell’Operazione Nakam (vendetta). La Brigata, suddivisa in gruppi di otto/dieci persone che agivano indipendentemente tra di loro, era fortemente motivata a scovare i nazisti che si erano macchiati di atti criminali (o di persone che in qualche modo avevano collaborato con loro), catturandone e giustiziandone molti, anche se il numero non è mai stato precisato. Operavano in tutta la Carinzia, dal Tirolo orientale (Lienz) a Vienna. Tarvisio, in particolare, era diventato un punto di transito di migliaia di ebrei che fuggivano da ogni angolo d’Europa per raggiungere il Mediterraneo e poi la Palestina.
Racconta Miller: «Noi li vedevamo passare e apprendevamo le atrocità che avevano dovuto subire. Già quando eravamo in Palestina, dove ci stavamo formando come Brigata ebraica, avevamo avuto notizia delle persecuzioni naziste, ma la realtà che ci veniva riferita da questa gente in fuga superava ogni immaginazione. L’idea di farla pagare ai nazi criminali è nata così. Del resto le autorità britanniche che presidiavano la Carinzia non muovevano un dito per punirli». Miller entra nei dettagli e racconta come si svolgevano le esecuzioni: «Il primo uomo delle SS l’ho ucciso dopo la guerra nel 1945, in Italia. Era un nazista di Vienna, la mia città natale, che aveva fatto stragi durante la Shoah. Quando l’ho rapito, l’ho portato in un bosco e l’ho messo di fronte alle sue azioni. Ha ammesso tutto. Era come se provasse sollievo a parlare finalmente con qualcuno di quello che aveva fatto. A quel punto ho emesso il verdetto, lui ha scavato una fossa e si è inginocchiato con la docilità e la consapevolezza di chi deve compiere il proprio dovere fino alla fine. È morto prima che potesse sentire il botto».
Miller racconta che l’idea di giustiziare i nazisti è stata sua e dei suoi amici: «Erano tutti ebrei e i nazisti avevano ucciso molti dei nostri familiari. Mia madre, per esempio, fu deportata a Riga e l’hanno fucilata in una foresta. Dicono sempre che la vendetta sia un male pari a un’ingiustizia subita. È una sciocchezza. A me la vendetta ha aiutato». Alla domanda se prova sensi di colpa, risponde risoluto di no, mai: «Non mi pento di un solo colpo – afferma -. Io non sono orgoglioso di quello che ho fatto, ma avrei dovuto uccidere ancora più nazisti. Questi uomini portano sulle spalle una colpa inimmaginabile. Non rimpiango niente, ogni mia azione la sottoscrivo e la rifarei, anzi, sono dispiaciuto di non averne giustiziati di più. Se non fossi così vecchio continuerei a fare quello che ho sempre fatto».
Nel 1945 la Brigata ebraica ha ascoltato, giudicato e giustiziato qualche centinaia di nazisti di altro grado e di soldati delle SS. Quanti ne abbia ammazzati davvero Chaim Miller non si sa.