di Fiona Diwan
Lo scrittore Josè Saramago ha paragonato l’occupazione israeliana dei territori palestinesi ad Auschwitz, ciononostante non gli è stato certo negato il premio Nobel per la Letteratura. Lo storico e giornalista italiano Massimo Fini ha spezzato più di una lancia in favore di Erich Priebke, scrivendo che semplicemente Priebke obbediva agli ordini e alle regole della guerra, ma ben pochi hanno avuto qualcosa da ridire. E poi c’è il professor Gianni Vattimo, filosofo ed europarlamentare dell’Italia dei Valori, che inneggia alla bomba atomica per l’Iran, che chiede il boicottaggio degli scrittori israeliani alla fiera del libro di Torino, che dice che Israele è l’industria dell’Olocausto e gli ebrei italiani sono accecati dal sionismo- e qui qualche levata di scudi, per fortuna, l’abbiamo vista -.
O ancora, il matematico e scrittore Piergiorgio Odifreddi, che considera le camere a gas “un’opinione” e che ha suscitato la reazione irritata di Beppe Severgnini: dal suo blog Italians, Severgnini lo accusa di ostinazione, di ego ipertrofico, di voler difendere l’indifendibile. Cattivi maestri, ancora, come l’israeliano e professore universitario Schlomo Sand che in un saggio, L’invenzione del popolo ebraico, sostiene che il popolo d’Israele è una bufala, che non esiste né sul piano antropologico, né storico, né culturale e che pertanto la pretesa degli ebrei di accedere a una propria sovranità politica, come qualsiasi altra nazione, è infondata e lo Stato di Israele non ha ragione di essere.
«I cattivi maestri? Ci sono e ci saranno sempre. Ma diciamo la verità: un Cattivo Maestro è spesso un ignorante, punto e basta. Quando intellettuali e scrittori come Gianni Vattimo, Piergiorgio Odifreddi o Josè Saramago si scagliano contro Israele, e fanno paragoni tra Israele e il nazismo, e negano l’esistenza delle camere a gas o danno dignità ai Protocolli dei savi di Sion, in verità non ne sanno nulla, straparlano, vogliono farsi pubblicità sparandola grossa. A Vattimo mancano gli elementi base di una cultura storica specifica, i fatti sulla Shoah e su Israele; Saramago non ha la benché minima competenza sul tema e Odifreddi è uno che nei suoi libri fanfaroneggia in maniera imbarazzante. Pensi che, nel suo parossismo anticlericale e ateistico, si è persino inventato che le parole cristiano e cretino hanno la stessa origine etimologico-linguistica, cosa falsa! Insomma, ciò che preme a costoro è costruirsi un profilo luciferino, affascinare e sedurre con un pensiero fintamente oltranzista, far finta di svelare verità nascoste senza ahimè mai conoscere i fatti e voler davvero confrontarsi con essi». Usa parole dure e senza mezzi termini Pierluigi Battista, editorialista del Corriere della Sera, saggista e scrittore, autore tra l’altro del bel saggio Rizzoli, I conformisti, l’estinzione degli intellettuali d’Italia. Una penna acuminata, la sua, che ha per bersaglio proprio il conformismo, quel tradimento degli intellettuali che era già stato tema di indagine del pensatore francese Julien Benda: nel 1927 lo stigmatizzò nel suo Il Tradimento dei chierici, intellettuali non più “custodi dei valori” ma servi di regimi, ideologie e poteri politici. Ed è con la consueta stoffa del polemista che Battista parla di Saramago come affetto da “emiplegia intellettuale”, un pensiero doppio che «permette a chi lo pratica di sostenere simultaneamente due tesi opposte senza mai sentirsi in contraddizione, senza mai avvertire il sapore dell’incoerenza o i morsi dell’ipocrisia». Dove sono finiti, si chiede Battista nel suo libro, quei magnifici irregolari ed eterodossi, quei pensatori di frontiera come George Orwell e George Bernanos, Simone Weil e Albert Camus, Hannah Arendt, Ennio Flaiano, Alberto Arbasino, Dino Buzzati, gente che fu anche la coscienza critica del proprio tempo…? Morti e sepolti.
«Odifreddi straparla: usa un approccio matematico, ed espressioni come “non risulta che ci siano state le camere a gas, è un’opinione…”. Ma la Storia non è la matematica, non è la soluzione di un problema algebrico! E Vattimo fa propri i temi dell’antisemitismo contemporaneo (tipici del mondo arabo), li diffonde nelle aule universitarie senza pagare dazio, senza colpo ferire, e nessuno, a parte il mondo ebraico, che protesti! A nessuno di costoro fa specie che in Egitto vada in onda una soap sui Protocolli dei savi di Sion o che a Gaza si parli di “maiali ebrei”!».
NEGAZIONISTI E DINTORNI
È di poche settimane fa l’assoluzione del professore di storia di un liceo di Roma: Roberto Valvo aveva affermato in classe che Olocausto e campi di concentramento non erano veri e che i filmati sulle deportazioni erano falsi, fatti anni dopo e non nel periodo storico originario. Ha messo in discussione il numero dei morti, dicendo che i sei milioni non erano sicuri, che la stima era errata. E che durante la guerra tutti erano magri, non solo chi era nei campi di concentramento. Che senso ha oggi tornare a usare l’espressione Cattivo Maestro?
«Non amo molto questa espressione anche se credo oggi vada di nuovo resuscitata. È il residuo di un’epoca in cui lo stravolgimento delle idee era un pericolo reale e aveva una grande influenza sull’opinione pubblica. In epoche come l’800 e fino al 1970 del XX secolo, il potere e l’influenza degli intellettuali sull’opinione pubblica erano infinitamente più grandi, i maitre-a-penser godevano di uno status, erano ascoltati e seguiti come oggi per noi sarebbe impensabile. Personalmente non amo abusare di questa espressione perché mette in luce una visione pedagogica della cultura, mentre io credo che la cultura sia qualcosa di caotico, eterodosso, non sistematico, e che a volte ci sono cattive letture che ci fanno molto bene. In genere, storicamente, i cattivi maestri sono stati portatori di una contro-dottrina, indicano ai loro seguaci un pensiero ispirato al paradosso e all’estremismo. Il cattivo maestro pensa soprattutto a sconcertare, stupire, ed è convinto, sotto sotto, che l’elaborazione intellettuale debba sfociare in un gesto distruttivo. Al di là delle idee, per loro ciò che conta è l’atto dello scandalo, il motto verbale che fa presa sulle persone più vulnerabili. Insomma i cattivi maestri spesso si riconoscono dal fascino, dal potere di seduzione e dal loro potenziale manipolativo. Invece di predicare l’equilibrio, l’assennatezza pacata, la responsabilità dei propri gesti e pensieri, i cattivi maestri spesso incitano a uno stile di pensiero radicale. e quasi sempre non hanno remore morali che possano frenare questo impulso, anche a costo di fare danni o usare la violenza. Quanti di noi, almeno una volta, in gioventù, non hanno subito il fascino di un pensiero apparentemente stupefacente, pieno di accostamenti avventurosi, sedotti da un pensiero falsamente eterodosso alla Beppe Grillo, per intenderci? Il problema è che prima o poi si finisce sempre tra le braccia della violenza, o per indicare un nemico da abbattere, e a cui negare il diritto ad esistere.
Qualunquismo? Intransigenza? Malafede? Cosa prevale?
«Il conformismo. Prevale l’intransigenza ideologica, il politicamente corretto, con i suoi tabù. Oggi non puoi dire, ad esempio, che non sei d’accordo sul velo delle donne, senza venire subito tacciato di islamofobia. La nostra società sta tornando dottrinaria e intollerante. Parlare male di Israele fa parte del manuale del politicamente corretto, è una forma di conformismo, un ritornello condiviso».
E la legge sul reato di negazionismo?
«Sono decisamente contrario. Sono un liberale e quindi resto nemico di qualsiasi legge introduca un nuovo reato d’opinione, per quanto qui si tratti di posizioni e pregiudizi raccapriccianti. Ma per quanto esecrabili siano, le idee negazioniste non possono essere sanzionabili penalmente.
Cosa pensi dell’ostracismo gettato dagli accademici inglesi nei confronti dei colleghi israeliani, considerati sgraditi nelle università britanniche?
«Storicamente la sinistra inglese e i conservatori non hanno mai amato Israele, e questo fin dai tempi del mandato Britannico sulla Palestina. Tra gli intellettuali, Ken Loach in testa, c’è sempre stata una potente ostilità verso Israele, considerato un elemento di disordine, instabilità, caos. Il grande pensatore inglese Isahia Berlin ha sempre riferito dell’insofferenza e della diffidenza dell’Accademia inglese verso gli ebrei».
Cosa pensi del caso di Moni Ovadia?
«Mi colpisce l’ebreo che si dissocia dagli altri ebrei in nome dell’ebraismo. Ovadia è l’esempio di un cantore di un mondo scomparso ma del tutto indifferente alla possibilità di scomparsa degli ebrei di oggi. Ha sposato la tesi dell’illegittimità della nascita dello Stato d’Israele in quanto oppressore dei palestinesi. E dice di parlare in nome della lotta all’oppressione. Non arriva ad augurarne la scomparsa ma non è disposto a spendere una sola parola per la sua esistenza, visto che pensa che sia indifendibile. Inoltre, sostiene quello che da sempre dicono gli antisemiti: ovvero che gli ebrei NON devono coltivare un rapporto speciale con Israele. “Siate italiani, francesi, inglesi e questo basta, lasciate Israele al suo destino!”, dicono.
Quale antidoto ai cattivi maestri?
«Semplice: non cedere mai nel confronto culturale. Essere pazienti, fare come lo storico francese Pierre Vidal Naquet che controbatteva con calma, sempre, lui che aveva perso entrambi i genitori ad Auschwitz, ai negazionisti non gliela dava mai vinta, continuava fino allo sfinimento, a costo di sembrare pedante, la lista dei fatti, delle date, degli episodi storici accertati, batti e ribatti, punto dopo punto, per confutare tutte le balle e le false notizie… Così si vince, con la pazienza e la determinazione di un caterpillar».