Salonicco, l’ombelico del mondo

Mondo

di Raffaele Picciotto

La crisi greca. Le ambizioni politiche turche. La rivoluzione in Siria. Il Mediterraneo Orientale sta assistendo a importanti cambiamenti geopolitici: la Turchia, una volta alleata di Israele ha voltato le spalle allo Stato Ebraico e sta cercando di costruire una rete di alleanze per  riattivare l’antica potenza Ottomana. La Grecia e Cipro, entrambe membri dell’Unione Europea, si stanno avvicinando ad Israele; lo abbiamo visto con l’episodio della nuova Flottiglia bloccata nei porti greci e lo vedremo nel prossimo futuro con l’inizio dello sfruttamento dei giacimenti di gas naturale da parte di Cipro e di Israele. Eppure, soltanto fino a meno di un secolo fa, quell’area fu il crogiolo magico e in equilibrio di mondi diversi che si fusero e si incontrarono. In particolare, vi è una città che ha rappresentato la sintesi perfetta della vita e delle relazioni degli Ebrei con Greci e Turchi (che allora si chiamavano Ottomani); è Salonicco.

Il viaggiatore di oggi che andasse a visitarla, troverebbe una città completamente diversa nella sua architettura e nella composizione della popolazione di quanto fosse stata agli inizi del XX secolo.

Infatti, sin da quando fu conquistata dai Turchi Ottomani e venne a far parte del loro impero, la città assunse il carattere tipico di una città Ottomana con moschee, minareti, strette viuzze, bazar con effluvi di spezie orientali e i tipici hammam. A dominare la vita della città fu, per molti secoli, la popolazione ebraica che fino alla conquista greca nel 1912, costituì la maggioranza degli abitanti. A tal punto che, di Sabato, il porto abitualmente brulicante di persone, restava deserto. La maggior parte degli ebrei era arrivata a Salonicco, dopo l’espulsione dalla Spagna; una minoranza proveniva dall’Italia, Francia e Germania (gli Ashkenaziti) e si era aggiunta ai pochi Ebrei preesistenti (i Romanioti). Erano organizzati in congregazioni indipendenti (Kahal Kadosh), che assumevano la denominazione dell’area di provenienza (ad esempio: Apulia, Sicilia, Majorca, Lisbona…). La lingua parlata era il Judezmo (o Ladino), derivata dal castigliano del XV secolo. A metà del XVII secolo, la comunità fu scossa dalla predicazione di Shabbetai Zvi, un ebreo di Izmir (Smirne), che si proclamò Messia annunciando la volontà di deporre il Sultano. Portato davanti al Sultano stesso e posto davanti all’alternativa di avere la testa mozzata o convertirsi all’Islam, scelse quest’ultima soluzione.

Molti seguaci furono delusi dagli avvenimenti, ma un certo numero di questi scelsero di convertirsi all’Islam, pur seguendo in segreto alcune pratiche dell’Ebraismo. I Turchi li chiamarono donmeh (voltagabbana), mentre loro si chiamarono maa’ minim (credenti) e formarono delle importanti comunità a Salonicco; ad un certo punto il numero dei maa’minim era equivalente a quello degli ebrei “rabbinici”. Oggi, ormai, vi sono poche tracce della loro presenza; il monumento più importante è la Yeni Djami, una moschea con i Maghen David intagliati all’interno.

Nel 1878, con la nascita dello stato di Bulgaria a poca distanza, cominciò a sgretolarsi anche il mondo ottomano di Salonicco; un nuovo confine era ormai a poca distanza dalla città.

Anche l’Impero Ottomano stava profondamente mutando, al suo interno: a Salonicco nacque Mustafà Kemal detto Ata Turk, il padre della Turchia laica. E nel 1909, dopo la vittoria dei Giovani Turchi, qui venne esiliato il sultano Abdul Hamid, in una villa appartenente alla ricca famiglia ebraica degli Allatini.

Nel 1900, la popolazione ebraica della città era di 80.000 persone su un totale di 173.000, ma il generale declino dell’Impero Ottomano ebbe i suoi effetti anche a Salonicco. Iniziò così per gli ebrei un flusso costante di emigrazione sia per la situazione economica, sia per evitare il servizio militare diventato obbligatorio per tutti i Turchi. Nel 1913 la popolazione era calata a circa 158.000 abitanti di cui circa 46.000 ottomani, 40.000 greci e 1.500 ebrei.

Ma i quattro avvenimenti che cambiarono completamente la faccia e la popolazione della città furono la conquista greca della città (1912), il grande incendio che distrusse gran parte di Salonicco (1917), lo scambio di popolazioni fra Grecia e Turchia (1923) e la deportazione degli Ebrei ad Auschwitz (1943).

Proibito indossare il fez

Quando l’esercito greco entrò in città, Re Giorgio promise che la popolazione ebraica non sarebbe stata toccata e i diritti delle minoranze sarebbero stati rispettati. Ma i primi cambiamenti si fecero sentire: fu proibito il fez, imposta la cittadinanza greca e la lingua greca divenne l’idioma ufficiale. Le strade ebbero nuovi nomi che ricordavano personaggi dell’ellenismo e i bizantini. Il 18 agosto 1917 era una calda giornata estiva con un forte vento da nord, quando nell’angolo nord-occidentale della città scoppiò un forte incendio; le fiamme alimentate dal vento bruciarono le case in legno e un terzo della città andò in fumo.  Quel giorno, 9.500 edifici furono distrutti e 70.000 persone si trovarono senza casa. La comunità ebraica fu la più colpita: i suoi quartieri storici erano rasi al suolo e le sue 37 sinagoghe distrutte. Fu l’occasione per cancellare le tracce della vecchia città ottomana e costruire una nuova città moderna. Fu presa la decisione di espropriare l’intero centro cittadino e di ricostruire la zona su nuove basi.

L’arrivo di profughi greci e l’emigrazione dei musulmani stava intanto cambiando la struttura demografica della città.

Nel 1919 le truppe greche sbarcarono a Smirne e tentarono di avanzare verso Ankara ma subirono una pesante sconfitta dal contrattacco delle truppe kemaliste; i greci prima ripiegarono, poi la ritirata si trasformò in una rotta. Nel 1922 a Losanna i delegati greci e turchi decisero di effettuare uno scambio di popolazioni obbligatorio: i Greci dell’Asia Minore avrebbero dovuto andare in Grecia e viceversa i musulmani ancora in territorio greco avrebbero dovuto lasciare. Una marea di profughi greci dall’Asia Minore si riversò su Salonicco, mentre i musulmani lasciavano la loro città prendendo la strada della Turchia; un capitolo di storia si chiudeva definitivamente.

Nel frattempo, le relazioni fra greci ed ebrei non erano delle migliori; una legge aveva imposto la chiusura obbligatoria di domenica. Gli ebrei, se osservanti, avrebbero dovuto chiudere due giorni, mentre ne venivano avvantaggiati i profughi greci.

Alcuni ebrei di Salonicco emigrarono e fecero fortuna all’estero. Due esempi tra i più noti sono Isaac Carasso, emigrato a Barcellona nel 1919: usando colture sviluppate all’Istituto Pasteur di Parigi iniziò una produzione di yoghurt con il marchio Danone dal soprannome del figlio Daniel in Catalano, Danon.

Leon Recanati fondò nel 1935 una piccola banca in Palestina che sarebbe poi diventata la Israel Discount Bank, una delle 3 maggiori banche in Israele. Ma il colpo finale lo assestarono i tedeschi che avevano occupato la città nel 1941; sfortunatamente, mentre Atene ricadeva nella zona di occupazione italiana, Salonicco fece parte della zona tedesca. Un reparto speciale, il Sonderkommando Rosenberg, saccheggiò sinagoghe e  biblioteche ebraiche, portando via, in Germania, decine di migliaia di libri ed oggetti rari; alcuni di essi sarebbero ricomparsi anni dopo, negli archivi del KGB a Mosca. Alcuni Ebrei si salvarono perché avevano la nazionalità spagnola; altri riuscirono a passare nella zona italiana grazie all’aiuto del Console Generale d’Italia, Guelfo Zamboni, che riuscì a salvarne 281 persone rilasciando certificati provvisori di nazionalità italiana a chiunque potesse. Il console Zamboni verrà in seguito insignito del titolo di Giusto delle nazioni allo Yad Vashem. E così, sabato 8 luglio 1942, fu ordinato a 9000 Ebrei di presentarsi il sabato successivo a Piazza della Libertà (Plateia Elefteria) per registrarsi al lavoro coatto. Iniziarono umiliazioni e vessazioni da parte dei tedeschi.

Ad Auschwitz in 45 mila

Ma la vera tragedia fu l’arrivo a Salonicco di Dieter von Wisliceny e di Alois Brunner, stretti collaboratori di Eichmann e incaricati di organizzare la deportazione. Il Rabbino capo era un Askenazita, Zvi Koretz; egli fu convocato e gli furono impartiti ordini severi: gli Ebrei dovevano portare la stella gialla, avere nuovi documenti d’identità, non potevano usare tram e telefoni. Poco dopo iniziò, nel 1943, la deportazione degli Ebrei; il quartiere Baron de Hirsch fu recintato e fu detto ai suoi abitanti, tramite il Rabbino Koretz, che sarebbero stati trasferiti a Cracovia per una nuova vita in un insediamento ebraico; vennero perfino distribuiti degli zloty polacchi (poi rivelatisi falsi). Il 25 marzo 1943 partì il primo treno con 2800 persone alla volta della Polonia con destinazione finale Auschwitz; il quartiere Baron de Hirsch fu presto svuotato dei suoi abitanti. Poi fu la volta di un altro quartiere, i cui abitanti vennero portati al Baron de Hirsch e successivamente deportati.  Nel frattempo i tedeschi provvedevano a distruggere l’antico cimitero ebraico, fuori dalle mura, che non verrà più ripristinato: le autorità greche vi costruiranno, sulle sue rovine, gli edifici squadrati e gli ampi viali dell’Università Aristoteleion. Alla fine, poco meno del 5% della popolazione ebraica di Salonicco riuscì a sfuggire alla deportazione: circa 45.000 persone furono deportate ad Auschwitz per essere uccise nelle camere a gas. Nel censimento del 1951 gli ebrei erano 1.783; e oggi gli ebrei a Salonicco sono circa 1300. Poche tracce rimangono dell’antica comunità che una volta formava la maggioranza della popolazione: alcune nomi scoloriti  sui negozi (Kapon, Perahya, Ben Mayor), il mercato Modiano e alcune lapidi in caratteri ebraici. Così si spense una delle più importanti Comunità Ebraiche del Mediterraneo Orientale.