Memoria come arte da custodire, bussola invisibile e interiore senza la quale non ci sarebbe coscienza contemporanea. Questo, il senso del Premio Nobel dato l’anno scorso a Patrick Modiano. Per lo scrittore francese non esiste che il passato, da ritrovare attraverso tracce materiali flebili; fili invisibili che ci riportano a vite svanite, a colpe inconfessabili, a persone cancellate e di cui nessuno ha più saputo nulla. Si è sempre alla ricerca di qualcuno perso nelle foschie della Storia. Occorre camminare instancabilmente per le strade d’Europa per non dimenticare tutte le ombre. È con il filo del passato che è cucito il nostro presente. Tre autori sono qui a ricordarcelo.
Januaria Piromallo
Il lato oscuro della giovinezza
«Ragionate con la vostra testa, senza farvi influenzare in nessun modo dalle ideologie o dal pensiero degli altri»: è questo il messaggio più importante e attuale che si può trarre dalla tragica storia della giovane Éva Iszak, fatta suicidare nell’estate del 1944 a 19 anni e mezzo dal gruppo di “compagni” comunisti, ebrei come lei, in fuga dai nazisti, che si preparavano a costruire la nuova Ungheria. Un esempio chiaro di come il Male, come dice Witold Gombrowitz, sia dentro di noi, lato oscuro di tutti e dell’intero vecchio mondo. Quella di Éva Iszak è una storia rimasta fino a oggi sconosciuta e scoperta grazie all’instancabile lavoro giornalistico di Januaria Piromallo durato ben sette anni, che ha restituito alla memoria una delle tante tragedie consumatesi nel Novecento in nome di una ideologia vissuta in modo cieco e totalizzante. Il risultato è il libro Il sacrificio di Éva Iszak (Chiarelettere), che si è conquistato un riconoscimento speciale nell’ultima edizione del premio letterario Elsa Morante, oltre ai numerosi apprezzamenti della critica.
Il sacrificio di Éva Iszak nasce dalla testimonianza del filosofo della scienza Imre Toth, incontrato dalla Piromallo prima della sua morte avvenuta nel 2010, che all’epoca faceva parte di un gruppo comunista insieme, tra gli altri, alla giovane rumena Éva Iszak e a Imre Lakatos, diventato poi un insigne filosofo della scienza e della matematica di fama internazionale. Per la prima volta, dopo decenni di silenzio, Toth accetta di parlare della tragica fine di Éva, di cui lui e tutto il gruppo capeggiato da Lakatos furono colpevoli. La ragazza, infatti – la più giovane del gruppo, dai tratti marcatamente ebraici – fu indotta al suicidio, tramite veleno, dal gruppo di “amici” entrati in clandestinità assieme a lei per paura che, se fosse stata fermata, sotto tortura avrebbe finito per denunciare tutto il gruppo. «Éva era stata individuata come anello debole da quelli che lei considerava amici, che la spinsero invece a sacrificare la propria vita in nome della grande causa marxista – spiega Piromallo -. E come tale, lei l’aveva accettata». Centrale è il ruolo del capo cellula Lakatos (vero nome Imre Lipsitz), che di fatto spinse il gruppo a scegliere Éva, forse anche – si intuisce dal libro – a causa della gelosia dell’altra Éva, la moglie di Lakatos, meno giovane e meno bella. Non sono però solo i fatti a trasmettere un messaggio attuale e importante: a essere eloquente infatti è anche il silenzio che per più di 70 anni cancellò di fatto dalla Storia la tragica vicenda di Éva, complice sicuramente la celebrità conquistata negli anni da Lakatos, celebre allievo di Karl Popper e docente di Filosofia della scienza alla London School of Economics, fino alla sua morte.
«Quella di Éva è una storia universale, che porta a riflettere innanzitutto sul pericolo del fanatismo ideologico e politico – spiega Piromallo -. Ma anche sull’importanza del pentimento, che in questa vicenda arriva troppo tardi, a 70 anni dai fatti. E non importa quale sia la religione o il ceto sociale a cui si appartiene: questi sono valori imprescindibili, che oggi più che mai dobbiamo trasmettere ai giovani attraverso la memoria di ciò che è stato». (Ilaria Myr)
Renzo Modiano
La memoria?
È una bussola
morale
«Una bussola morale, una guida a ciò che accade intorno a noi. Coltivare la memoria, prestare ascolto alle testimonianze della Shoah per quanto dolorose siano, o più semplicemente ascoltare i racconti dei nostri nonni è l’unico modo per coltivare uno sguardo vigile sul futuro. La memoria è un’antenna, ci rende attenti e all’erta. Quando vado nelle scuole a raccontare agli adolescenti come è stata la mia vita di ragazzino nell’Italia delle Leggi razziali e della Guerra, non vola una mosca. Anche oggi, a 79 anni, non mi stanco di spiegare la mia storia davanti a classi di bambini di tutte le etnie e provenienze, cinesi, somali, neri, arabi, italiani, e credetemi, tutti capiscono al volo che cosa io intenda quando racconto di razzismo, di esclusione, di antisemitismo e persecuzione». Così si esprime Renzo Modiano, classe 1935, testimone, scrittore e autore del libro Di razza ebraica (Mimesis), ormai un classico, in cui racconta la sua esperienza di bambino in fuga nella Roma occupata dai tedeschi, vagabondo di cascinale in cascinale per le campagne del Centro Italia. «I simboli hanno un senso, non risolvono i problemi ma aiutano a edificare una memoria collettiva. Ecco perché è così importante il Giorno della Memoria; ed è per me impensabile immaginare che non possa esserci più o che a qualcuno venga in mente di abolirlo. Pur con tutti i suoi limiti -rischio di retorica e museificazione…-, è pur sempre un momento per riflettere e ricordare chi siamo e che cosa può succederci in termini di abbrutimento. Ogni volta che penso ai tanti della mia famiglia morti nei lager, non posso non sentirmi profondamente ebreo e benedire l’esistenza di Israele, un rifugio che allora, nel 1940, ahimè non avevamo».
Ex manager Olivetti ed ex direttore del personale della Mondadori, autore di sei romanzi e un saggio (La risorsa umana, 1993, Sperling & Kupfer, sulla teoria della remunerazione globale), Modiano ha appena mandato alle stampe la sua ultima fatica letteraria: La vita è una bugia non scoperta (Mimesis), è la storia della caduta della famiglia Sereni, magnati del settore farmaceutico, su cui un ambizioso regista tv pensa di realizzare un reality-telenovela di successo, ovviamente all’insaputa di tutti. Microfoni, telecamere nascoste, microspie ovunque: è il trionfo del voyeurismo e del potere occulto dei media che s’intreccia con la tragedia privata di un clan. Cinismo, spregiudicatezza, amore e morte: tutto si mescola in questo apologo sulla contemporaneità convulsa e isterica delle nostre vite, dove non c’è più spazio per affetti e ricordi. Velocità e lentezza, verità e bugia, la realtà che si dissolve e si ribalta nel suo simulacro televisivo. E così non riusciamo nemmeno più a credere in ciò che vediamo, ci dice Modiano. Ma la finzione e l’inautentico finiscono sempre per distruggere tutto e tutti. Salvo chi riesce, appena in tempo, a scartare, scegliendo una strada più vera.
Paolo Mieli
Il più valido antidoto contro l’imbarbarimento
C’è la memoria frantumata degli ebrei, quella del Dopoguerra, della Shoah e delle mille angherie della storia. C’è la memoria manipolata di quando la politica si traveste da storia e si rivolge al passato in cerca di una legittimazione per le scelte di oggi. E infine c’è la memoria adulterata, quella di un passato europeo costellato di tradimenti e cambi di gabbana, un passato che osserva l’aurea legge per la quale “chi vince mai sarà considerato un traditore”. Tre tipi di memoria, tre diversi approcci al suo uso e abuso. Così Paolo Mieli, storico, giornalista ed ex direttore del Corriere della Sera, cataloga la sua vasta produzione di articoli storici pubblicati negli anni, e li raccoglie nell’interessante volume Rizzoli L’arma della memoria – Contro la reinvenzione del passato. Mieli ci conduce per mano indicandoci i molti modi con cui potremmo farne un onesto uso nonché il più valido antidoto all’imbarbarimento. Ma anche memoria come arma per far tornare i conti con il presente o possibile arma chimica di avvelenamento della conoscenza storica. «La memoria è fluida, imprecisa, contraddittoria, suscettibile a modifiche nel corso del tempo. È la scienza a spiegarci che la sua intima natura è di essere frazionata…», scrive Mieli nell’introduzione al libro. E così, nell’interessante sezione dedicata alle memorie storiche ebraiche, il giornalista ci guida sulle tracce di grandi studiosi come Bernard Lewis o Yosef Haim Yerushalmi, spaziando dal rapporto che nei secoli gli ebrei ebbero col potere costituito, a quello tra ebrei e musulmani fino ai segreti del processo Eichmann.