di Fiona Diwan
Ci sono gli anni Settanta, raccontati nella loro cupezza e nel loro rabbioso vitalismo. C’è la Milano di quel periodo avvelenato dall’ideologia, gli anni di ferro, fuoco e piombo, la temperie storica nella quale si consumarono molte stragi in Italia e Europa: quella di via Fani e il rapimento Moro (1978), omicidi e gambizzazioni, l’attentato alla sinagoga di Roma (1982) e quello a Monaco di Baviera (1972) dove, per la prima volta nella Storia, degli atleti venuti a partecipare alla massima competizione sportiva furono assassinati solo perché israeliani ed ebrei. C’è il fermo immagine di quel clima, le manifestazioni con le bandiere che sventolano, la distruttività e l’idealismo giovanili che trovano sfogo nella violenza di piazza, nell’autolesionismo e nella negazione di sé e del mondo. C’è il trionfo dei vent’anni, angosciosi e abissali, quasi mai “l’età più bella”, almeno per chi la vive. E c’è l’amore segreto, negato, velato, che come un miracolo nascosto agisce sull’anima, fiammella dalla quale l’intero braciere può riprendere vita e slancio.
Il breve e intenso romanzo Il giorno uno di noi due, di Stefania Rossotti, scrittrice e giornalista al suo terzo libro (ma il primo romanzo), è questo: la rievocazione di una ferita d’amore che si porta dietro i detriti dell’oceano-vita, come una risacca dispettosa che lascia sulla battigia doni inaspettati ma anche rotte e scheggiate emozioni.
Il tema del romanzo non è solo l’amore giovanile che strappa i capelli e che è sempre perduto. Il tema vero è il nascondimento, il segreto che preserva la verità adamantina delle emozioni senza che possano essere date in pasto allo sciupio degradato della quotidianità, alla volgarità delle chiacchiere della gente, senza che possa essere consegnato alla potenza implacabile della luce del sole. L’amore che si nutre di ombra non per smania di oscurità ma per rispetto della fragile sostanza di cui è fatto, plasmato di quella umbratile vetrosità troppo a rischio di finire sotto gli pneumatici cinturati della vita vera.
Per preservare questo piccolo involucro di luce, i due giovani protagonisti si avventurano per le strade di Milano attenti a non dare a vedere a nessuno ciò che provano, il sentimento e l’emozione che li abita. Né agli altri e forse neppure a se stessi. I lutti inaspettati, gli amici che se ne vanno, il destino che ti porta altrove, in altri luoghi dell’anima e della geografia, nelle discese ripide della depressione e dell’abbandono: tutto questo è lo sfondo di una storia che Stefania Rossotti sa raccontare con un senso di bruciore avido e affannoso, una intensità palpitante. Chi conosce la sua prosa, sa che Rossotti è capace di far vibrare corde profonde e inaspettate, sapendo strappare alla scrittura note di ruvida delicatezza.
Il tempo è passato, dall’eskimo al cappotto di cashmere, ha il ritmo delle vite scheggiate di un’intera generazione, quella che ha visto troppi amori, conosciuto molti matrimoni, partorito famiglie disfunzionali, coppie che hanno camminato insieme senza lasciare orme e con alle spalle tante vite e altrettante tombe di amori morti.
Sullo sfondo di questa storia d’amore corrono, come su un nastro trasportare, i crimini e misfatti di un decennio, le primavere di rabbia e l’emorragia della “meglio gioventù” che inseguì i suoi falsi idoli. Ma anche il sanguinamento del cuore che così lentamente si cicatrizza.
Stefania Rossotti, Il giorno uno di noi due, Mondadori, pp 109, euro 17,00