Nel suo esordio alla regia, Claudio Bisio rievoca la Shoah

Spettacolo

di Nathan Greppi
Da decenni riesce a far ridere il pubblico italiano con le sue interpretazioni, da film di successo come Mediterraneo e Benvenuti al sud alle frequenti apparizioni nel programma televisivo Zelig, passando per il doppiaggio italiano in film d’animazione come L’era glaciale. Ma giunto all’età di 66 anni, per il suo primo film da regista Claudio Bisio ha deciso di puntare su un tema storico assai drammatico: il rastrellamento del ghetto di Roma da parte dei nazisti nel 1943, del quale ad ottobre ricorre l’80° anniversario.

Dopo essere già uscito a luglio fuori concorso al Giffoni Film Festival, L’ultima volta che siamo stati bambini verrà presentato in anteprima il 9 settembre al Festival della Comunicazione di Camogli. Mentre l’uscita in tutte le sale italiane è prevista per il 12 ottobre.

Tratto da un romanzo di Fabio Bartolomei (Edizioni e/o), il film è ambientato durante la Seconda Guerra Mondiale, e vede per protagonisti tre bambini di 10 anni: Cosimo, Vanda e Italo. Il giorno in cui il loro amico ebreo Riccardo viene deportato durante il rastrellamento del ghetto di Roma, i tre iniziano un lungo viaggio nel tentativo di salvarlo, attraversando un’Italia martoriata dalla guerra e dalla tirannia, in un percorso che li costringerà a diventare adulti in breve tempo.

Claudio Bisio in una scena del film

 

Questa non è la prima volta che Bisio si confronta sul grande schermo con il tema della Shoah: nel 1997 interpretò un italiano deportato ad Auschwitz nel film La tregua di Francesco Rosi, tratto da un romanzo di Primo Levi (quest’ultimo interpretato da John Turturro).

“Dal disegno di un binario che arriva dritto ad Auschwitz i bambini scoprono l’esistenza dei campi di lavoro e partono alla ricerca dell’amichetto, decisi a salvarlo perché sono legati dal “patto dello sputo”, perché la saliva fa meno impressione del sangue”, ha spiegato Bisio intervistato dal quotidiano Il Secolo XIX. “Non aspettatevi però un lieto fine: come nel romanzo, così anche nel film viene ricordato che di quei 1.259 ebrei deportati da Roma c’erano 207 bambini e nessun di loro è tornato a casa. È stata un’avventura alla quale mi sono avvicinato con umiltà e rispetto e dalla quale esco arricchito umanamente e professionalmente”.