memoriale alle vittime della shoah a Berlino

“Fervore”, il peso della memoria su una famiglia disfunzionale

Libri

di Nathan Greppi

 

Tra coloro che sopravvissero alla Shoah e ai campi di concentramento, non tutti hanno voluto raccontare ciò che hanno passato. In questi casi, vale la pena di porsi alcune domande: fino a dove ci possiamo spingere per tramandare la memoria da una generazione all’altra? E quando, invece, occorre rispettare la privacy dei diretti interessati? Quando la tramandiamo, lo facciamo per gli altri o per noi stessi? E quale impatto può avere sulle future generazioni?

 

Tutti questi interrogativi possono sorgere spontanei leggendo Fervore, primo romanzo dell’autore britannico Toby Lloyd, il quale avendo origini ebraiche sembra essersi ispirato a vicende personali.

 

La storia segue le vicende dei Rosenthal, una famiglia londinese di ebrei praticanti, composta dai coniugi Eric e Hannah, i loro figli Gideon, Elsie e Tovyah, e il vecchio Yosef. Nel 1999, quando quest’ultimo è prossimo alla morte, Hannah decide di farsi raccontare dal suocero la sua esperienza di superstite di Treblinka, traendone un libro che segnerà un punto di svolta nella sua carriera da giornalista. In seguito, i figli cominceranno a comportarsi in modo strano; a partire da Elsie, la quale dapprima inizierà ad avere un’immaginazione sempre più violenta basata sulle sue letture bibliche da autodidatta, e poi sparirà nel nulla, salvo ricomparire dopo qualche giorno.

 

Successivamente, la scena si sposta al 2008, presentando differenze anche nello stile: se i capitoli del ’99 sono narrati in terza persona, quelli del 2008 vengono narrati in prima persona da Kate, compagna di università di Tovyah con il quale instaurerà un ambiguo rapporto che oscilla tra il disprezzo e l’attrazione.

 

Quella dei Rosenthal si presenta come una famiglia disfunzionale, dove l’enfasi religiosa della madre, unita alle sue ambizioni professionali, pesano come un macigno sui figli che reagiscono ognuno alla sua maniera. Se Tovyah si rifugia nello studio ad Oxford, diventando asociale e distante dai suoi coetanei, Gideon decide di lasciarsi tutto alle spalle per andare ad arruolarsi in Israele.

 

Numerosi sono i riferimenti alla Shoah (nonché alla testimonianza di Primo Levi, citato nel testo) o ai rapporti dell’ebraismo diasporico con Israele e il sionismo, perlopiù di sostegno ma talvolta conflittuali. Curioso, inoltre, come in alcuni passaggi, si cerchi di sfatare certi luoghi comuni sull’ebraismo; ad esempio, certi goyim ed ebrei assimilati rimangono sorpresi nel constatare come i chassidim non solo accettino, ma spesso incentivino il bere vino e il divertirsi cantando e ballando.

 

Fervore è un romanzo che riesce egregiamente a mettere in luce vizi e virtù di una certa borghesia ebraica, ponendo degli interrogativi sul significato della trasmissione della memoria e sul suo effetto sui più piccoli.

 

Toby Lloyd, Fervore, traduzione di Silvia Albesano, Neri Pozza, pp. 336, 19,00 €.