di Redazione
La sinagoga Beit Yoseph veElyahu, per tutti nota come “Eupili”, ha compiuto 60 anni. Nei locali del Beit haKnesset,
un incontro festoso per celebrarne il compleanno
Cos’è un Beit haKnesset? Sono le sue mura? Sono le persone che negli anni vi hanno pregato e studiato? I legami che si sono intrecciati? Un luogo intimo dove sono nate amicizie profonde, dove è possibile litigare e volersi bene, uno spazio dove si sono anche incontrate persone e formate famiglie. Oppure, ancora, sono le tefillot che da lì si sono levate? O quelle che devono ancora essere pronunciate? Oppure sono gli shiurim e le derashot e le domande che questi hanno scaturito? La sinagoga Beit Yoseph Colombo, a tutti nota come “il Tempio di Via Eupili”, è tutto questo e ha compiuto 60 anni. Un Tempio attivo, vivace e con una solida partecipazione di giovani. Da pochi mesi guidato da Rav Levi Shaikevitz è, oggi come negli anni, punto di riferimento per tante famiglie ed è “il Tempio a Milano” per i molti che hanno fatto alyah e che non mancano di venire quando sono a Milano.
I 60 anni sono stati occasione per un evento, un modo anche per onorare i rabbini che hanno guidato il Tempio e le Tefillot per tanti anni in questi locali: in primis il già rabbino capo della nostra città e fondatore rav Elia Kopciowski z”l e rav Elia Richetti z”l, entrambi ancora nel cuore di molti; ma anche rabbanim “italiani” che hanno oggi un ruolo in altre città d’Italia; e infine i giovani che hanno condotto il Tempio portando il loro entusiasmo come il Maskil Manuel Moscato.
Dopo il caloroso saluto da parte della Comunità con il vicepresidente e assessore Ilan Boni e a un discorso introduttivo del Presidente della sinagoga Eddie Olifson, sono intervenuti rabbanim da varie città d’Italia, tutti intimamente legati a Eupili. In quale ordine farli parlare si è chiesto Daniel Genah, gabbai del tempio. Tra le risate che questa domanda ha suscitato nel numeroso pubblico, l’ordine alfabetico ha aiutato e per primo ha preso la parola rav Alfonso Arbib (foto in alto), rabbino capo di Milano. Sono quindi intervenuti Rav Ariel Finzi, oggi rabbino capo di Torino e per tanti anni eupilino doc; Rav Beniamino Goldstein, rabbino capo di Modena, che per alcuni anni è vissuto a Milano e ha frequentato questa sinagoga e che ha sottolineato la differenza tra Scola e Tempio; Rav Levi Shaikevitz, che si è soffermato sulla relazione tra luogo fisico, minian e Tefillah; Rav Alberto Somekh, già rabbino capo di Torino e negli anni milanesi assiduo frequentatore di Eupili, che ha chiuso la mattinata con un appassionante studio di Torah. Solo lo sciopero dei treni ha impedito che arrivassero Rav Giuseppe Momigliano da Genova e rav Roberto Colombo da Roma.
Dal pubblico hanno poi parlato Sergio Marini e Eugenio Mortara ricordando amici cari non più presenti e illuminando importanti momenti di storia del Tempio. Sintetizzare gli interventi sarebbe un delitto e mostrerebbe solo l’inadeguatezza del cronista, ma possono essere recuperati e ascoltati su YouTube. Una così bella giornata di studio non poteva che concludersi nel modo più ebraico, così tutti gli intervenuti e il pubblico sono scesi negli spazi concessi dal Bené Berith e hanno potuto godere di uno strepitoso pranzo offerto dal Tempio; e chi quel giorno non c’era non potrà recuperarlo su Internet.
Uscendo dalla palazzina, tutti hanno ricevuto una pubblicazione con scritti dei diversi rabbanim intervenuti e dei molti frequentatori abituali nei quali viene raccontato quale significato abbia Eupili per ciascuno di loro. Dalla lettura dei vari contributi emerge un profondo senso di appartenenza tra le persone di Eupili, compagni di Tefillah, famiglie con tanti bambini che frequentano, talora da generazioni, la sinagoga in uno spirito di reciproco rispetto e nel tentativo di rendere tutte e tutti, dai grandi ai piccini, protagonisti degli Shabbattot e dei moadim passati insieme. Impossibile citare tutti, l’unico consiglio è procurarsi l’edizione; per farlo il suggerimento migliore è contattare il curatore – nonché ideatore della giornata – Daniel Schreiber. Il titolo è un tutto un programma, I nostri primi sessant’anni: lo sguardo è volto al futuro e il racconto dell’atmosfera e dell’accoglienza è un invito a chi vorrà farne parte e continuare insieme la nostra storia.