di Daniel Fishman
Non è stata una buona idea quella di fissare questo reportage in coincidenza della terza più imponente acqua alta della storia di Venezia. Può essere forse un elemento di curiosità per i lettori del Bollettino, ma vi assicuro che arrivare alla stazione di Santa Lucia e dovere passare subito sulle passerelle con valigia e passeggino di mio figlio rende le cose un poco complicate.
Procedendo, incrocio in una calle una madrichà (educatrice), venuta da Trieste per fare attività con i ragazzi di Venezia e ci racconta che neanche con gli stivali alle cosce, quelli da pescatore, si riesce ad arrivare dalle parti del Ghetto.
Ma anche per i veneziani questa esperienza è veramente storica. ivi compresi i venditori di stivali, che improvvisamente raddoppiano il fatturato e vendono galosce nelle loro versioni italiane e cinesi. Salta così l’appuntamento che avevo con Amos Luzzatto, ora Presidente della Comunità, e già presidente Ucei.
Venezia città e Venezia ebraica sembra stiano affrontando la stessa sfida, come accomunate da stesso destino. Da una parte il fascino di una tradizione e di un “nome” nel mondo intero e nell’ebraismo mondiale al tempo stesso, un “prestigio e fardello”. Dall’altra una realtà di acqua alta, e di abitanti, di iscritti e servizi in calo.
Paolo Navarro, giornalista del Gazzettino e dunque osservatore privilegiato della città sintetizza così il quadro: «La Comunità vive gli stessi problemi che attanagliano la città. C’è il peso di una storia gloriosa, c’è il mantenimento della tradizione – e analogamente al destino di Venezia – c’è il suo futuro. Facendo una facile battuta, che non vuole essere irriguardosa, Venezia-città ha il suo Mose, il Modulo Sperimentale Elettromeccanico, contro le acque alte. Ma, mi chiedo, Venezia ebraica ha il suo Moshè in grado di “salvare” gli ebrei veneziani nell’affrontare il futuro?».
Come spesso accade in una comunità di lunga storia, i pareri sono condizionati dalla presenza di diverse “anime”, sovente in forte confronto dialettico tra loro.
Una risposta a Paolo, tenta di darla l’assessore Luciano Silva che ha delineato, insieme all’attuale giunta comunitaria, un ambizioso progetto.
«Abbiamo in testa, ma anche nei fatti, un progetto integrato che ci faccia raggiungere diversi obiettivi. Pensiamo che si debba far rivivere l’area del Ghetto facendo sì che si ricreino le condizioni culturali ed economiche che hanno reso grande la nostra Comunità. Riscoprire luoghi, attività, tradizioni, per fare sì che i nostri giovani rimangano qui e siano gli artefici di una rinnovata vita ebraica veneziana, e per tutta la Comunità. Per esempio anche attraverso la cucina ebraica tipica, divulgandola con dei corsi, e basandola su prodotti coltivati in un orto creato proprio qui nel Ghetto. Un “Sistema Ghetto” che colleghi una scuola di cucina, un albergo, un forno, un info point, l’archivio, il museo, le Cinque Scole (le sinagoghe)».
Paolo Navarro allarga ancor di più il quadro delle sfide aperte: «Un progetto di rilancio della Venezia ebraica deve toccare tanti argomenti: dal turismo alla gestione del museo, dal rilancio del rapporto con le istituzioni cittadine alla proposta culturale all’interno della comunità, da una reale attenzione alle priorità delle famiglie, in particolare sull’assenza di un’attenzione sociale verso gli anziani che sono la maggioranza della comunità. E poi c’è il nodo dell’educazione che deve servire ad unire più che separare, anche chiarendo la convivenza tra componenti diverse del mondo ebraico lagunare (ortodossi, laici, Chabad-Lubavitch)».
Questi ultimi, come in tutti i luoghi ebraici del mondo a forte attrazione turistica, hanno creato un avamposto molto attivo, ben visibile, capace di “dirottare” su di loro la percezione che siano loro la kehillah locale, i veri rappresentanti dell’ebraismo. Per questa ragione, la Comunità ha aperto, di rimando, un info point dove sia i turisti, sia gli iscritti possono trovare informazioni utili.
Prosegue Luciano Silva: «Venezia ha un quartiere ebraico che, rispetto ad alcuni decenni fa, è senz’altro più vivo. Ci sono negozi, atelier, gallerie d’arte, addirittura due ristoranti kasher. Il Ghetto è visitato da decine di migliaia di turisti, durante tutto il corso dell’anno. E attorno al Museo si è creata una rete culturale e con essa la Biblioteca della Comunità. Ci sono cinque sinagoghe, di cui due solamente in uso. Tuttavia Venezia ebraica non può essere solo “vetrina”, ma deve tornare ad essere luogo di ritrovo e di scambio; un centro di discussione, ma non di polemiche; deve tornare ad essere uno dei perni dell’identità ebraica. E questo lo si può fare solo se si ha un progetto. Che accoglie tutti, senza divisioni e caste».
Dino Fusetti ha, da tanti anni, un negozio di Judaica proprio di fronte alla Comunità: «È vero che il Ghetto si è ravvivato con tante attività e iniziative, ma è anche vero che il livello turistico medio si è abbassato. Rispetto a qualche anno fa ci sono meno americani, e più persone dall’Est. Anche per questo le attività commerciali cittadine si sono riempite di cineserie. Io continuo a offrire solo oggettistica di pregio e artigianale, ma siamo in pochi a ragionare così».
In occasione dell’85° anniversario dell’Adei-Wizo è uscito a cura della stessa organizzazione il bellissimo volume di testi e foto Le signore del thè delle cinque. «Volevo raccontare i primi anni dell’Adei a Venezia tra tzedakà e cultura – ci racconta Lia Erminia Tagliacozzo che lo ha curato. In realtà è venuto fuori uno spaccato molto interessante sul ruolo ancora oggi evidente che hanno le donne nella nostra Comunità».
Importanti appuntamenti attendono Venezia ebraica. Nel 2016 si commemorerà il cinquecentenario dell’Istituzione del Ghetto e sarà forse un momento decisivo per la comunità.
Il giorno della partenza per Milano, vengo svegliato dal suono di una sirena che ricorda molto quella che c’è in Israele nel giorno della Shoah. A Venezia scatta due ore prima dell’acqua alta, e in questa maniera tutti si organizzano la giornata. Ci muoviamo pertanto a tempo e riesco ad incontrare, in via Nuova, Laura Salvadori, che gestisce l’omonima farmacia. Sta mettendo al sicuro i medicinali «perché due giorni fa ho evitato per poco una catastrofe».
Luciano Silva ci ha parlato di un Orto della Bibbia che vuole creare dentro il Ghetto. L’idea che una Comunità possa ritrovare passato e futuro anche attraverso i cavoli ed i rapanelli ci è sembrata veramente rivoluzionaria, e meritevole. Acqua alta permettendo.