di Roberto Zadik
Dopo l’attacco al supermarket kasher e l’imponente manifestazione di domenica 11 gennaio, a Parigi il clima è a dir poco rovente. Fra i vari siti e giornali francesi, il celebre “Le Monde” dedica una pagina apposta testimoniando il “dietro le quinte” di quanto raccontato dai giornali internazionali. Le reazioni di vari esponenti della comunità parigina, le emozioni e gli aneddoti della gente comune e gli interventi delle autorità e da tutti quelli che sono attualmente esasperati e preoccupati per tutti i fenomeni di feroce antisemitismo scatenatisi negli ultimi mesi.
Dalle provocazioni del comico Dieudonnè M’Bala, che proprio in questi giorni sta passando diversi guai giudiziari dopo che col consueto sarcasmo si è definito “Je suis Charlie Coulibaly”, alle aggressioni verbali e fisiche subite dagli ebrei francesi negli ultimi mesi. Ebbene “Le Monde” riporta vari fatti e dichiarazioni molto interessanti per capire l’atmosfera tremenda che si respirava fra gli ebrei parigini in queste tormentate giornate di inizio anno.
Il 9 gennaio poco prima dello shabbat, il grande rabbino di Francia, Haim Korsia ha commentato quello che stava succedendo nel supermarket di Vincennes. “Ancora un’altra volta” ha detto Rav Korsia “una pesante minaccia si abbatte sulla comunità ebraica e diventa un pericolo concreto”. Il presidente del Consiglio Rappresentativo delle Comunità Ebraiche Francesi, CRIF, Roger Cukierman, invece, poco dopo, si è definito “profondamente scioccato”. Egli ha proseguito “la situazione è diventata veramente molto grave e si ha l’impressione di una guerra jihadista contro l’Occidente coi suoi bersagli che sono i giornali, la libertà d’espressione e gli ebrei. Abbiamo vissuto le vicende della strage di Tolosa e di Mohammed Merah, Nemnouche e ora l’attacco al negozio kasher. Tutto questo viene dagli stessi individui spinti dal terrorismo e dalla follia”.
È stato uno shabbat decisamente teso e varie sono state le precauzioni e gli accorgimenti delle forze dell’ordine in diverse zone di Parigi. Dopo aver visto quello che stava succedendo, alle 14.00 i poliziotti si sono attivati immediatamente, quando gli ostaggi erano stati imprigionati nel negozio di Vincennes dal terrorista Amedy Coulibaly. Poco prima dello shabbat, la polizia per sicurezza ha chiesto ai commercianti di rue des Rosiers, zona ad alta densità ebraica, di chiudere anticipatamente le saracinesche dei negozi e la stessa cosa in altre zone.
In quell’angoscioso 9 gennaio regnava un clima di tensione ed è stato impossibile venerdì sera per gli ebrei praticanti della zona di Vincennes ritrovarsi in preghiera. La sinagoga di Rue Paveè, ad esempio, aveva un avviso sulla porta molto chiaro e eloquente “Cari fedeli ci dispiace molto ma questa sera non ci sarà nessuna funzione religiosa”. Nonostante questo, quattro giovani sono riusciti ugualmente ad aprire l’ingresso. Indossavano cappelli neri e nervosamente si sono opposti contro gli ordini della polizia di “chiudere la porta a chiave”. Successivamente coinvolgendo dei passanti sconosciuti e abitanti del quartiere sono riusciti a riunirsi in sinagoga e a pregare.
Tanti sono stati gli avvenimenti in quel giorno. Nella grande sinagoga di Parigi in rue de la Victoire, nel nono circondario della capitale francese, le porte sono rimaste chiuse mentre in Rue Copernic, nel 16esimo arrondissement, si è riunita una serie di persone per commemorare un attentato avvenuto nel 1980. Uno dei presenti, Bernard, ha detto “Non abbiamo paura, le preghiere verranno eseguite ugualmente”. Insistendo ha aggiunto “l’unica epoca in cui non c’è stata nessuna preghiera qui è stata la seconda guerra mondiale”.
Insomma, molta tensione a Parigi ma anche tanta partecipazione agli eventi e attaccamento alle proprie radici ebraiche di tanti ebrei parigini sconvolti da quanto stava accadendo a Vincennes. In un ristorante kasher il proprietario ha detto che “è solo l’inizio”, mentre un signore con la barba bianca rassegnato ha specificato che “niente è cambiato, è sempre la stessa cosa.”
Tanti sono gli stati d’animo. Dalla tenacia, alla rassegnazione, alla preoccupazione. Qualche volta le posizioni sono molto drastiche. Un giovane afferma che “partire in Israele è l’unica soluzione, perché è l’unico Paese per noi”. Rachel una donna sulla cinquantina, intervistata nella sinagoga di rue Saint Didier, sempre nella stesssa zona, conferma anche lei l’ipotesi di fare alyah dicendo “Lì queste cose succedono tutti i giorni. Spero che questi fatti aiutino le persone a comprendere meglio questi fenomeni terroristici.” Sascha, invece, un ragazzo che studia ingegneria, afferma che “questi terroristi agiscono contro gli interessi dei musulmani, sarà terribile per tutti loro e non capisco per quale motivo lo facciano.” Poi prevede che “questo porterà inevitabilmente l’estrema destra al potere”.
Fra gli ultimi interventi, il sito “Le Monde” riporta quello di Marc Konczaty, direttore del Movimento ebraico liberale di Francia, dai toni più ottimisti e speranzosi. Secondo lui “prima di tutto sotto attacco è l’intera Francia. Bisogna continuare a vivere, a essere fieri di quello che siamo e della nostra democrazia ed è per questo che tutti i rappresentati della comunità ebraica devono manifestare domenica”.