di Domenico Scarpa
L’attualità di Primo Levi, il suo senso del sacro
Non esiste un altro scrittore che sia oggi, in Italia, oggetto di studio e di indagini storico filologiche così vivaci e così al futuro, sul tema della convivenza civile
Nell’autunno 2015 i suoi Complete Works in inglese, pubblicati da Liveright a cura di Ann Goldstein: tre volumi, per tremila pagine all’incirca. Nell’autunno 2016 le sue Opere complete, pubblicate da Einaudi a cura di Marco Belpoliti: al momento sono due volumi per quasi duemila pagine, ma se ne aggiungerà un terzo dedicato alle interviste.
Le novità che queste due imprese editoriali sottintendono sono tanto numerose, e tanto grandi, che non si sa bene in quale ordine presentarle. Se si guarda al panorama letterario internazionale, non era mai capitato che uno scrittore italiano, antico o moderno, venisse pubblicato per intero in una uniform edition che riproduce la struttura di ogni sua opera così com’era apparsa nella lingua d’origine; il tutto, per giunta, è stato ritradotto quasi integralmente per l’occasione. Se invece ci si concentra sull’Italia basterà l’aggettivo “complete” a qualificare la nuova edizione delle opere; ed è addirittura la terza volta che Einaudi prende l’iniziativa di raccogliere e pubblicare il corpus di Primo Levi: l’aveva già fatto tra il 1988 e il 1990 e poi di nuovo nel 1997.
Ora, il punto è che queste proposte editoriali, impegnative per gli editori così come per i lettori, possiedono un rilievo che – fatto più unico che raro – è letterario, civile e culturale allo stesso tempo. E quei tre aggettivi, che in sé non dicono molto, andranno a loro volta declinati guardando al mondo e all’Italia nello stesso tempo. La disponibilità integrale di Levi per i lettori della sua madrelingua così come della più importante lingua di comunicazione rappresenta una conferma (e un rilancio) della sua qualità caratteriale più spiccata: la necessità di comunicare in maniera sintetica, icastica e limpida, l’imperativo del capire e del farsi capire. In un certo senso Primo Levi è la traduzione, a cominciare dall’epoca in cui s’impegnò a tradurre, per beneficio e ammonimento di tutti, l’esperienza di Auschwitz, spesso definita «intraducibile». Da questa constatazione è nata la Lezione Primo Levi, intitolata In un’altra lingua, che Ann Goldstein e io abbiamo tenuto nel 2014 su incarico del Centro internazionale di studi Primo Levi di Torino.
Per tutta la vita Levi ebbe un interesse appassionato per le cose, per le persone e per le parole. È questo a garantire la sua statura come testimone dello sterminio, come uomo di scienza e come scrittore. Non solo Levi desiderava superare la scissione tra le «due culture», ma sapeva per esperienza che le culture non sono affatto due bensì molte. Narratore di fatti veri e atroci, era interessato ai linguaggi, alle parole e ai loro giochi. Non credente, possedeva il senso del sacro e il rispetto per i riti. Proiettato, per le sue competenze tecnico-scientifiche, nell’avvenire (come confermano le sue storie di fantatecnologia e fantabiologia), lo vediamo radicato con orgogliosa mitezza nelle tradizioni delle proprie genti: il Piemonte, le stirpi ebraiche. Ciò che dà nutrimento al suo stile è l’imperativo di presentare ai lettori verità amare, difficili da accogliere quanto irrecusabili. Fin dal principio, fin dalla parola «uomo» in cui culmina il titolo del suo libro di esordio, Levi ha voluto rivolgersi a tutti: di qui la traducibilità storica della sua esperienza, il fatto che essa ci interpelli nel presente e per l’avvenire invece che dal passato.
Non è un caso che il punto d’arrivo rappresentato delle nuove edizioni americane e italiane sia, allo stesso tempo, un punto di partenza: perché, ancora una volta, non esiste altro scrittore italiano intorno al quale il cantiere degli studi, delle indagini storico-filologiche, sia così vivace, così strettamente legato all’urgenza dello stato delle cose quale si presenta qui e ora in tutto il mondo. Potranno bastare, a darne conferma, i titoli di due fra le otto Lezioni Primo Levi finora organizzate dal Centro studi di Torino e pubblicate in edizione bilingue da Einaudi: Perché crediamo a Primo Levi?, di Mario Barenghi e Raccontare per la storia, di Anna Bravo.
* Consulente letterario-editoriale del Centro studi Primo Levi di Torino