di Roberto Zadik
In questo blog, non intendo limitarmi a un secco elenco di notizie e nemmeno darmi a sfoghi personali, ma alternare news a approfondimenti, concerti e recensioni a approfondimenti personali e biografici di grandi personaggi del mondo ebraico contemporaneo.
Da Jerry Lewis, a Lou Reed, da Peter Sellers a Woody Allen, ho cercato di fornire delle “fotografie umane”, addentrandomi nel carattere e nell’opera di queste leggende, oltre che di elencare canzoni e film che ormai si possono trovare facilmente sul web.
Ebbene stavolta ho pensato all’enigmatico e sornione Zushe Ben Avraham, questo il nome ebraico di Robert Zimmermann noto internazionalmente come Bob Dylan. In occasione del suo 75esimo compleanno, nacque in un piccolo paesino del Minnesota, Dultuth, il 24 maggio 1941, ho deciso di dedicargli questo approfondimento e in questi giorni è anche uscito il suo nuovo album “Fallen angels” (Angeli caduti) dove rivisita alcuni classici folk tradizionali e brani sconosciyi della canzone americana da cui attinse specialmente all’inizio della sua carriera stringendo amicizia con personaggi come Johnny Cash, Pete Seeger e Woody Guthrie. E così è tornato ancora una volta e non si ferma mai.
Questo vulcanico e misterioso cantautore mi ha influenzato particolarmente e da quando avevo 18 anni ho cominciato a scrivere compulsivamente ascoltando le sue canzoni, la mia prima è stata “Like a Rolling Stone” inno alla libertà e all’avventura rifatto da mezzo mondo dello spettacolo in mille cover che non hanno mai avuto la stessa forza dell’originale, da segnalare il rifacimento dell’amico Hendrix al Festival di Monterey nel 1967 che un anno dopo ricantò la sua “All Along The Watchtower”.
Che tipo è Bob Dylan? Se lo sono chiesti un po’ tutti, come ben si vede nel bel documentario di Martin Scorsese “No direction Home” ma nessuno ha mai saputo dare una risposta. Sfuggente, riservato e a modo suo simpatico, questo Gemelli ascendente Sagittario, ha cominciato a cantare da giovanissimo, a 19 anni esordendo con canzoni folk come “Blowin in the wind”, “A hard rain’s gonna fall” e “Masters of war” decisamente idealistiche e pacifiste piene di riferimenti letterari, culturali e molto precoci per la sua età e avanti per la sua epoca. Poi si è dato al rock blues “tradendo” i suoi fans e ha cominciato a registrare dal 1966 in poi pezzi ritmati come “I want you”, “Stuck inside the Memphis Blues” e splendide canzoni d’amore come “Just like a woman”, “Queen Jane Aproximately” e la struggente ode alla sua amata e tradita moglie Sara Lowndes “Sad eyed lady of the law lands” o l’autobiografica “The ballad of the thin man” presenti in due capolavori come “Blond on Blonde” e “Higway 61 revisited” due album uno più belo dell’altro. Personaggio dalla vita molto movimentata, interessanti sono sia la sua carriera che particolari della sua vita privata. Pare che si chiudesse in stanza per ore a scrivere, che al suo Bar Mitzvà stupì tutti con la sua voce, che girasse sempre con un libro in tasca e i capelli spettinati, che avesse tante relazioni e non riuscisse mai a stabilizzarsi. Poi il matrimonio con la sua segretaria Shira Nozinsky, soprannominata Sara Lowndes e la nascita di tre figli, fra cui Jacob anche lui cantautore e fondatore della band dei “Wallflowers”.
Sempre avanti, sempre controcorrente e con qualcosa da dire e da mettere in discussione, Dylan non ha mai avuto un carattere facile . Incostante, lunatico, playboy, ha avuto diverse fidanzate, la più famosa Joan Baez con cui ha condiviso un importante sodalizio artistico, hanno cantato assieme tante volte collaborando a diversi brani, questo cantautore ha sfornato un sacco di album rilasciando invece poche interviste. Complesso il suo rapporto con la stampa, inventava le risposte, raccontava strane storie a volte divertenti, una volta disse fra le risate dei giornalisti di essere arrivato a New York su un treno merci. Dylan è sempre stato capriccioso e imprevedibile, a volte arrivava in ritardo ai concerti, si rivolgeva in modo sarcastico al pubblico, cambiava la scaletta delle canzoni all’ultimo momento e continuando a stupire, a sfuggire, a apparire e scomparire come altri cantautori schivi e affascinanti che a lui si ispirarono, in Italia abbiamo avuto Lucio Battisti che si fece crescere una folta chioma sistemandosi un foulard al collo per somigliargli. Icona intellettuale e cerebrale, lontano anni luce dal fascino sexy di Elvis, di Mick Jagger e dalle intemperanze di Jim Morrison, il suo decennio migliore è stato dal 1962 al 1973 con l’ultima perla “Knockin on the heaven’s door” che compariva nella colonna sonora di un bel film “Pat Garrett and Billy The Kid”, ricantata da band di tutto il mondo, perfino dai Guns N’Roses nel 1993.
Poi ci sono stati anni di oblio e di caduta, di eccessi anche se come disse spiritosamente Dylan in un’intervista “le droghe non hanno mai avuto successo con me”, di virate nel genere pop e vette artistiche improvvise, memorabile la ballata nostalgica “Forever Young” e la ritmata “Changing of The Guards” e un vero capolavoro con chitarre, violini e batterie come “The hurricane” ispirata a un famoso pugile della fine degli anni ‘70. Uno dei più originali autori di testi, le sue parole efficaci e dense, a volte incomprensibili e una certa abilità nell’analizzare la società e il suo prossimo, hanno sempre contraddistinto questo acuto cantautore che ha camminato in bilico fra letteratura e musica come pochi altri, rivelandosi autore per molti ma non per tutti, come diceva una famosa pubblicità, molto amato ma anche molto osteggiato e incompreso. La sua voce nasale e particolarissima, i testi a volte difficili e il carattere brusco e sempre troppo schietto gli provocarono diversi litigi con la stampa e il suo prossimo.
Dylan in mezzo secolo di carriera, assieme ai Rolling Stones o a Elton John o a Lou Reed è stato fra gli artisti più versatili e duraturi cambiando pelle fra diversi stili e album e tematiche. Tanti riferimenti ai problemi sociali, ai diritti dei più deboli, così come alla Bibbia e alla religione ebraica con cui il cantautore americano ebbe sempre un rapporto molto tormentato arrivando a convertirsi al cristianesimo per un periodo per poi tornare ebreo e avvicinarsi al movimento Chabad. Dylan continua a oscillare fra voglia di esibirsi e estroversione e momenti e anni di sparizione e di chiusura, è stato tante cose ed è sempre pronto a provare nuovi stimoli. Questo arista passa dall’essere un cantautore folk, un autore mistico e affascinante, un misantropo scontroso e burbero e un simpatico intrattenitore, un poeta dell’era Hippy e della controcultura amico del suo correligionario e anche lui verseggiatore come Allen Ginsberg, ha conosciuto John Lennon e tutti i personaggi della scena rock dell’epoca, improvvisandosi anche bravo pittore e disegnatore con mostre di quadri e di disegni.
Dylan è sempre in movimento, recentemente ha sfornato un album di cover “Shadows in the Moonlight”con brani anni ’40 e anche con la voce dimezzata e rauca, le sue performance sono piene di energia e di carisma e a 75 anni è pieno di vitalità e contenuti, fonte di ispirazione continua per vecchie e giovani generazioni. Tanti i libri e le biografie su di lui, bellissima quella di Anthony Scaduto e la pellicola “Io non sono qui” di Todd Haynes dove vari attori interpretano Bob Dylan con un effetto visivo e estetico di grande effetto. Chi è davvero Dylan? Questa domanda è avvolta nel mistero, sicuramente un grande cantastorie, un “Lonesome Hobo” vagabondo solitario come amava definirsi, un cantore del suo e del nostro tempo che ha stimolato altri suoi colleghi, da Leonard Cohen, a Lou Reed, di tutti loro avevo parlato nella mia trasmissione radiofonica “Prozadik”, fino a cantautori italiani come De Andrè, Guccini e De Gregori che ha ricantato in italiano la bellissima “Desolation row”.
Tanti auguri al grande Bob Dylan, Mazal tov e ancora tante canzoni e emozioni dalla sua inesauribile fantasia e dalla sua arte geniale e inquieta.