di Ufficio Rabbinico di Milano
7 Marzo 2013 – 27 Adar 5773
Devar Torà
“Moshè fece riunire l’intera adunanza dei figli d’Israele …” (Shemòt 35, 1). Così inizia la prima delle due parashòt della settimana. Rashì ci spiega che questo giorno di grande assemblea era quello successivo al primo Yom Kippur del popolo ebraico; Moshè scende dal Monte Sinai il giorno di Kippur e porta al popolo il messaggio di perdono che aveva ottenuto da D-o dopo il peccato del “vitello d’oro”. Il giorno successivo Moshè raduna il popolo e ordina la costruzione del Santuario. Per quale motivo Rashì ritiene così importante sottolineare il fatto che ciò avvenne il giorno dopo Kippur? Una delle spiegazioni è quella che il giorno di Kippur è riconosciuto da tutti gli ebrei come particolarmente santo. È un momento di universale raccoglimento e dedizione. Ma cosa succede l’indomani? È relativamente facile essere “santi” nel giorno più “santo” dell’anno; la vera prova consiste nel rimanere “santi” anche il giorno successivo, quello dopo ancora e così via fino al Kippur successivo. La domanda è se dopo la profonda esperienza del giorno di Kippur, avremo la stessa ispirazione e lo stesso entusiasmo che avevamo al momento della preghiera di Neilà! Moshè vuole insegnare che ci sono momenti nella vita (Kippur è un esempio, ma ce ne possono essere molti altri, gioiosi o purtroppo dolorosi) in cui siamo chiamati per forza maggiore a una dedizione particolare; ma il “momentum” non si deve esaurire in quell’attimo: la sfida consiste nell’essere in grado di prendere decisioni continuative e sostenibili ed organizzare un piano per la nostra vita ebraica. Fra oramai pochi giorni sarà Pesach: quante case sono nel subbuglio più totale per le pulizie, quanti già fanno i calcoli di quanta pasta acquistare per non rimanere con chametz in casa alla vigilia di Pesach, quanti sono già preoccupati di quali matzot e di quali vini comprare per il seder? Quanti faranno attenzione ai propri acquisti al supermercato dopo Pesach? E’ in quel momento che nasce la sfida. Questo il messaggio di Moshè: D-o ha perdonato uno dei più grandi peccati commessi nella storia, ma questo è solo l’inizio: egli raduna il popolo il giorno dopo Kippur per comunicare loro che la sfida comincia adesso.
Halakhà
Il Talmud dice (secondo l’opinione di Rav, Pessachim 6a) che se una persona lascia la sua casa 30 giorni prima di Pessach e non ha intenzione di farvi ritorno se non dopo gli 8 giorni della festività, questi è esente dal controllarla (Bedikàt Chamètz). Tuttavia nel caso in cui qualcuno lasci la casa meno di 30 giorni prima di Pesach, sarà obbligato a controllarla, ma senza recitare la berakhà; dovrà invece effettuare un controllo completo e recitare la berakhà la sera della vigilia di Pesach nel posto dove si troverà. Molti Maestri oggi, vista l’estrema facilità con cui ci si può spostare, suggeriscono comunque anche a chi parte, di eliminare il chamètz, metterlo da parte e venderlo e, se possibile, provvedere a kasherizzare la cucina per evitare che ci si possa trovare a dover rientrare durante Pesach e incorrere in problemi di divieti della Torà.