di Paolo Castellano (@castelPao)
Il 30 maggio presso la sala Buzzati della Fondazione Corriere della Sera si è svolto l’incontro “Formazione e cittadinanza” all’interno del festival Jewish in The City #150.
All’evento hanno partecipato Sonia Brunetti, pedagogista della scuola ebraica di Torino, Alberto Melloni, direttore della fondazione per le scienze religiose, Andrea Tagliapietra, professore Università Vita-Salute San Raffaele di Milano, Mino Chamla, professore di filosofia, e Lucia Castellano, dirigente Generale dell’Amministrazione Penitenziaria.
Il dibattito è stato introdotto da Rav Roberto della Rocca e si è concluso con il reading di Mia Benedetta intitolato “Rachele si arrabbia con Dio” di Stefan Zweig.
Rav Della Rocca ha dato inizio al dibattito spiegando agli astanti come il Talmud contenga una filosofia pedagogica ebraica: «Abramo infatti ha il compito di educare i discepoli al culto monoteista e questo è un progetto etico culturale che si distanziava dalle convinzioni della civiltà circostante. Nel libro sacro è usata l’espressione “fare una persona” che significa formarla nel profondo e non solo indottrinarla. Il maestro nella tradizione ebraica è simile ad un padre: il primo genera la spiritualità e il secondo il corpo materiale».
La parola è poi passata a Sonia Brunetti che ha illustrato come venga gestita la scuola ebraica di Torino che è uno dei quattro istituti ad indirizzo ebraico presenti sul territorio. «La scuola ha guadagnato importanza grazie all’opera di Emanuele Artom che dopo la promulgazione delle leggi razziali del 1938 si impegnò attivamente con altri docenti nell’insegnamento agli studenti di fede ebraica. Dopo gli anni ‘50 la scuola ha ospitato anche studenti laici e di altre religioni come quella valdese. Oggi invece gli studenti ebrei sono circa il 50% degli iscritti. La maggior parte degli alunni è composta da non ebrei ma viene educata con direttive pedagogiche ebraiche: una minoranza è dunque portatrice di una cultura di maggioranza. Perché allora molti laici si iscrivono alla nostra scuola? Credo perché ci siamo soffermati su tre valori fondamentali: lo studio, la profondità e la curiosità».
Il dibattito sull’educazione ebraica ha preso poi una piega estremamente filosofica con l’articolato intervento del professor Tagliapietra che ha esposto all’uditorio l’indirizzo dell’Unione europea in materia d’istruzione. «La città è il luogo dell’incontro delle differenze e in questo contesto viene anche creata la paideia ovvero un’educazione alla cittadinanza. Così infatti è avvenuto molto tempo fa ad Atene e a Gerusalemme. I programmi attuali di cittadinanza come per esempio quelli europei si basano essenzialmente su tre punti: la condivisione di una cultura politica, lo sviluppo del pensiero critico e la partecipazione attiva. Non c’è il tema dell’identità». Tagliapietra ha affermato che da un grado zero d’inclusione, le nostre società hanno incluso differenze identitarie sempre maggiori. «La cultura dell’inclusione come affermava Jacques Derrida tende ad accogliere tutti. Questo pensiero allora produce un modello di futuro che apprendiamo soprattutto con l’esperienza. La cittadinanza, come noi l’intendiamo, è basata su principi distillati dell’illuminismo: una simmetria tra diritti e doveri e quindi tra inclusione ed esclusione ma la simmetria non è la forma di cittadinanza del domani».
La parola è poi passata a Lucia Castellano che ha svelato di aver imparato molto sul sistema di educazione nelle carceri attraverso il suo impegno ventennale come direttore penitenziario. «Anche il peggior criminale può diventare una risorsa, egli infatti non è destinato a trasformarsi nel suo reato. La riabilitazione della cultura simmetrica della vendetta non porta a nulla. L’articolo 2 della costituzione garantisce i diritti inviolabili dell’uomo e dunque anche quello relativo alla formazione sociale. La responsabilità è un fattore molto importante nella rieducazione di un detenuto ma questa deve essere concessa». Lucia Castellano si è soffermata sull’ospitalità di Milano, che ha definito “una città di mare anche se non c’è il mare” e allo stesso tempo sui valori dell’educazione ebraica che “indica la giusta via per vivere bene il nostro tempo”.
È stato poi il turno di Mino Chamla che grazie alla sua esperienza di professore liceale di storia e filosofia presso la scuola ebraica di Milano ha espresso forte critiche al sistema educativo italiano: «Nella scuola si inserisce un po’ di tutto e non si dedica il giusto tempo all’educazione umana. Dobbiamo capire che l’educazione non ha una possibilità infinita ma finita». Secondo Chamla educare uno studente significa assecondare i suoi talenti ed interessi. La scuola di oggi invece si concentra su una corsa al conformismo e questo provoca degli aspetti problematici. «L’educazione ebraica ha lo scopo di creare individui sempre diversi e lanciarli nel mondo per abituarli alla diversità. Gli Ebrei s’immergono con passione nelle altre culture perché ciascun individuo umano merita di crescere in direzioni inaspettate».
Il dibattito è terminato con le riflessioni di Alberto Melloni sulla formazione religiosa nell’Italia di oggi: «Non si può obbligare qualcuno a fare qualcosa che non vuole ma è necessario abituarsi all’esercizio della responsabilità ma l’analfabetismo religioso è a livelli giganteschi». Melloni ha infatti spiegato che la carenza di educazione religiosa favorisce l’emergere di sentimenti di paura e di intolleranza verso gruppi religiosi come gli ebrei e i musulmani. «Quando non si conosce una cosa ne si ha paura e s’invoca la sicurezza ma è necessario capire ciò che l’altro ha bisogno favorendo in questo modo l’accoglienza e la convivenza». Melloni ha infine affermato che le religioni hanno il dovere principale di annaffiare le radici della libertà creando uno spazio che non sia un futuro di guerra.