Fin dai tempi antichi il Bacino del Mediterraneo ha visto nascere civiltà, spostarsi popoli, raccolto lingue, fedi e etnie. Da Israele con il popolo ebraico, al Nord Africa, alla Spagna, all’Italia meridionale. A fondere questi luoghi, dando un messaggio forte e attuale di apertura, tolleranza e reciproco stimolo fra culture e popoli, lo spettacolo “Musica immaginaria mediterranea” uno degli eventi di punta del Festival Jewish in The city #150 che si è tenuto nella Sala Piccola del Teatro Dal Verme, lunedì 30 maggio. Protagonisti assoluti la voce e il carisma del cantante napoletano Raiz, che assieme a Rav Punturello e alla band dei Radicanto hanno condotto brillantemente la performance che prende il nome dal recente e omonimo album della formazione pugliese capitanata dal chitarrista Giuseppe De Trizio.
Introdotta dal giornalista e appassionato di musica, Roberto Zadik, e organizzata dall’Assessorato alla Cultura della Comunità, l’esibizione ha messo in luce come ha detto Zadik “il profondo rapporto fra musica e spiritualità e diversi compositori ebrei da Offenbach a Mahler si sono ispirati al patrimonio musicale delle preghiere. Offenbach era addirittura figlio di un cantore sinagogale”. A guidare la serata suoni dalla Spagna e dal Marocco, con canzoni della tradizione sefardita come “Cuando el Rey Nimrod” che ha chiuso la serata, canzoni napoletane composte da Raiz come “Nun te scurdà” (Non dimenticarti”) o classici del suo repertorio con il gruppo degli Almamegretta con cui ha suonato per oltre vent’anni come “Respiro” per arrivare al Cantico dei Cantici con un’emozionante interpretazione di Fabrizio Piepoli e a canzoni israeliane mischiate a dialetto partenopeo. Una sperimentazione sonora e concettuale molto originale che prende spunto, come ha detto Zadik “dalle vicende dei migranti che sono attualmente sotto gli occhi di tutti noi per immergersi in ritmi spagnoli, portoghesi, ebraici e mediterranei”.
Oltre alle canzoni che ricordano le grandi musiche di Paco De Lucia, il repertorio di Pino Daniele, con cui Raiz ha collaborato e dei chitarristi classici spagnoli o le sonorità del Maghreb portate in auge da grandi artisti come l’ebreo algerino Enrico Macias o da Cheb Khaled, piuttosto che Georges Moustaki, Herbert Pagani e tanti altri, molto interessante è stata anche la conversazione che Raiz ha avuto dal vivo con Rav Punturello “una discussione molto informale, da camera e molto napoletana” come ha detto il musicista “visto che siamo più che amici”. Citando grandi autori italiani come Matilde Serao, napoletana di origine greca e Leonardo Sciascia, una delle più grandi firme letterarie siciliane assieme a Verga, a Pirandello e a Vittorini, Punturello – ex rabbino di Napoli fino al 2011, ora a Gerusalemme come responsabile del Centro Shavei Israel – ha ricordato quanto sia importante il Mediterraneo per tutti noi al di là dello scenario attuale.
“E’ il luogo in cui nacquero greci, romani, etruschi, spagnoli e ebrei e la necessità di sganciarsi dalla realtà, di immaginarlo e di sognarlo, “dobbiamo viverlo chiudendo gli occhi” ha detto il Rabbino. L’esibizione ha dunque alternato parole e musica, citazioni dalla letteratura e dalla Torah, brani struggenti del repertorio ebraico sefardita e pezzi più ritmati e vivaci. “Nella tradizione mediterranea e ebraica” hanno ricordato Raiz e Punturello, “religione e amore si mischiano e non c’è una separazione netta fra la passione con cui si parla di una donna o ci si rivolge a Dio”. “Il Mediterraneo è sentimento, gioco di sguardi, seduzioni non dette” ha ribadito Rav Punturello “come quando Isacco e Rebecca si incontrarono la sera quando lui andava a meditare solitario nel campo”. Luogo di suggestioni, ispirazioni, migrazioni e sofferenze, esso, rappresenta”la parte femminile e sanguigna, al colore degli occhi mentre l’elemento maschile”, ha detto l’ex Rabbino di Napoli, citando il Talmud, Trattato di Niddà, “è collegato alle ossa, alla struttura, alle ossa, alla parte bianca dell’occhio”. Non solo passione, vitalità e spiritualità, come ha specificato Raiz, ma nel Mediterraneo “c’è anche tanta sofferenza, tanti problemi, fame, povertà. Questo spettacolo è dedicato alla mescolanza, alla bellezza delle fusioni e delle commistioni che mette d’accordo tutti gli uomini.” In tema di mix culturali e sperimentazioni, tipiche di autori contemporanei interessanti della cosiddetta musica etnica come il francese Manu Chao, i Gipsy Kings o la compianta cantante israeliana di origine yemenita Ofra Haza, i musicisti hanno eseguito “Im Nin Alu” composta dal Rabbino yemenita Rav Shabaz e portata al successo dalla cantante negli anni ’80, attingendo anche dal Reggae, genere che da sempre ha appassionato e ispirato Raiz e i suoi Almamegretta.
“Sono sempre stato ammiratore di Bob Marley” ha detto il cantante “e in diverse sue canzoni ci sono riferimenti ai Salmi. Questo mi sorprese molto, egli apparteneva all’ordine religioso dei Rastafari che influenzò molto la cultura giamaicana e il reggae e si diffuse nel mondo e che rivela curiose affinità con l’ebraismo. Vedevo le trecce che si facevano crescere e pensavo fosse una stranezza mentre nel voto del nazireato, nella tradizione ebraica, si usa di non tagliare i capelli, di non bere vino e di lasciarsi crescere la barba. I membri di questa fede fondata fra gli anni 20 e il decennio successivo dal predicatore Marcus Garvey credono di essere una tribù ebraica perduta e ci sono diversi adepti anche in Etiopia e in Africa. Uno dei miei artisti reggae preferiti è il cantante ivoriano Alpha Blondy che scrisse la canzone Jerusalem che suonerò adesso”.
Fra reggae, canto melodico e virtuosismi vocali e strumentali la serata ha coinvolto il pubblico e uno dei brani più intensi è stato il rifacimento del celebre canto ebraico sefardita medievale “Ki Eshmera Shabbat” rifatto con tonalità vivaci e simili a un ritmo flamenco. Al termine grande ovazione del pubblico, applausi e un’atmosfera gioiosa e partecipe.