di Daniela Cohen
Nella bellissima cornice del Mudec, che ha arricchito Milano con una presenza nuova come spazio dedicato alla Cultura e all’Arte, è iniziato in una saletta al pian terreno l’incontro fra cinque esponenti della cultura e dell’imprenditoria, la comunicazione e l’economia. Visioni è presentato da Cristiana Colli che ricorda come sia stata tanto importante la collaborazione di Rav Della Rocca in tutti questi eventi straordinari di Jewish in the City #150, poi presenta brevemente i relatori: Luca De Biase, giornalista e scrittore, direttore di Nòva24 e moderatore della presente riunione; Dani Schaumann, Israel Country Advisor, Intesa Sanpaolo; Aviram Levy, economista; l’imprenditrice Marina Salamon e Alessandro Braga, The European-House Ambrosetti.
Con brevità invita Luca De Biase a introdurre l’incontro e lui inizia subito con un argomento interessante, sul fatto che per anni si è creduto che il polo dell’innovazione fosse soltanto uno, quello di Silicon Valley per intenderci ma non è più così da tempo. “C’è Berlino, c’è Londra, c’è Israele, ci sono tanti poli oltre la California.noi italiano ancora non ci siamo, perciò potremmo imparare qualcosa da Israele”. il suo bel discorso introduce ad Aviram Levy, che ricorda di essere un milanese vissuto qui fino ai 26 anni, per cui ringrazia per l’invito e si lancia al cuore della questione: “Il fenomeno delle start up israeliane è ancora un enigma. Ci sono studi che definiscono tre punti su cui si regge questo boom economico: il primo sta nelle capacità, skills, dovute ai moltissimi laureati e ingegneri giunti dall’est che hanno anche insegnato in luoghi come il Technion di Haifa e in università che collaborano strettamente col settore privato, dando risalto al capitale umano”.
Dani Schaumann ricorda che “Altro elemento tecnologico in Israele è l’ambito militare. Fin dagli ultimi anni di studio c’è chi cerca talenti da far entrare nelle unità di ricerca. Così non solo si finiscono gli studi ma si farà ricerca talmente utili relazionandosi con coetanei coi quali spesso nasceranno poi delle start up”. Marina Salamon racconta di essere ibrida, con fede cattolica, madre atea e nonno ebreo ,a da sempre estimatrice del popolo ebraico. “Credo che l’Italia sia un Paese molto bello, molto conservatore, non fa figli, ha paura di una povertà provocata o peggiorata da sltri e mostra troppi cattivi comportamenti delle classi dirigenti. Io ammiro Israele e gli ebrei e credo che farebbe molto bene all’Italia aprie a Israele, scambiandosi gli studenti. Qui da noi l’eccellenza manifatturiera non sarà sempre presente in futuro e bisogna gestire l’economia e l’impresa. Israele potrebbe avere bisogno di noi, noi di loro”.
Alessandro Braga ha invece raccontato di come Ambrosetti, un gruppo professionale fondato nel 1965 per rendere più veloci i risultati voluti dalle organizzazione che si rivolgono a loro, ha le antenne puntate su Israele e ha ricevuto numerose visite da parte di Shimon Perez. “E’ la ricerca che rende Israele speciale, nonostante sia un Paese giovane ci sono università create prima ancora che nascesse lo Stato e il livello culturale è sempre molto alto. E’ un popolo veloce, pensa, parla poco e agisce tanto, mentre noi ragioniamo molto, siamo grandi pensatori. Mentre gli israeliani in 14 mesi stanno già rivendendo un’impresa di successo da loro fondata, e coi soldi si reinventano, noi ancora non abbiamo messo neppure nero su bianco il progetto d’inizio”. Ecco un solo, sconvolgente dato: in Israele ci sono venture capital per 3,6 miliardi di dollari all’anno, in Italia ce ne sono forse 100 milioni di euro. Loro hanno 8 milioni di abitanti, noi 56 milioni. L’incontro è durato oltre un paio d’ore e con le domande sembrava non dovesse finire mai, tanto è stato il successo dell’iniziativa.
A dimostrazione che Milano è affamata di dati reali e buoni consigli!