Il mirto sardo è la prova della presenza ebraica in Sardegna sin dall’antichità. Questa la tesi di un interessante articolo apparso sull’Unione Sarda il 3 agosto firmato da Carlo Figari, gentilmente segnalatoci da Bruno Piperno Beer.
“Il liquore della tradizione isolana si beveva anche in Israele nei tempi biblici, ma con l’esodo all’epoca di Mosè si era persa la capacità di produrlo – si legge sul quotidiano locale -. E neppure in seguito gli ebrei rimasti a vivere nelle terre di Gesù o ritornati dopo la Diaspora, soprattutto nell’ultimo dopoguerra, avevano ripreso l’antica produzione del liquore estratto dalla pianta del mirto, da millenni endemica in Palestina e nell’attuale Israele. Ora grazie alla “riscoperta” di un rabbino israeliano e di una ricercatrice cagliaritana, entrambi docenti presso l’università Cattolica di Parigi, rinasce quella tradizione e il mirto imbottigliato torna in Medio Oriente per essere commercializzato con una nuova e originale etichetta multilingue: “Tresòrs de Tarsìs””.
Il mirto Hadhassiya (questo il nome del liquore scritto con un mix di caratteri ebraici e italiani incisi su un disegno stilizzato che raffigura una nave antica e la pianta) è il primo risultato di una società formata dai due studiosi insieme a due noti produttori di Muravera. Non solo mirto. La ricerca storica ha portato ad una seconda riscoperta ed è quella del cedro ebraico, «da voi in Sardegna – dice il rabbino all’Unione Sarda – chiamato limoncello perché erroneamente ritenuto prodotto dalla pianta di limone».
In realtà quei grandi limoni che si coltivano in abbondanza nel Sarrabus e in altre parti dell’Isola sono alberi di cedro del genere mediorientale. «Non abbiamo prove di documenti che testimoniano la presenza degli ebrei in Sardegna sin dall’epoca precedente a Cristo, se non alcune citazioni bibliche che parlano della terra di Tarso, cioè la vostra Isola», afferma il rabbino: «Il vostro liquore che da tanti secoli producete nella tradizione locale proviene senza alcun dubbio dalla cultura biblica. Fu importato attraverso i commerci dei fenici e probabilmente da coltivatori ebrei che si insediarono in seguito alla Diaspora».
Chi sono gli autori di questa scoperta? Come è nata l’idea di produrre il mirto e di cominciare una commercializzazione nella “terra dei padri” con lo scopo di farlo conoscere, magari avviando un nuovo mercato locale nell’originario Israele? Chi sono i produttori sardi? A spiegare la vicenda al giornale sardo sono gli stessi protagonisti: la studiosa sarda Roberta Collu e il rabbino Gabriele Hagai, venuti da Parigi in questi giorni a Muravera per essere presenti alla produzione della prima partita di diecimila bottiglie del mirto “Hadhassiya” e del limoncello “Ethroghya”. «Tutte – dicono subito – destinate al mercato estero: Israele, Francia e Stati Uniti». Intanto si parte con “Tresòrs du Tarsìs”, il marchio dei due liquori, ma anche un fenomeno culturale che consente di andare alle radici dell’ebraismo in Sardegna.
Tutto inizia quando l’antropologa cagliaritana Roberta Collu, 43 anni, da dieci ricercatrice e docente presso l’università Cattolica di Parigi, conosce il rabbino Gabriele Hagai, israeliano, che insegna e studia paleologia e filologia degli antichi manoscritti ebraici nello stesso ateneo. Lui, 47 anni, sposato con sei figli, viene dalla tradizione sefardita. L’amicizia tra i due colleghi – raccontano – si consolida nell’associazione che promuove il dialogo interreligioso tra popoli di diverse culture all’interno dell’università francese.
Gabriele Hagai viene in Sardegna qualche anno fa per studiare l’arte del bisso. Ovviamente si reca a Sant’Antioco, il regno delle ultime artigiane che lavorano i preziosi tessuti di origine marina. «Anche il bisso proviene dall’antico Israele ed è citato nella Bibbia», sottolinea il rabbino. Ed è durante questo breve soggiorno a casa Collu, a Decimomannu, che Gabriele Hagai assaggia il mirto offerto da Paolo, padre di Roberta, ex dipendente comunale. «È stato come una folgorazione quando mi ha fatto vedere l’albero di mirto del suo giardino. Ma questo è lo stesso della mia terra? mi sono chiesto. Il fatto è che da noi in Israele abbiamo perso la memoria della produzione che ho ritrovato qui in Sardegna dove, invece, è stato probabilmente importato e si è prodotto per millenni senza interruzione».
Sukkot
Rabbì Hagai ricorda il passo dei testi sacri in cui si parla di Gesù che va a Gerusalemme per la festa dei tabernacoli. Durante il “Sukkot” tutti portano in mano un bouquet composto da palma, mirto, salice e cedro, simboli del ciclo del lavoro agricolo. In Israele come in Sardegna in settembre si celebrano simili sagre contadine. «La presenza degli ebrei nell’Isola – afferma Roberta Collu – è ben documentata a partire dal 1492, quando i sovrani cattolicissimi di Spagna, Isabella e Ferdinando, promulgarono l’editto con cui si cacciavano tutti gli israeliti dal loro regno. Coloro che non accettavano di convertirsi al cristianesimo, i cosiddetti marrani, furono costretti all’esilio. A Cagliari esisteva il ghetto e c’erano molti ebrei, citati nei documenti. Molti continuarono a professare la loro religione di nascosto, ma la maggior parte preferì lasciare l’Isola. Nessuna fonte, con eccezione della Bibbia, parla invece dei rapporti tra l’antica Sardegna e gli ebrei. Così, insieme al collega rabbino, abbiamo deciso di approfondire la storia del mirto come prova di questi legami».
Nelle aule parigine nasce poi l’idea di produrre in Sardegna il primo mirto israeliano: dunque con i crismi kosher, come obbligano i precetti della religione ebraica per tutti i cibi. L’idea di Hagai e Collu entusiasma Paolo Melis ed Enrico Diana, titolari di “Bresca Dorata”, una delle etichette sarde più famose e di successo del mirto, che mettono a disposizione il loro stabilimento di Muravera. Ma non basta. Per i controlli kosher sulla produzione e conservazione arrivano i rabbini Mehir Kob da Milano e un altro da Manchester.
Nel contempo rabbì Hagai riconosce nei grandi limoni della Sardegna l’albero di cedro della sua terra. E allora perché non fare il bis col limoncello battezzato “Ethroghya”? “L’azienda Bresca Dorada raccoglie la sfida e in questi giorni dallo stabilimento di Muravera escono le prime diecimila bottiglie (metà mirto, metà cedro) – conclude l’articolo -. Un primo esperimento commerciale per vedere come reagiranno i consumatori ebrei d’Israele, Francia e Usa. In futuro – dicono i soci di Bresca Dorata – si vedrà”.