“L’antisemitismo esiste da sempre, e continua. La Shoah non esiste, non se ne parla. (…) Capita che un algerino veda qualcosa su una tv straniera, e chieda informazioni all’imam della moschea. Nella maggior parte dei casi, si sentirà rispondere due cose: “Hitler avrebbe dovuto ucciderli tutti”, oppure l’Olocausto è una panzana inventata dal sionismo per invadere la Palestina”. Non se ne esce”.
Chi parla è Boualem Sansal, scrittore algerino, 63 anni, vincitore dell’ultimo “Prix du roman arabe” con “Rue Darwin” edito in Francia da Gallimard.
Un premio che prima gli è stato assegnato, poi ritirato per volontà degli ambasciatori dei paesi arabi, e poi ri-assegnato “d’ufficio”, grazie all’intervento di Hélène Carrère d’Encausse dell’Académie francese, presidente della giuria e ad un misterioso lettore svizzero che ha reintegrato i 15.000 del premio che gli ambasciatori avevano ritirato.
Il viaggio di Sansal in Israele, a Gerusalemme per il Festival Internazionale della Letteratura, ha provocato la dura reazione di Hamas, che non solo lo ha criticato, ma lo ha anche minacciato di morte. In seguito a questo viaggio, il Consiglio degli Ambasciatori arabi di Francia, promotore del Premio, ha deciso poi di negargli il premio che gli era già stato assegnato.
Nell’intervista rilasciata al Corriere della Sera di domenica 29 luglio Sansal esprime la sua amarezza, paura anche, ma soprattutto sfiducia verso il mondo arabo, nonostante il vento nuovo portato dalle rivolte del febbraio 2011.
Sansal vive in Algeria se “come se fosse in esilio”: i suoi romanzi, critici verso il fondamentalismo islamico, non piacciono al governo di Algeri che regolarmente li censura.
Dopo la “primavera araba”, secondo Sansal, le cose non sono cambiate. I volti sono nuovi, le idee moderate, ma in fondo, dice, “non è cambiato nulla”. “La mentalità della gente è sempre e ancora la stessa. Ogni santo giorno, in ogni luogo, a scuola, nei giornali, in tv, alla moschea, da 50 anni viene ripetuta la litania delle critiche all’ex potenza coloniale, all’America, ai sionisti. Fa parte della base ideologica del Paese. È come un pianeta che non riesce a sottrarsi all’attrazione del sole. Se provi a esprimere un’idea diversa, a casa è tuo fratello che ti accusa, al lavoro saranno i tuoi colleghi a denunciarti, per strada verrai aggredito dai passanti. Con le primavere arabe non è cambiato nulla. La rabbia e gli slogan sono stati diretti contro Gheddafi, Mubarak, Ben Ali e non contro l’Occidente, ma solo per una questione di priorità. Il vecchio sistema di propaganda è già tornato all’opera…”.
“C’è una minoranza che la pensa come me”, aggiunge Sansal, e cioè che è stufo dell’odio e delle accuse reciproche, che vuole la pace. “Ma anche nel mio ambiente in tanti mi hanno criticato: non dovevo andare in Israele, oppure sì ma visitando prima la Palestina, oppure sì ma denunciando le azioni del governo israeliano. Il fatto è, aggiunge, che questo non è il mio ruolo: “sono uno scrittore, un intellettuale, e voglio essere libero di accettare tutti gli inviti, anche dei miei amici israeliani”.
Il “Prix du Roman Arabe” è nato nel 2008 per iniziativa del Consiglio degli ambasciatori arabi di Francia insieme all’Institute du monde arabe di Parigi. Della giuria fanno parte oltre a Helene de Carrère d’Encausse, l’egiziano Tahar Ben Jelloun, il libanese Alexandre Najjar, e il poeta e saggista palestinese Elias Sanbar.