LUGANO- dalla nostra inviata Ilaria Myr
“So che questo compito spetterebbe alle autorità federali, ma è mio onore personale chiedere scusa a Liliana Segre. Chiedere scusa e sperare che quell’errore non si ripeta più. Che sia un errore che appartiene alla storia e al passato”. Sono scuse ufficiali quelle rivolte dal consigliere di Stato svizzero Manuele Bertoli a Liliana Segre lunedì 3 dicembre all‘USI di Lugano, durante un evento organizzato da Micaela Goren Monti, Presidente della Goren Monti Ferrari Foundation, dal forte valore simbolico.
Davanti a una platea composta da rappresentanti istituzionali e studenti dei 6 licei cantonali, la Svizzera, tramite un suo rappresentante, ha pubblicamente chiesto scusa per la prima volta dopo 75 anni alla sopravvissuta alla Shoah e senatrice a vita per il rifiuto delle guardie che quel 7 dicembre 1943 rimandarono indietro lei, suo padre e due zii in Italia, dove furono arrestati e poi deportati ad Auschwitz. Centinaia i ragazzi presenti, che, mentre Liliana Segre entrava in sala, si sono alzati applaudendo.
Goren Monti: “Si riannoda un filo spezzato”
«La Goren Monti Ferrari Foundation che ho l’onore di presiedere – ha spiegato Goren Monti – ha realizzato oggi questo incontro animata da un desiderio forte quanto un dovere morale, riannodare un filo spezzato e operare un tikkun, una riparazione, non più differibile: accogliere Liliana Segre a Lugano a 75 anni dal grande rifiuto che ha sconvolto la sua vita di ragazzina di 13 anni. Grazie Liliana per aver accettato il mio invito, la mia emozione è fortissima, perché so che lascerai in ognuno di questi giovani studenti un seme che ognuno avrà la responsabilità di propagare e tramandare».
Citando poi la frase di Primo Levi “l’olocausto è una pagina del libro dell’umanità da cui non dovremmo mai togliere il segnalibro della memoria”, Goren Monti ha annunciato di volere istituire all’USI – con l’approvazione e con il sostegno del Rettore e del corpo accademico – un corso sulla Shoah e sulle diaspore.
Il rettore dell’USI Boaz Erez ha poi ribadito ai giovani presenti in sala l’importanza e il privilegio di potere ascoltare la testimonianza di una sopravvissuta. «Purtroppo come mi ha detto di recente mio figlio, l’animale più feroce al mondo è l’uomo, perché, al contrario degli animali, uccide senza avere bisogno», ha dichiarato.
Il valore della testimonianza
A sottolineare l’importanza della giornata è stato anche il sindaco di Lugano Marco Borradori: “La testimonianza di cui sentiremo oggi ha un grande valore storico, perché ci vuole una forza enorme per narrare l’inenarrabile. Mi ha lasciato stupito vedere come voi tutti vi siete alzati e, come un corpo unico, avete applaudito all’arrivo di Liliana Segre. È un gesto che testimonia la vostra sensibilità di giovani che, pur non avendo vissuto questi anni difficili, sapete riconoscere i valori come pure quei fatti che possono calpestare la dignità umana. Quasi come se, con questo applauso, il Ticino si sia voluto scusare per quella guardia che anni fa non fece entrare Segre e suo padre in Svizzera». Borradori ha poi invitato i ragazzi a recarsi a Milano al Memoriale della Shoah, «luogo simbolo della deportazione degli ebrei, dove campeggia la scritta fortemente voluta dalla signora Segre: indifferenza. L’indifferenza è grave almeno quanto un atto violenza».
«L’evento di oggi è particolarmente carico di commozione, perché avviene qui in Svizzera, dove le fu impedito entrare 75 anni fa, segnando la sua vita – ha dichiarato Ferruccio De Bortoli, introducendo la testimonianza di Liliana Segre -. Ma è anche commovente pensare che, a 80 anni dalle Leggi Razziali, un presidente della Repubblica italiana abbia voluto nominare dal Quirinale, da dove furono approvate le leggi razziali, una sopravvissuta alla Soah senatrice a vita. La memoria deve deve essere attiva, un vaccino che ci segue nella vita quotidiana e che ci permette di essere cittadini migliori. E il messaggio di Liliana Segre è quanto mai di grande attualità, oggi che, soprattutto nella rete vediamo riemergere fantasmi del’900, l’indifferenza è il male contemporaneo».
La testimonianza
E poi è stato il momento di Liliana Segre, che con la chiarezza e l’emozione che caratterizzano i suoi interventi ha raccontato la sua storia ai ragazzi. Un racconto, il suo, che è partito dalla sua infanzia milanese, segnata dalle leggi razziali. «A 8 anni non capisci perché vieni espulso senza avere fatto nulla – ha spiegato -. In molti hanno cominciato a fare come se fossi invisibile. Erano quegli italiani, molti purtroppo che non fecero una scelta».
Poi la fuga in Svizzera, la sensazione di essere quasi libera – “mi sentivo un’eroina” – e poi il rifiuto delle guardie svizzere. «Sprezzanti ci hanno rimandato indietro». Poi il carcere a Varese, a Como e a Milano. «Perché una persona che è colpevole solo di essere nata deve entrare in carcere?» ha chiesto ai ragazzi, facendo appello alla loro intelligenza emotiva. E poi la deportazione, il viaggio nel carro bestiame – «sul quale vorrei scrivere un testo a parte, troppe sono le cose da dire» – e l’arrivo ad Auschwitz, «dove la parola perché ormai non aveva più senso».
La traumatica separazione del padre, e poi la trasformazione in un ‘pezzo’, uno ‘stuck’, e il lavro nella fabbrica. «Quando sono stata nominata senatrice a vita sono rimasta sorpresa – ha spiegato sorridendo -: ho detto “io sono stata una clandestina con i documenti falsi, una richiedente asilo respinta, e una lavoratrice minorile schiava”. E oggi divento senatrice?!».
A colpire sempre nelle testimonianze di Liliana Segre è l’umanità dei suoi racconti e la volontà di trasmettere ai ragazzi i valori universali: come quello dello scambio con un professore belga a cui portava del materiale i fabbrica. «Lui mi ricordava mio padre, e io una figlia. Era un insegnante, e ogni volta che ci incontravamo parlavamo, anche se poco, di storia. In quel momento eravamo liberi. Poi un giorno non l’ho più visto».
O anche quando racconta della marcia della morte. «Non dite, vi prego, non ne posso più. L’essere umano, e le donne in particolare, è fortissimo, vuole la vita. E poi la fame: quando si muore di fame si attraverserebbe il mare e scalerebbero i monti». E qui la stilettata al presente. «Non stupiamoci se delle persone vengano da noi a cercare fortuna e una vita migliore…».