Perché il fascismo si accanì contro gli ebrei?

Opinioni

di Claudio Vercelli

[Storia e controstorie] La creazione del nemico, il disprezzo per la borghesia “smidollata”, il collante ideologico del razzismo di Stato

“Sì, ma allora, perché proprio contro gli ebrei?” In genere la domanda subentra del tutto spontanea a seguito della spiegazione grazie alla quale l’uditorio si è sentito dire che nulla poteva essere addotto nel 1938 (così come oggi, rispetto alla società repubblicana e costituzionale) per marcare una qualche specificità ebraica in grado di costituire anche solo l’ombra di un rischio per il regime fascista. Per l’appunto, allora perché il fascismo si adoperò contro una minoranza che era parte integrante del tessuto nazionale e che manifestava gli stessi tassi di lealtà, di conformità, così come di opposizione, al mussolinismo, al pari della maggioranza cattolica? Fatta giustizia delle facili e giustificatorie interpretazioni (le leggi razziste come concessione alla Germania; la loro applicazione “attenuata”; in sostanza la riproposizione del mito del “buon italiano” che, in questo caso, avrebbe fatto buon viso a cattiva sorte abbaiando ma non morsicando) rimane il problema di dare conto, non solo sul piano storico ma anche civile e morale, di quella catastrofe. Tale poiché ledeva non solo i diritti di una minoranza ma anche perché introduceva nell’ordinamento italiano una sorta di cittadinanza revocabile, ossia la fruizione della condizione di membri del Regno d’Italia in rapporto alla propria “appartenenza razziale”: un pieno godimento dei diritti per coloro che erano qualificati ariani; un riconoscimento decrescente, e sempre più svuotato nel corso del tempo, per i non ariani.
Un bel passo indietro rispetto allo Statuto albertino del 1848 come, più in generale, riguardo ai regimi costituzionali vigenti in una parte d’Europa all’epoca. Catastrofe per questa ed altre ragioni, quindi, e i cui motivi riposano in pochi ma chiari passaggi.

Il primo di essi è l’autonoma scelta del regime fascista di dare corpo, anche in Italia, ad un razzismo di Stato che avrebbe dovuto radicalizzare gli indirizzi politici del Paese. In questo non vi era, per l’appunto, alcuna concessione a Berlino ma, piuttosto, la scelta di seguirne l’indirizzo per meglio prepararsi alla guerra a venire, ovvero al ribaltamento degli equilibri geopolitici europei, contro i quali già da tempo la Germania hitleriana si stava adoperando.

Colpire una minoranza interna, adottando tutti i paradigmi dell’antisemitismo, serviva ad uniformare il resto della collettività ad una linea di crescente interventismo. Si trattava di mobilitare gli spiriti, indicando nello spettro del «complotto giudaico», del «giudeobolscevismo», dell’«internazionale ebraica» un qualcosa di falsamente concreto contro il quale scagliarsi, accettando infine anche l’ipotesi, non più peregrina, di entrare in guerra.
La seconda ragione del calcolo politico mussoliniano stava nel rompere definitivamente con ciò che restava della vecchia tradizione liberale, passando a una concezione “totalitaria” della società italiana. In quei mesi, non a caso, le polemiche contro la «borghesia», lo stile di vita accomodante, il «pietismo» degli «smidollati», si coniugavano alla ripresa dei temi plebei cari al primo fascismo: il cuore pulsante del regime avrebbe riposato nella «nazione proletaria», lanciatasi nella costruzione dell’«Impero», al quale il razzismo, fuori e dentro i confini italiani, dava finalmente corpo e sostanza.
Un terzo elemento da tenere in considerazione è, infine, la ritessitura di una trama ideologica tanto più necessaria per un regime che stava cercando una nuova ondata di consensi, dopo le vicende coloniali di due anni prima. Il bisogno di vedere confermato un costante plebiscito di assensi da parte degli italiani, per meglio affrontare l’alleanza competitiva con Berlino (un interlocutore tanto potente quanto scomodo), presupponeva una piattaforma radicalizzata, alla quale solo il razzismo di Stato poteva corrispondere in maniera adeguata. Si trattava di un vicolo cieco per tutti gli italiani e dell’apertura delle porte dell’abisso per gli ebrei. Con l’assenso di quei poteri non fascisti (la Casa regnante, la Santa Sede, le istituzioni pubbliche) che concorsero a fare sì, fosse anche solo per il loro silenzio, che la catastrofe avesse corso. Poiché delle leggi razziste il fascismo di certo porta la maggiore responsabilità ma proprio per questo non esclusiva.