di Paolo Castellano e Sofia Tranchina
Oltre la pandemia: vite interrotte dal Covid? Mai più. È tempo di tornare alla normalità (con cautela). Poter di nuovo studiare insieme, sposarsi, celebrare ricorrenze, Brit milà e Bar Mitzvà… Ecco alcune storie prima dolenti e poi felici di questi due anni di pandemia, un happy-end inaspettato e gioioso, malgrado tutto. Perché, come dice un proverbio yiddish, “non puoi controllare il vento ma puoi regolare la vela”
Rompere il bicchiere sotto la chuppà e scambiarsi gli anelli sotto il baldacchino nuziale. Ritornare a festeggiare un Brit milà corale, condividendo l’emozione del momento senza filtri digitali ma con un autentico, tangibile, trasporto di gioia (anche se solo intuito sotto la mascherina). E poi: recitare la parashà dal vivo, sulla tebà, e non via Zoom, ricevere la pioggia di caramelle e ridere con gli amici di scuola. Poter di nuovo studiare insieme, sposarsi, celebrare ricorrenze, Brit milà, Bar Mitzvà… Vite interrotte dal Covid? Mai più. Finalmente il tempo della ripartenza sembra giunto (in barba alle varianti). Tornare alla normalità è oggi, forse, possibile, malgrado lo slalom tra i green pass attivi o scaduti, nonostante altri inevitabili (e prevedibili) inciampi sanitari.
Decisioni prese e revocate, il dribbling tra le date probabili, pianificazioni a singhozzo, l’esasperazione che rischia di mangiarsi la gioia dell’evento. E infine, uno stress micidiale, quello di organizzare una cerimonia su cui pende la spada di Damocle dell’annullamento, fino all’ultimo istante. Con un monito: quello di imparare l’arte difficile della pazienza e soprattutto a non mollare. Magari trovando soluzioni originali e alternative, e vari escamotage per aggirare l’ostacolo. Perché la vita deve continuare. Come insegnano le vicende che leggerete qui sotto. Ecco alcune storie prima dolenti e poi felici accadute in questi due anni di pandemia, un happy end inaspettato e gioiso, malgrado tutto.
Un Brit Milà in balcone
quando la vita supera il cinema
Tra le tante cerimonie stravolte a causa del Covid, una in particolare non si può rimandare: il Brit Milà e l’imposizione del nome, da svolgere all’ottavo giorno dalla nascita.
Ce lo racconta una giovane coppia della comunità persiana di Milano: Karen e Sunny Ben David. «Aspettavamo da tanto il maschietto – racconta Karen, già mamma di due splendide bambine – e nonostante la peculiarità del momento, la nascita ci ha portato tanta gioia». Il marito, il più “festaiolo” della coppia, aveva previsto un grande kiddush al tempio persiano di Milano, il Noam, con la partecipazione dei numerosi membri della comunità iraniana, degli amici e dei parenti; con cibo, vino, canzoni e tanta allegria. La moglie invece, più riservata e schiva, aveva da subito sperato in una cerimonia intima in casa, per portare simchà e berachà tra le mura domestiche. Per questo, quando il primo lockdown ha impedito alla famiglia di organizzare una grande festa, Karen ha accolto la notizia con pacifica serenità.
Dalla scoperta del primo paziente italiano Covid il 23 febbraio 2020, la cerimonia prevista si è ridotta sempre di più. Il 9 marzo, infine, è stato emesso il divieto di organizzare assembramenti e celebrare occasioni festive in generale.
«All’inizio sembrava deludente dover rinunciare alla festa che avrei voluto organizzare con tutti i nostri amici -, racconta Sunny guardando nel vuoto, – ma la vita ci ha portato una grande dolcezza e, alla fine, è stato un Brit Milà unico che ci porteremo per sempre nel cuore», conclude sorridente.
Il neonato nasce un venerdì e il giorno della cerimonia dell’imposizione del nome cade il 4 aprile, uno Shabbat. Alla solitudine portata dal lockdown si aggiunge anche il divieto sabbatico di videochiamare i parenti e di fotografare l’evento. Ma ecco che la comunità si attiva subito e non solo il mohel Moti Yakobi riesce a raggiungere la famiglia per praticare il rito di circoncisione, ma anche la guida spirituale, oltre che stretto amico, Rav Simantov riesce a partecipare.E così, il piccolo David è stato celebrato con una seudat mitzvah casalinga, dalle due sorelle Elian e Sophie, dai genitori, dal mohel e dal rabbino. Per l’occasione gioiosa, Sunny ha finalmente stappato la preziosa bottiglia di Whisky che conservava da dodici anni. E per celebrare l’evento con gli amici del quartiere senza infrangere alcuna regola, i genitori sono andati in balcone ad annunciare a gran voce il nome nel nuovo arrivato, in un virtuale abbraccio collettivo. Una partecipazione corale ma da lontano. Ed e così che anche il dirimpettaio, il cohen Michi Haziz, ha potuto concedere la Birkhat Hacoanim, e che i vicini hanno preso parte ai festeggiamenti.
Un bar mitzvà “porta a porta”
Il 21 marzo di tredici anni fa, Daniel Nessim e sua moglie Jasmin sono stati benedetti dalla nascita di tre gemelli: Samuel e Max – i maschietti – e Mia.
Il che avrebbe implicato, secondo i loro piani, un’unica, immensa festa per celebrare i Bar e Bat Mitzvà di tutti e tre, in una location spaziosa, con un catering opulento, musica e tanti ospiti quanti ce ne sarebbero potuti stare.
La dolce e ignara Mia aveva acconsentito ad aspettare i due fratelli (le femmine, infatti, celebrano la “maggiorità religiosa” un anno prima dei maschi) per attenersi al progetto dei genitori. Ma, come dice un antico detto yiddish, Mann tracht, un Gott lacht, l’uomo fa progetti e Dio ride.
La lettura della tefillah sarebbe avvenuta regolarmente al compimento dei tredici anni, a marzo, ma la lettura della Torà e la successiva festa erano state previste per giugno, quando – grazie alle vacanze estive – tutti i parenti avrebbero potuto raggiungere i ragazzi in Italia e partecipare alla cerimonia.
Quando a febbraio le cose hanno iniziato a cambiare, ancora non era chiaro che cosa sarebbe successo. I ragazzi, intanto, imparavano a usare un nuovo software di videochiamata di gruppo, Zoom, per quella che poi sarebbe stata chiamata DaD (didattica a distanza).
Man mano che giugno si avvicinava diventava sempre più evidente che sarebbe stato impossibile far arrivare tutti i parenti dall’America e da Israele; le sinagoghe erano state chiuse e poi riaperte sotto prenotazione, e non si sapeva nemmeno se il rabbino, rav Simantov, vi si sarebbe potuto recare.
Ma i ragazzi avevano studiato per mesi la parashà, e sarebbe stato un peccato doverla cambiare per posticipare il tutto. Hanno quindi deciso di mantenere la data invariata e di adeguarsi a quelle che sarebbero poi state le restrizioni del momento.
A giugno ancora non era facile viaggiare e organizzare feste o cerimonie religiose. Al Noam, il tempio persiano, che accoglie in tempi normali circa trecento persone, era stato fissato un limite di cinquanta fedeli in ciascuna delle due sale adibite alle preghiere. Per non togliere troppo spazio agli habitués della sinagoga, il rabbino ha concesso alla famiglia di prenotare venti posti per gli ospiti del Bar Mitzvà: i nonni, gli zii, qualche cugino e qualche amico. Il rinfresco era stato vietato, e soltanto qualche fiore lungo la navata suggeriva che era un giorno diverso dagli altri. La mamma dei ragazzi, Jasmin, una donna pratica, ha cercato quindi su Google “Bar Mitzvà in tempo di Covid” e ha scoperto una nuova usanza americana: mandare una delivery a casa delle persone che si sarebbero volute invitare, con del cibo e dei gadget associati alla cerimonia. Facendo propria questa usanza, i genitori hanno quindi organizzato un catering kasher con Denzel, e hanno deciso di fare un passo in più: portare loro stessi con i ragazzi, porta a porta, delle ceste con il logo del Bar Mitzvà, una cena di shabbat, dei fiori e le kippot che erano già state fatte fare per la festa. Hanno dunque noleggiato un furgoncino, organizzato tutto con una party planner e prenotato un fotografo che si è recato con loro dalle 25 famiglie scelte a Milano, a scattare la foto quando queste scendevano a ricevere il loro pacco.
E per festeggiare con tutti i parenti sparsi per il mondo, i ragazzi hanno adattato l’uso dell’ormai famoso software Zoom per organizzare una festa virtuale, a cui hanno potuto partecipare non solo tutti gli invitati, ma anche coloro che anche in tempi normali non sarebbero riusciti a recarsi in Italia.
La terza volta è quella buona
Due occhi innamorati, un anello e una domanda: David Seralvo, milanese di origine libanese, ha chiesto la mano alla sua bella Jennifer nell’agosto 2019, un periodo ancora spensierato per molti di noi, ignari di quello che stava per piombarci addosso.
Ad un entusiastico “sì” sono seguiti subito altrettanto entusiastici preparativi e la scelta difficile: dove festeggiare? Con le famiglie dei fidanzati sparse in tutto il mondo, tra Italia, Francia, Israele, Stati Uniti e Brasile, chi avrebbe avuto la meglio, chi avrebbe avuto la comodità di festeggiare nel proprio territorio?
Per par condicio, David e Jennifer hanno scelto un territorio neutro: Ibiza, in Spagna. Tre mesi dopo, su un aereo diretto all’Isola Baleare, i due si apprestavano già a scegliere il wedding planner e organizzare la cerimonia, fissata per giugno 2020.
A febbraio viene pagata la prima rata, più di metà della cifra totale destinata alla cerimonia, e i due vanno a Parigi a incontrare gli organizzatori e finalizzare il progetto.
Ma al volo di rientro trovano una brutta sorpresa: il primo paziente affetto da Covid-19 è stato accertato a Codogno e il Paese trattiene il respiro nell’attesa di scoprire la situazione effettiva in cui l’Italia era piombata (insieme al resto del mondo) senza che nessuno se ne accorgesse.
Presto le cose cambiano, e in fretta. Un dpcm dopo l’altro, il matrimonio sembra sempre di più un miraggio, spingendo i fidanzati a prendere una decisione sofferta: posticiparlo. Non è così grave, si dicono: «spostiamolo di poco, e sarà tutto a posto».
Giugno 2021 è la nuova data sul calendario, ma la faccenda non accenna a migliorare… ed ecco, a scombinare di nuovo i piani arriva la seconda ondata.
Che fare? Il matrimonio viene posticipato ancora, a data da definirsi.
Un’innegabile angoscia attanaglia il fidanzato, irritato dal fatto di non poter più cambiare i piani – perché ormai era stato organizzato e pagato quasi tutto – e dal dover contattare di nuovo tutti gli invitati senza sapere cosa dire loro. Nel caos, arriva una bella notizia: Jennifer rimane incinta, e a febbraio, nel disordine irrisolto creato dal nuovo virus, nasce la piccola Naomi, a ricordare alla coppia che se anche i piani sono cambiati, la vita non si ferma e i buoni eventi arrivano comunque.
Arriva l’estate e ancora tra Israele, Brasile e USA non si può viaggiare con animo tranquillo. Avendo aspettato già tanto, non valeva la pena mollare proprio a quel punto e rinunciare ad avere la famiglia vicina durante il gran giorno. Il matrimonio viene posticipato all’autunno: il 4 ottobre 2021.
La terza volta è quella buona, si dice. Ed è stato così per i Seralvo, che lo scorso autunno – nell’ancora calda Ibiza – si sono sposati con la benedizione del rabbino Levi Hazan, arrivato direttamente da Milano per celebrare gli amici, dopo che gli uomini hanno compiuto un mikveh rituale nel Mar Mediterraneo.
Il mondo non è ancora uscito dalla pandemia e gli ospiti sono stati meno numerosi del previsto, centoventi, ma c’era un’ospite in più che non avevano immaginato di avere: la neonata Naomi. «Sposarsi è sempre un passo importante, ma avere una figlia sotto la chuppà porta un nuovo senso di solennità al rito. Non ce l’eravamo immaginati così, ma è stato meglio di come avessimo immaginato».
La cerimonia procede bene e David, ancora incredulo, ottiene i festeggiamenti in cui aveva sperato, con tanto kavòd.
Matrimonio senza amici
e cerimonia in streaming da Israele
E infine la più frammentata delle storie. Una tribolazione infinita di date fissate e modificate, inviti fatti e cancellati, location prenotate e disdette, tripli salti mortali per farsi ridare indietro le caparre già versate. Specie se si tratta di organizzare, di questi tempi, un matrimonio in Israele. Solo chi ci è passato sa davvero che cosa sia lo stress di un matrimonio in tempo di pandemia.
Partiamo dall’inizio. A Milano una giovane coppia si fidanza e vuole sposarsi. Le aspettative del sodalizio matrimoniale sono elettrizzanti: una casa da comprare insieme, la convivenza, e perché no, l’allargamento della famiglia sperando nell’arrivo di un bebè. Nella tradizione ebraica, si sa, il matrimonio è una tappa fondamentale dell’esistenza. Tali pensieri saranno balenati nella mente di Emanuele Tedeschi e Michal Sharabani che lo scorso agosto hanno potuto finalmente celebrare il loro matrimonio in Israele nonostante le minacce delle nuove ondate di Covid e le restrizioni sanitarie.
All’inizio del 2020, Emanuele e Michal decidono di sposarsi. Si sono conosciuti a Milano dove lavorano con impegno. Emanuele ha 28 anni e opera in un’impresa di produzione di calze. Invece, Michal è una ragazza israeliana di 25 anni che ha trovato l’amore nel capoluogo lombardo, a molti chilometri dai colori del Medio Oriente. Michal si occupa di e-commerce per un sito di moda e si augura di celebrare un matrimonio a casa sua, insieme ai parenti e agli amici che vivono in Israele. Insomma, Emanuele e Michal sono una solida coppia che ha voglia di costruirsi un futuro in un paese, l’Italia, che di giovani ha bisogno.
La coppia non immagina ancora che nel giro di pochi mesi sarebbe scoppiata una pandemia globale. Il virus inizialmente sembra lontano e Emanuele e Michal decidono comunque di fissare il loro matrimonio: la cerimonia si farà a giugno 2020. Viene messa così in moto la macchina organizzativa che è diretta magistralmente dalla sorella della sposa, Nofar, wedding planner di professione. La missione è quella di mettere in piedi un matrimonio in un kibbutz a pochi chilometri da Tel Aviv.
Con il passare delle settimane, i promessi sposi si rendono conto che il matrimonio non si potrà svolgere nella data scelta: nonostante a maggio il premier israeliano di allora, Benjamin Netanyahu, avesse dichiarato che “Israele aveva vinto contro il virus”, a giugno si verifica una nuova ondata che avrebbe causato migliaia di contagi e centinaia di morti.
Sorpresi dalle nuove e successive emergenze, Emanuele e Michal sono costretti a procrastinare le nozze per tre volte. Una vera tortura psicologica. Infatti, la casa per andare a convivere è già pronta ma i due ventenni ci tengono ad entrarci da sposati. Altri avrebbero gettato la spugna, ma Emanuele e Michel compiono un ultimo tentativo e fanno partire gli inviti per la nuova data del matrimonio: agosto 2021.
Nell’estate del 2021, a una settimana dalla celebrazione della cerimonia, Emanuele riesce finalmente a prendere un volo per Tel Aviv, nonostante le stringenti norme sanitarie. «Normalmente lo sposo deve arrivare qualche mese prima per scegliere la band e altri dettagli cerimoniali. Purtroppo non l’ho potuto fare e ci ha pensato la sorella di mia moglie», spiega Emanuele. Tuttavia, si moltiplicano i stop and go: in pieno agosto, lo Stato ebraico decide di negare l’ingresso ai visitatori stranieri. Chi non ha il passaporto israeliano o un visto lavorativo può scordarsi di varcare i confini israeliani. Malauguratamente, i divieti impediscono alla famiglia e agli amici italiani di Emanuele di raggiungerlo. Per di più, in Israele è ancora vivo il trauma dei missili lanciati nel cielo dal terrorismo palestinese: a maggio Hamas e la jihad islamica avevano sparato più di 4mila missili sui civili israeliani, dando inizio a una nuova escalation militare.
Esasperante, il tutto. La situazione sembra ricalcare lo stesso copione delle date precedenti. Il matrimonio sarebbe saltato di nuovo? Fortunatamente, l’ambasciata israeliana, ascoltando gli appelli della famiglia dello sposo, rilascia i permessi per i genitori e i fratelli di Emanuele che attendevano di partire per Israele. E gli amici? Per loro non si è potuto far nulla. Ci sarebbe stato un modo per farli partecipare ugualmente al matrimonio? Ed ecco un’intuizione: organizzare una diretta streaming della cerimonia. E così si è potuto celebrare il sodalizio matrimoniale tra Emanuele e Michal. «Pur con le preoccupazioni del Covid, ci siamo impegnati al massimo per poterci sposare. È stata una giornata fantastica, ci siamo goduti il momento. L’unico rammarico è non aver avuto al mio fianco gli amici di una vita. Ma questo ci insegna che non si può avere sempre tutto», ha commentato lo sposo. Come dice un proverbio yiddish: “Non puoi controllare il vento ma puoi regolare la vela”.