di Fiona Diwan
Camminare nel tempo raccoglie una serie di riflessioni sulle parashòt e sulle festività che scandiscono la vita ebraica. Rav Roberto Della Rocca costruisce così un itinerario spirituale che celebra la saggezza dell’ebraismo
Decenni di studi che si rincorrono, come un ventaglio multicolore, nelle svariate interpretazioni del testo biblico. Erratiche riflessioni in forma di “passeggiata” esegetica che come filamenti di luce accendono nuove letture. Intuizioni folgoranti che si traducono in un felice vagabondare di pensieri. Questo e molto altro ci regala l’ultimo saggio di Rav Roberto Della Rocca, un “camminare nel tempo” che in fondo altro non è che la storia ebraica a partire dallo srotolarsi settimanale delle parashot. Una vicenda che si gioca tutta al presente e che negando la dimensione del mito prevede che le antiche storie bibliche possano influire sulla nostra vita e sul nostro ruolo nella società qui e ora. Non esiste exemplum o mito da mettere su un piedistallo, ci spiega Della Rocca. Tutto è umano-molto-umano, qualcosa che si rinnova nel tempo a partire dalla ripetizione di un codice rituale, la lettura settimanale della Torà, identico eppure sempre nuovo, capace di parlare alla sensibilità dell’epoca e delle svariate personalità. Perché in fondo, per l’esistenza ebraica, il cielo è sempre blu e mai d’oro, come capì secoli fa anche Giotto, il blu della Vita e dell’Uomo, non l’oro della divinità. Non a caso la cultura ebraica inizia con la lettera Bet di Bereshit, ovvero il numero due, ponendo a proprio fondamento la ragion dialettica, il modello antidogmatico, la dimensione del dialogo e del pluralismo. Scegliere l’Alef, il numero Uno, per raccontare l’inizio di Tutto, avrebbe dato all’esistenza umana un carattere troppo assertivo o assiomatico, privando l’uomo dei benefici di un’anteriorità, ovvero dell’idea del limite contro le tentazioni dell’onnipotenza umana, spiega Della Rocca. Interessante la contrapposizione tra le figure di Abramo e Noè, due modelli alternativi, due dimensioni etiche contrapposte che Della Rocca declina spiegando che se Noè è l’uomo che per riscaldarsi indossa una pelliccia, Abramo è invece colui che accende il fuoco, così da scaldare anche gli altri, oltre se stesso; il primo salva il genere umano costruendo l’Arca, il secondo spalanca le sue tende per abbracciare il mondo. E poi Isacco che passa la vita a scavare pozzi per riaprire i canali dell’acqua viva sepolti sotto strati di sabbia accecante, Isacco che non si arrende; Giacobbe, tortuoso e ambiguo, che lotta con il proprio Io, quella parte di sé che lo boicotta e gli ricorda che ha rubato la primogenitura, che non merita niente, che non vale niente e che non sarà all’altezza di suo padre e nonno. Un corpo a corpo da cui uscirà vincitore ma che lo lascia menomato e insieme più forte, come sempre quando una lotta interiore ci porta a dominare le nostre pulsioni di morte e di fuga. E così, via via, scorrono le parashot e le feste del calendario ebraico, spiegate con un linguaggio attuale. Della Rocca ci prende per mano e propone la varie interpretazioni dei Maestri che ha fatto proprie, porgendole con parole di modernità e introspezione ma anche capaci di toccare le nostre corde più sensibili e profonde.