Israele contro Israele: come si risolverà lo scontro tra tribù?

Eventi

di Anna Balestrieri
Il conflitto nel paese tra le quattro (e mezzo?) società che non comunicano tra loro, le tribù di Israele di Rivlin, si fa sempre più marcata ed evidente. A questo tema è stato dedicato l’ultimo numero di Limes. Un’occasione di confronto nata dai 75 anni dell’indipendenza di Israele, in un incontro dell’Associazione Italia Israele di Milano e di Lech Lechà (già intervenuti all’evento del 9 dicembre sul post-elezioni in Israele, patrocinato dall’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane).

Dopo una breve introduzione di Davide Assael, presidente di Lech Lechà la parola è passata a Lucio Caracciolo, direttore di Limes, che ha delineato un quadro geopolitico che vede il “graduale ma evidente disimpegno degli Stati Uniti dalla regione mediorientale”, con un progressivo avvicinamento tra Russia ed Emirati per assorbire l’impatto delle sanzioni antibelliche. L’ultimo numero della rivista mensile è dedicato ai diversi modi di leggere Israele e la storia delle sue tribù, dall’interessante analisi delle strutture scolastiche come primo stadio di separazione tra haredim, secolari, sionisti religiosi ed arabi/drusi al significato cruciale della riforma della giustizia, punto di rottura insanabile in uno stato egualitario e democratico così come Israele è concepito nella diaspora. La crisi per Caracciolo non è originata dalla contestazione della riforma, bensì dall’assenza di costituzione.

Evocando la metafora di Danny Trom: «Lo Stato di Israele assomiglia a quel bambino in bicicletta che nel momento in cui si chiede come faccia a stare in equilibrio smette di pedalare, s’impanica e cade. Forse lo prevede, evita di pensare e continua a pedalare. Volta lo sguardo e smette di pensare ogni volta che è spinto a pensare che cosa stia facendo. L’assenza di costituzione, la predilezione per il bricolage e gli arrangiamenti provvisori in guisa di soluzione, la presupposta reversibilità di ogni iniziativa” sono la dimostrazione che probabilmente “Israele (r)esiste perché rifiuta di identificarsi e che lo sforzo di farlo potrebbe ucciderlo” (Limes 2023/3, 32). Questa sensazione di provvisorietà intrinseca al paese, è secondo Caracciolo, la magia e la tragedia di Israele.

L’interpretazione del direttore di Limes, che sottolinea la radice ottomana di Israele, è stata apprezzata dal demografo Sergio Della Pergola, esperto analista politico. La voce dell’emerito della Hebrew University è giunta ai 200 partecipanti alla conferenza direttamente da Gerusalemme, a pochi passi dalla Knesset, dove duecentomila manifestanti esprimevano il loro appoggio alla riforma, con interventi del ministro della Giustizia Levin e di Smotrich. La “destra piena” di Bibi è tuttavia tutt’altro che omogenea. I sondaggi evidenziano un movimento tettonico sia all’interno del Likud, sia nella fetta decisiva dell’elettorato composta dalla destra nazionale e costituzionale e dai sionisti religiosi orfani di Bennett. Le prove in vista per la maggioranza parlamentare che non è più maggioranza di strada non sono poche, prime fra tutte: un bilancio da approvare entro fine maggio e la riforma della legge sull’arruolamento per i giovani haredim, che richiede il diritto di prevalenza del parlamento sulla corte suprema, poiché la corte suprema subito l’annullerebbe.

Rav Ascoli

 

Della Pergola paragona le diverse figure che bramano potere alle cavallette delle makkot, le sciagure che colpirono gli egiziani nel deserto che ricordiamo nel seder di Pesach.  Il servo che diventa re, ricorderà Rav Michael Ascoli da Haifa, nella tradizione ebraica è fonte di governo ingiusto e sopraffattorio. Il problema non è quindi la riforma della Corte suprema, bensì quella del parlamento, a causa di uno sbilanciamento dei deputati per regione. E svela gli altarini: “Meno noto è il fatto che dietro la riforma si trovi un centro studi finanziato da circoli ultraconservatori e libertari americani, il Kohelet Policy Forum. I testi delle leggi proposte sono stati elaborati dai giuristi di Kohelet e poi adottati dai politici. Ma il Forum ha un programma più vasto che comprende fra l’altro la privatizzazione selvaggia dell’apparato dello Stato e una normativa più restrittiva nelle leggi che regolano l’immigrazione in Israele. La base teorica del Kohelet Policy Forum è interessante e preparata da persone competenti, accompagnata da un’aggressiva promozione con il supporto efficiente dei social media, ma fuorviante e settaria se analizzata attentamente. Di questa ingerenza il pubblico non è consapevole. In realtà la Corte suprema, di cui si vogliono ridurre i poteri, è stata finora un importante strumento di bilanciamento ed equilibrio di un sistema pieno di lacune legislative. La posta in gioco è alta. Si tratta, ricorda il professore, di “decidere se in Israele tutti i cittadini siano uguali di fronte alla legge: la maggioranza governativa di oggi risponde no a questa domanda”. Maggioranza che si propone come assoluta interprete dell’ebraismo, che in verità non impone affatto questo principio, bensì “proietta enormi valori di giustizia e di equità e di attenzione ai diritti delle persone e dei deboli” e non propugna “che gli uomini sono superiori alle donne, che gli ebrei sono superiori agli arabi, che gli straights sono superiori ai gay”. Ed è ancor più indegno che a farci la morale siano personaggi come Ben Gvir, che è andato ad offendere la memoria dei caduti ai cimiteri militari in occasione di Yom ha Zikaron pur non avendo mai fatto il servizio militare.

Nel saluto della comunità ebraica di Milano di Milo Hasbani (presidente della Comunità ebraica di Milano), si è confermata la crisi di fiducia in Netanyahu nella diaspora. “Se Israele è stato ebraico deve capire anche cosa vogliono gli ebrei”, ha ricordato Della Pergola.

La chiosa di rav  Ascoli è sprone al superamento dell’incapacità dialettica tra le tribù. La protesta alla riforma lo ha visto assistere a ragazzi dell’HaShomer Hatzair che applaudivano Lieberman, come a manifestazioni anti-riforma capeggiate dal rabbino capo della yeshiva di Gush Etzion. Difendere la democraticità e la laicità dello stato non è “di sinistra”.

La Speranza nel presidente israeliano Isaac Herzog e nella prevalenza del buon senso è stata la cifra fondante dell’incontro.