di Marina Gersony
C’era una volta, nel cuore pulsante del Lower East Side di New York City, una società fraterna che portava il nome di B’nai B’rith (B’B’), che sarebbe diventata l’organizzazione ebraica internazionale più influente, ancora oggi portatrice del significato di «Figli dell’Alleanza». Fondata il 13 ottobre 1843 da un piccolo gruppo di immigrati ebrei, soprattutto tedeschi, fuggiti da una realtà intollerante, questa lega dei fratelli, inizialmente chiamata Bundes Brüder (Lega dei fratelli), nacque dalla visione di anime inquiete e visionarie, tormentate dalle sfide che affliggevano il popolo ebraico. Gli incontri si tenevano al Sinsheimer’s Café, situato al piano terra di un edificio di mattoni a tre piani al numero 60 di Essex Street, uno dei tanti luoghi cupi del quartiere, ma anche intrisi di sogni e speranze. New York in quegli anni era un luogo affollato, sporco e puzzolente, dove mucche, maiali, cavalli, polli e ratti condividevano le strade fangose con carri e persone. Ma in quel caffè vibrante e cosmopolita si poteva percepire un’energia contagiosa. Le lingue tedesca e yiddish si mescolavano portando con sé i pensieri e le idee di quella piccola Kleindeutschland nel cuore di New York. Era un gruppo di ebrei emancipati dai nomi evocativi di un lontano ebraismo europeo: Isaac Rosenbourg, William Renau, Reuben Rodacher, Henry Kling, Henry Anspacher, Isaac Dittenhoefer, Jones Hecht, Michael Schwab, Hirsch Heineman, Valentine Koon (diventato Cohn) e Samuel Shaefer, guidati da Henry Jones, un ebreo di Amburgo che si era trasferito dalla Germania agli Stati Uniti. Erano dodici come le tribù di Israele, devoti membri della neonata sinagoga Ansche Chesed di Henry Street, uniti nel condividere pensieri, ideali, sfide e progetti. Tra calici di birra e tazze di caffè, menti illuminate affrontavano i problemi che gli ebrei dovevano fronteggiare in America: pregiudizi, povertà e isolamento. Uno di loro osservò che si trattava «di una deplorevole condizione degli ebrei in questo nostro paese adottivo». Fu Henry Jones, uomo colto e praticante, a occuparsi di reclutare gli ebrei presso la sinagoga di cui era segretario e amministratore, con l’obiettivo di fornire assistenza, supporto e promuovere la giustizia sociale per coloro che cercavano una nuova vita in terra straniera.
Una comunità divisa
Ma qual era la «deplorabile condizione» degli ebrei che preoccupava il gruppo al Sinsheimer’s Café nelle mattine domenicali del 1843? Non si trattava solo di povertà. Questi uomini si erano costruiti vite rispettabili nella nuova patria: fabbri, meccanici, orefici, barbieri, immobiliaristi, bottegai, artigiani e artisti. La maggior parte di loro non sapeva leggere l’inglese, ma avevano istituito scuole e puntavano sull’educazione dei giovani. Possedevano un giornale, l’Asmonean, presto seguito dal Jewish Messenger. (Il Forward, fondato dal lituano Abraham Cahan, avrebbe dovuto aspettare fino al 1897). Oltre agli organi di informazione, avevano sinagoghe, più di 30 congregazioni secondo alcuni conteggi, e il primo rabbino regolarmente ordinato era arrivato dall’Europa nel 1840. Tuttavia ciò che mancava loro era una voce e un senso di unità. Le divisioni all’interno della comunità erano evidenti, con risse, discordie, rivalità, fazioni ostili e la preoccupazione che gli ebrei potessero gradualmente scomparire come un popolo distintivo. Nel solo 1849, i registri cittadini registravano circa 50 club ebraici, ma le comunità non avevano relazioni tra di loro, tanto che i matrimoni tra ebrei di diversi gruppi venivano considerati da molti come matrimoni misti. Nonostante questo clima conflittuale, si posero le basi per gli immigrati ebrei di inserirsi gradualmente nel tessuto civile americano, supportati anche da associazioni e ordini fraterni.
Beneficienza, amore fraterno e armonia
Henry Jones comprese immediatamente l’importanza di unire la comunità ebraica americana durante quegli anni. Tale comunità era prevalentemente formata dagli ashkenaziti provenienti da Germania, Austria ed Europa orientale, da una minoranza di sefarditi originari del Mediterraneo (come Spagna e Portogallo) e da mizrahim del Medio Oriente e dell’Africa settentrionale. L’incremento costante del numero di emigranti richiedeva un’organizzazione che si occupasse della loro sistemazione e del loro sostentamento. Mentre la sinagoga, sempre più divisa da dispute interne, non poteva affrontare questa sfida, Jones intuì che la Loggia avrebbe potuto intervenire e riunire ciò che le controversie religiose avevano diviso. Così nacque il B’nai B’rith, durante la presidenza di John Tyler, un’istituzione destinata a educare e guidare gli ebrei americani. Jones era convinto che gli ebrei dovessero essere un faro per l’umanità intera, un esempio di fede e di solidarietà. L’organizzazione aveva un duplice scopo: da un lato, doveva preservare l’identità ebraica, proteggendola dalla secolarizzazione e dalla perdita di radici; dall’altro, doveva evitare che le dispute teologiche portassero a divisioni all’interno della comunità. Il B’nai B’rith si ergeva al di sopra delle differenze politiche e delle correnti religiose ebraiche, favorendo l’unità tra gli ebrei. Si trasformò così nel centro di tutte le questioni relative alla comunità ebraica americana e divenne il punto d’incontro per ebrei ortodossi e liberali. Sebbene ebrei, lo statuto che scrissero non faceva menzione di D-o, sinagoga, Torah o Talmud. Piuttosto, il suo motto era «Beneficenza, Amore Fraterno e Armonia» (Wohltätigkeit, Bruderliebe und Eintracht), la sua missione era «unire gli Israeliti» per promuovere interessi comuni tra cui attività educative e filantropiche. Il suo primo atto consisteva nel creare un fondo pensione per le vedove, aiutare gli orfani, visitare i malati, offrire servizi di volontariato, raccogliere fondi per gli ospedali e scuole, istituire borse di studio. Così, venne affittato uno spazio presso la Masonic Home di Henry Street. Si scelse come simbolo dell’Ordine la menorah, icona di luce per eccellenza, di tolleranza e verità che allontana l’individuo dalle tenebre della superstizione e dell’intolleranza.
Freud e il legame con la loggia
Fu così che nei decenni a seguire la fiamma dell’impegno ebraico bruciò in tutta la sua intensità e si diffuse rapidamente oltre le rive di New York. Il B’nai B’rith si diffuse in Europa, Sud America e in ogni angolo del mondo, forgiando un legame globale tra le comunità ebraiche. Il B’B’, simbolo di fratellanza senza confini, si evolse per affrontare ogni sfida. Combattendo l’antisemitismo, difendendo l’identità ebraica e promuovendo l’uguaglianza, offriva una mano solidale a coloro che erano emarginati, donando aiuto e speranza. Grandi sostenitori del B’B’ furono, tra gli altri, anche Albert Einstein e Sigmund Freud. Quest’ultimo vi aderì una sera del 23 settembre 1897. Suo padre Jacob era appena scomparso, era un momento in cui l’antisemitismo si stava diffondendo nell’impero austro-ungarico. Il futuro fondatore della psicanalisi esordì di fronte ai fratelli dei B’B’ il 7 dicembre 1897, con una conferenza sui sogni che fu accolta con entusiasmo e che anticipò di due anni l’uscita della sua Traumdeutung, l’Interpretazione dei sogni. Freud rimase tutta la vita molto legato al B’B’ e alcuni studiosi hanno evidenziato quanto quella esperienza nell’Ordine possa aver giocato un ruolo chiave nella costruzione della psicoanalisi. Come osserva Elisabetta Cicciola, attenta studiosa che ha indagato la lunga appartenenza di Sigmund Freud al B’B’, meriterebbe di essere approfondito quanto la mistica ebraica e il cotè esoterico coltivati in seno al B’B’ abbiano influenzato alcune sue teorie. Freud espresse in più occasioni la sua gratitudine per essere stato accolto nell’organizzazione, dove trovò comprensione e sostegno circa i suoi interessi umanitari e nazionali. Il B’nai B’rith fu per lui un laboratorio di idee, un tempio di tolleranza, uno spazio protetto e intellettualmente stimolante dove poter esprimersi liberamente.
Guerre mondiali, Israele e antisemitismo
Negli anni a venire il B’nai B’rith andò ad arricchirsi di altre sezioni e funzioni: l’Anti Diffamation League nel 1913 e il Forum culturale per studenti nel 1923, per poi diffondersi rapidamente in altre nazioni al di fuori dell’America. Durante le due guerre mondiali, quando il mondo sprofondava nell’oscurità, l’organizzazione sorgeva come baluardo di speranza. I suoi membri, in mezzo al caos, si dedicarono a salvare vite umane, costruendo rifugi, fornendo cibo e cure mediche. Innumerevoli iniziative furono intraprese, rischiando tutto per proteggere gli ebrei oppressi dalla violenza e dall’odio. L’Ordine, nella sua missione di tutela delle minoranze ebraiche, esercitò potenti pressioni tramite la diplomazia americana per aiutare gli ebrei perseguitati in diverse parti del mondo, come Russia, Romania e Germania. Intanto, dopo secoli di speranza e di lotta, finalmente, nel 1948, lo Stato di Israele nacque dalle ceneri dell’antica terra. Fu un momento di gioia e di sfida. Il B’B’ si schierò senza riserve al fianco di Israele, difendendo la sua legittimità e promuovendo la sua causa in tutto il mondo. Attraverso campagne di sensibilizzazione, incontri diplomatici e sforzi umanitari, si fece portavoce dei diritti ebraici e della necessità di un futuro pacifico per il suo popolo. Non solo: tra le innumerevoli battaglie del B’B’, c’era la lotta contro l’antisemitismo e la discriminazione che continuavano a minacciare la vita degli ebrei in tutto il mondo. In risposta, l’organizzazione si impegnò attivamente nella lotta contro l’ignoranza e la diffamazione. Con fervore e passione, promosse l’educazione, organizzò conferenze e programmi di sensibilizzazione per dissipare i pregiudizi. Dedicò inoltre anche a costruire ponti di comprensione e dialogo tra le diverse fedi e culture. Attraverso incontri interreligiosi, scambi culturali e iniziative di pace, l’organizzazione coltivò l’empatia e l’accettazione reciproca.
La loggia di Milano
Intanto, anche in Europa le comunità ebraiche avevano da secoli svolto un ruolo di accoglienza e sostegno per i bisognosi, non solo tra i propri membri, ma anche per i non ebrei. In Italia, il B’nai B’rith, conosciuto come Bené Berith, si organizzò con tre sezioni a Roma, Milano e Livorno. (Nella Capitale esiste attualmente anche una sezione giovanile, il Benè Berith Giovani). L’impegno solidale nel capoluogo lombardo si manifestò attraverso diverse iniziative, come la creazione della Società Umanitaria da parte di Mosè Loria e la costruzione del Pio Albergo Trivulzio nel 1902, promosso dall’associazione dei Martinitt e delle Stelline durante la presidenza di Augusto Donati, un avvocato modenese trasferitosi a Milano e fratello di Salvatore Donati, bisnonno di Giorgio Mortara. Giorgio Mortara, medico e Coordinatore Scientifico del progetto «Salute e identità religiose: per un approccio multiculturale all’assistenza alla persona», ha recentemente narrato la storia della sua famiglia, che si intreccia con quella della loggia milanese, durante una serata organizzata dal Bené Berith.
Mortara ha spiegato di come a Milano, a partire dal 1933, cominciarono ad arrivare gli ebrei in fuga dalla Germania e dai Paesi mitteleuropei; inizialmente giovani e studenti e successivamente, con l’aggravarsi della situazione, intere famiglie in condizioni sempre più precarie: «Tra questi ricordo Berl Grosser che divenne presto amico di famiglia e si dedicò a tempo pieno nella Delasem (Delegazione per l’Assistenza degli Emigranti Ebrei), anche durante tutto il periodo bellico e che sarà tra i fondatori del B’nai B’rith assieme a Rav Friedenthal, Renato della Torre, Joseph Colombo e Amedeo Mortara», ha ricordato. L’impegno per il volontariato, l’aiuto per l’altro, il migrante, il perseguitato e la lotta al fascismo si fusero così creando il nucleo di resistenza e resilienza in una parte almeno dell’ebraismo italiano. Negli stessi ambienti e dalle stesse persone fu poi svolta successivamente l’azione che va sotto il nome di Aliyà bet. Questo lavoro, ha continuato Giorgio Mortara, iniziò lo stesso 25 Aprile per proseguire con successo sino al maggio del 1948 e in forme diverse, anche in seguito. A tutti quei generosi che hanno dato il loro impegno e sostegno, il Bené Berit ha idealmente dedicato la loggia intitolata ai nomi di Nathan e Anna Cassuto. Nacque quindi nel 1954 la loggia del B’B’ a Milano intitolata a entrambe queste figure rappresentative delle sfide degli anni del Ventennio fascista e della costruzione dello stato di Israele.
Come ha osservato a sua volta Joe Abeni, Mentore ed ex Presidente Bené Berith di Milano, «negli ultimi 5-6 anni, la loggia di Milano è diventata una delle più attive in Europa. Ha triplicato le sue azioni benefiche e ha ristabilito i rapporti con le logge italiane. Inoltre, ha riattivato il progetto dell’Unione del Bené Berith Italiano insieme a tre logge italiane. La loggia ha anche stabilito nuovi legami con logge francesi, svizzere e di Istanbul, aprendo la strada a scambi di idee, collaborazioni e visite reciproche. Non solo. Si è impegnata attivamente in difesa di Israele, manifestando in piazza davanti alle Nazioni Unite a Ginevra, ma ha anche tenuto conferenze, incontri culturali e sociali, e sostenuto organizzazioni e associazioni impegnate nel campo sociale ed assistenziale a Milano. Nonostante le sfide della pandemia di Covid-19, la loggia è riuscita a superare ostacoli e problemi strutturali, dimostrando una notevole maturità e indipendenza. Infine, guardando al futuro, si impegna a continuare il suo percorso di crescita nel rispetto dei principi morali e universali del Bené Berith. Il prossimo anno la nostra loggia compirà i 70 anni dalla sua fondazione – ha concluso Abeni –. Auguro molti altri successi al Bené Berith – Loggia Nathan e Anna Cassuto di Milano».
Oggi, il B’nai B’rith continua a brillare come un faro di speranza nelle tempeste del mondo. Le sue logge si estendono in ogni angolo del globo, unendo le comunità ebraiche in un legame indissolubile. L’organizzazione affronta le sfide contemporanee, come il risveglio dell’antisemitismo e le nuove minacce alla libertà e alla dignità umana. Con passione e impegno, per difendere sempre i valori di giustizia, servizio e amore per l’umanità.