di Marina Gersony
Convivenza sotto il profilo religioso, ma anche culturale e sociale che ha come contrapposizione l’intolleranza e la discriminazione: è stato questo il tema di Sublimar, il primo Festival Internazionale di Letteratura Religiosa che si è svolto dal 20 al 23 giugno scorso a Milano. È stata l’occasione per dare spazio alle diverse fedi e Confessioni, senza escludere posizioni atee o agnostiche. Quindi romanzi, saggi, racconti, poesie e testimonianze di studiosi e religiosi come Letizia Tomassone, Pastora della Chiesa Valdese, già vicepresidente della Federazione delle Chiese Evangeliche in Italia («La conoscenza dell’altro, nella consapevolezza della diversità, è fondamentale per il rispetto reciproco»); l’imam Yahya Pallavicini della Co.Re.Is., Comunità Religiosa Islamica Italiana («L’inconciliabilità di numerosi assiomi religiosi non preclude il dialogo e una sana convivenza pacifica») e Monsignor Pier Francesco Fumagalli, Dottore ordinario e Vice Prefetto presso la Veneranda Biblioteca Ambrosiana e direttore della Classe di Studi sull’Estremo Oriente, che ha sottolineato l’importanza della letteratura come «ponte tra le religioni». Tra i i membri del comitato interreligioso di sostegno, figura anche Rav Elia Enrico Richetti, Rabbino della Sinagoga di via Eupili a Milano e attuale presidente dell’Assemblea Rabbinica Italiana.
Nel corso dei dibattiti il dialogo religioso si è rivelato una necessità sempre più urgente alla luce dei troppi episodi di violenza che si perpetrano nel mondo in nome di Dio; guerre di religione che non sono certo una novità nella storia, così come gli scontri tra popoli, gruppi ed etnie di diversa fede, tradizione, ritualità e cultura.
Da dove cominciare allora? Come superare la diffidenza verso l’altrui vissuto religioso e promuovere un dialogo che possa portare a nuove aperture? In ultima analisi, tutte le religioni aspirano a un riferimento e a un’unione con l’Unico e Assoluto Dio e a sviluppare una convivenza di tolleranza e di pace.
Haim Baharier, matematico e psicoanalista noto per le memorabili lezioni di ermeneutica ed esegesi biblica, si è concentrato, tra l’altro, sul tema dell’identità, elemento fondamentale che riguarda la concezione/consapevolezza che un individuo ha di sé stesso nell’ambito della sua esistenza e nella società: «Non bisogna accettare di assumere l’identità artificiosa che ci viene attribuita da chi ci avversa e ci vuole distruggere», ha spiegato lo studioso. Lo stesso Primo Levi, ha ricordato Baharier, affermò di non voler essere identificato come ebreo secondo il modello di chi lo voleva distruggere e annientare: «Il discorso identitario viene riaffermato sottolineando il nome ebraico dell’Esodo, shemot, “nomi”. È il libro sacro a darti un’identità indicando il tuo nome».
Difficile riassumere in poche righe l’ampio e interessantissimo intervento di Baharier che, tra riflessioni stimolanti e dotte citazioni di Torà, ha anche voluto presentare il concetto di Spiritualità da un punto di vista laico, ovvero, separato da quello che potrebbe definirsi «un possesso delle religioni». A questo proposito ha citato il primo versetto di Bereshit (Genesi), facendo notare che Bereshit significa «con il Principio», «per mezzo del Principio», il Signore creò Elohim, gli dei. Il verbo usato per l’atto di creazione esprime il concetto di generazione, figliolanza. In questo passo del Genesi si distingue nettamente fra il Principio e gli Elohim, come a indicare che la Spiritualità deve staccarsi dalle divinità e guardare al Principio.
Toccante è stata la testimonianza di Angelica Calò Livné sulla situazione in Israele e Palestina. Insegnante, formatrice, regista, scrittrice, fondatrice e direttrice artistica della Fondazione Beresheet La Shalom – Un inizio per la pace con sede in Alta Galilea, ancora una volta ha saputo appassionare e coinvolgere il pubblico con le sue parole di pace e il suo forte impegno per il dialogo tra diversi che le è valso innumerevoli riconoscimenti, tra cui una candidatura al premio Nobel per la Pace.
Tra le diverse anime dell’Ebraismo, al Festival ha partecipato anche la Sinagoga Riformata Lev Chadash con un esaustivo intervento del Professor Yitzchak Dees, affiancato dai membri veterani Rossana Ottolenghi e Aldo Luperini.
«Noi ebrei riformati dobbiamo moltissimo alle tradizioni che abbiamo ereditato dai nostri avi. Tuttavia, in queste tradizioni vi è spazio per il miglioramento ed è su di noi che ne ricade la responsabilità», ha dichiarato il Professor Yitzchak Dees, osservando tra l’altro che «poiché l’ebraismo riformato è così impegnato riguardo all’uguaglianza tra le persone e alla dignità umana, esso rifiuta la maggior parte delle discriminazioni basate sui generi. Per tale ragione, ordina rabbini donne e incoraggia le donne a essere coinvolte in modo attivo e paritario nella leadership della comunità ebraica riformata».
Il Festival si è chiuso con una domanda sottintesa: il nostro mondo è pronto a una maturità religiosa dove una persona può rimanere fedele al proprio credo comprendendo e rispettando quello degli altri? E una convivenza tra fedi diverse è possibile?
«Con questo Festival si è costruita un’occasione nuova: si è voluto dare spazio alle voci della religione che non si esprimono per mezzo di capi, ma attraverso la letteratura, le parole degli uomini e delle donne che compiono il loro percorso spirituale. Questo era il nostro obiettivo e possiamo dire di averlo raggiunto: nei prossimi anni, potremo verificare la solidità della nostra costruzione», ha concluso Brian Norsa, responsabile interconfessionale di Sublimar.
Per concludere, la parola di Dio, comunque Lo si chiami, vuole essere uguale in tutte le religioni del mondo: un denominatore comune di amore, di speranza e di liberazione dal dolore della vita sulla terra.