Identità, educazione, famiglia: coinvolgente incontro fra il Rabbino Capo Rav Arbib e la Comunità

Kesher

di Roberto Zadik

Domenica 25 febbraio si è tenuto l’incontro con rav Alfonso Arbib, nell’Aula Magna A. Benatoff della scuola ebraica. Il rabbino Capo di Milano ha risposto alle domande del pubblico sul tema Identità, educazione e famiglia. Domande, riflessioni e insegnamenti di Torah

Un evento davvero intenso, quello di domenica 25 febbraio quando il Rabbino Capo Rav Alfonso Arbib si è soffermato sul tema portante e complesso dell’educazione rapportandolo alla tradizione ebraica. Sollecitato dalle domande del pubblico comunitario durante l’evento Identità, educazione e famiglia, il Rav ha puntualmente risposto a una serie di quesiti e curiosità poste dai presenti, tutto questo preceduto da una introduzione in cui ha citato un importante passo della Torah “Educa un ragazzo secondo la sua strada”.

Durante l’incontro moderato da Manuel Kanah, il Rav si è molto soffermato sul rapporto fra educazione, giovani e ebraismo. “Ci viene spesso detto che le persone sono diverse fra loro – ha esordito – per questo motivo dobbiamo provare a educare un ragazzo in modo che egli poi possa andare avanti per conto suo”. A questo proposito egli ha citato come esempio di questo principio il simbolo della Menorah e il relativo commento di Rashì che sottolinea come il Cohen debba accenderla “fino a quando la fiamma vada avanti da sola”. “Educare – ha spiegato poi il Rav – significa accendere una fiamma e introdurre dentro una strada anche se è illusorio pensare che si educhi continuamente perché noi educhiamo in un certo modo ma non sappiamo quale sia il risultato della nostra educazione”. Citando un grande saggio come Rav Wolbe, il Rabbino Capo ha evidenziato l’importanza del rapporto fra la semina e il raccolto nell’educazione soffermandosi sulla centralità dell’insegnamento  dell’ebraismo ai ragazzi.

A questo proposito egli ha evidenziato che “possiamo stimolare un ragazzo ad avere fede ma non possiamo instillarla dal nulla. Essa deve essere già presente in qualche modo nella personalità”. “I saggi – ha proseguito – dicono che invece bisogna costruire non la fede ma il Timore di Hashem, che non è la paura ma riuscire a trasmettere che ci siano cose fondamentali in una famiglia”. “Dobbiamo stare molto attenti alla tendenza che non ci sia nulla di importante” ha affermato specificando che secondo un grande Maestro contemporaneo come Rav Itzhak Hutner “la tradizione ebraica è invece una costruzione di importanza e dobbiamo riuscire a costruire questo, mentre la fede va seminata e bisogna riuscire a tirarla fuori nel singolo”.

Ma, riguardo all’identità ebraica, qual è stato il pensiero espresso dal Rabbino Capo? “È fondamentale trasmettere ai nostri ragazzi che non sono uguali agli altri, una cosa non semplicissima” ha subito risposto il Rav evidenziando che è anche molto importante permettere al ragazzo di sviluppare una propria individualità e non solo in senso ebraico.

Successivamente dal pubblico sono emerse alcune interessanti domande fra cui “Com’è cambiata negli ultimi trent’anni la nozione di identità ebraica”. “Sinceramente non lo so – ha risposto il Rav – ma c’è una maggiore coscienza, è aumentata l’osservanza delle mitzvot e quarant’anni fa c’era meno osservanza. Non so se è aumentato l’impegno, perché l’ebraismo è impegnarsi, e penso sia diminuito e che ci sia una tendenza generazionale al disimpegno. Un legame molto forte è quello con Israele e col sentirsi parte del popolo ebraico; altre cose invece sono un po’ diminuite e abbiamo ragazzi che tendono ad impegnarsi poco. Anche se è molto difficile fare confronti fra le generazioni ma ci sono sicuramente dei cambiamenti”.

Il Rav, rispondendo a un quesito delicato come “se ci siano stati dei cambiamenti dopo il 7 ottobre” ha detto che “è iniziata una coscienza di pericolo e una solidarietà delle persone verso lo Stato di Israele ed è un elemento classico dei momenti di crisi, anche se non so cosa sia cambiato nel profondo e penso sia presto per dirlo”. Ma come aiutare i ragazzi a difendersi dagli attacchi? “Questo dipende – ha detto il Rav – dall’aiuto nel fornire conoscenze, che è il compito di noi insegnanti; il modo di difendersi è riuscire a reagire a falsificazioni storiche. Oltre a questo, il problema della difesa non è semplice, molti attacchi sono pregiudiziali e la discussione è impossibile perché quelli che ci attaccano sono  motivati da pregiudizi antisemiti molto antichi, che a volte riprendono l’antisemitismo Ottocentesco e Medievale. Ci hanno anche accusato di Vendetta ebraica ma noi ebrei non ci siamo mai vendicati di nessuna persecuzione”.

Su questo tema è intervenuto Manuel Kanah “non ho fatto la scuola ebraica e sapevo molto poco, anche se un tempo l’identità era una cosa mia personale e non lo dicevo. Poi crescendo ho capito  che va creata una forte identità a prescindere da quello che può esistere e quando sei sicuro di quello che sei è importante. Quando hai un’identità forte è più difficile essere attaccati. L’identità è qualcosa di molto intimo e bisogna sapere come e quando difendersi”. Successivamente Kanah ha chiesto a Rav Arbib “come si instilla nella famiglia l’identità ebraica?”. “Essa non si instilla, anche volendo non ci riesco magari si danno delle gocce di identità. Educare in famiglia significa trasmettere principi fondamentali, come quello che l’ebraismo insiste molto sui doveri e molto poco sui diritti”. “Abbiamo 613 mitzvot, da fare o meno mentre nella Torah non si parla mai di diritti – ha specificato – mentre come minoranza ci viene chiesto quali siano i nostri diritti e molti pensano che abbiamo diritto a tutto quanto desideriamo e questo è profondamente non ebraico”. “Viviamo in un mondo che dà priorità alla soddisfazione dei desideri qualunque essi siano. Qui a scuola facciamo la preghiera e fino a poco tempo fa avevamo minian e ora è aumentato il numero di famiglie religiosa, ma molti non vogliono alzarsi presto la mattina”. “Riuscire a trasmettere che non vivo perché ho dei diritti ma siccome ho dei doveri è fondamentale, anche se nell’ebraismo ci sono una marea di cose, da occuparsi degli altri, allo Shabbat, alla Kasherut ma se riesco a trasmettere l’importanza dei doveri è già qualcosa”.

Rav Arbib ha poi  parlato dell’importanza del buon esempio dei genitori sui figli. Subito egli ha citato la battuta “I figli non ascoltano mai i genitori ma non smettono mai di imitarli, evidenziando che tutti i genitori hanno i loro fallimenti come educatori e soprattutto gli adolescenti non ascoltano i genitori; ma essi vedono e imitano quello che essi fanno”. Molto pericoloso per il Rav è “predicare bene e razzolare male trasmettendo quello che per noi è importante”. Citando un aneddoto personale “Quando ho fatto il Bar Mitzvà ho iniziato a mettere i tefillin ma ogni tanto c’erano dei problemi, ma ho visto che mio padre ci stava male se non li mettevo”. Su questo Kanah ha aggiunto “che la media delle persone che si frequentano decide quello che noi siamo e facciamo e ci influenzano”.

Altro punto importante della discussione sono stati i rapporti fra marito e mogli e fra genitori e figli. Riguardo al primo tema il Rav ha citato la creazione di Eva dalla costola di Adamo con il verso che “la donna è un aiuto davanti oppure contro di lui”. “La donna e l’uomo si devono completare fra loro – ha affermato – ma il termine Neged significa Contro e un grande commentatore come il Naziv di Volhozin che lo interpreta così perché nel matrimonio vi è il rapporto fra persone diverse fra loro. Da una parte inevitabilmente siamo diversi e questo può essere distruttivo nello scontro fra caratteri ma può essere costruttivo perché ognuno ha bisogno di avere vicino qualcuno che gli dica quando sbaglia“. Una delle mitzvot è “ammonire il prossimo ma il problema è che noi non accettiamo gli ammonimenti, un rapporto che funziona è che per il tuo bene l’altro ti dica che stai sbagliando e questo è un grande aiuto”. Il matrimonio è anche “un’opera di benevolenza verso il prossimo (ghemilut chassidim) e in ogni momento nel matrimonio si aiuta il prossimo. Il problema è se nel matrimonio ci si mette al centro o si lascia spazio all’altro cercando di adattarsi e lasciando correre su quello che non ci piace dell’altro perché è molto pericoloso se entrambi si mettono al centro del matrimonio”.

Riguardo al rapporto fra figli e genitori, il Rav ha citato il Quinto comandamento “Onora i genitori” che viene ripetuto nella parashà di Kedoscim che “una persona deve temere suo padre e sua madre”. Il timore dei genitori è “il riconoscimento dell’autorità dei genitori, non posso sedermi dove si siedono i genitori e non posso chiamare genitori per nome, mentre onorarli significa occuparsene. I genitori non sono amici dei figli e devono fare il loro compito e devono riuscire ad essere di esempio, cosa che non è per niente facile”. “Molto importante è non solo aiutare i figli nei compiti scolastici ma studiare Torah assieme ai figli evitando di creare una atmosfera di paura”.

Uno degli ultimi punti affrontati è stato quello delle famiglie separate e in questo senso “siamo davanti a una situazione non ideale, perché è fondamentale un rapporto fra genitori e quando non c’è questo è molto complesso. I doveri rimangono gli stessi ed essere d’esempio rimane prioritario. Il problema comune a tutte le famiglie, separate o meno è che esiste la tentazione  profondamente errata di delegare l’educazione alla scuola; la tendenza di oggi a pretendere diritti è molto forte e aumenta nelle famiglie separate”. “Non abbiamo formule magiche ma ognuno deve fare del suo meglio, assumendoci le nostre responsabilità nonostante la dilagante tendenza al lasciar fare ad altri. Secondo Rav Solovetchick fondamentale è evitare di delegare responsabilità e ogni genitore deve assumersi le proprie“.