Pubblichiamo un interessante intervento di Rav Jonathan Sacks, già Rabbino Capo di Gran Bretagna e Commonwealth, comparso sul sito Times of Israel il 28 di luglio.
“Fra nove giorni le comunità ebraiche in tutto il mondo si raccoglieranno in un lutto collettivo in occasione di Tisha be’Av, il giorno delle lacrime ebraiche. Così tante lacrime. Per la distruzione del primo e del Secondo tempio. Per la sconfitta della ribellione di Bar Kochba. Per l’espulsione degli Ebrei dall’Inghilterra nel 1290 e dalla Spagna nel 1492 Per il giorno in cui a Himmler fu affidata la soluzione Finale Final Solution,” portando allo sterminio degli Ebrei d’Europa.
Come parte di una generazione nata dopo L’olocausto, la cui identità si è formata nella scia della Geurra dei Sei Giorni, credevo che Tisha b’Av e la sensibilità nei suoi confronti appartenesse al mondo dei miei genitori e dei loro. Non era nostra. Loro erano ha-zorim be-dim’a ( coloro che seminano con le lacrime) e noi eravamo be-rinah yiktzor (“mieteranno cantando “, dal Salmo di David 126). Loro avevano seminato lacrime in modo che noi potessimo raccogliere la gioia.
Le ultime tre settimane sono state molto difficili per gli ebrei in tutto il mondo, e soprattutto per lo Stato d’Israele. Dopo il rapimenti e l’uccisione dei tre teen-agers israeliani e di un loro coetaneo palestinese, si sono intensificati gli attacchi dei razzi di Hamas. Il risultato è stato un attacco di un genere che nessun’altro paese al mondo aveva mai affrontato: peggio del blitz nella seconda guerra mondiale. (Nel picco del Blitz, i tedeschi lanciavano circa 100 missili al giorno contro i britannici, mentre in questo conflitto Hamas ha mandato in media 130 missili al giorno contro Israele). Abbiamo sentito le lacrime dei feriti e degli indifesi. Le abbiamo sentite anche per i palestinesi, tenuti ostaggio da Hamas, un’organizzazione terroristica.
La maggior parte del mondo ha condannato Israele per avere adempiuto al primo dovere di ogni governo in qualsiasi luogo: difendere i propri cittadini da un attacco alla loro vita. Qual è l’alternativa in una situaizone in cui Hamas nasconde missili nelle scuole, piazza lanciatori di razzi negli ospedali e nelle moschee, usa le ambulanze per trasportare terroristi, mette le entrate dei tunnel sotto gli appartamenti e usa l’intera popolazione come scudi umani?
Come il colonello Richard Kemp, un ex comandante delle truppe britanniche in Afganistan, scrisse nel London Times il 25 luglio, Israele usa “le tecniche più sofisticate del mondo per prevenire vittime civili”. E come dice il filosofo politico di Princeton Michael Walzer: “il principio centrale dell’autodifesa di un popolo o di una nazione non può essere moralmente impossibile”.
L’ondata di protesta non era solo contro Israele. Secondo i Monistri degli Esteri di Francia, Germania e Italia, anche contro gli ebrei. Qualcuno ha mai pensato che 120 anni dopo l’Affaire Dreyfus e 70 anni dopo l’Olocausto l’urlo di “morte agli ebrei” sarebbe ancora risuonato nelle strade di Francia e Germania? Ma è successo. Il nuovo antisemitismo non è come il vecchio, ma ci dice che il più antico virus dell’odio è ancora mutato. Le lacrime di Tisha be’Av non sono ancora finite.
Il mio obiettivo qui non è esaminare le questioni politiche, morali e legali che costituiscono una guerra, quanto piuttosto analizzare la questione spirituale che sorge in noi in questa parte dell’anno nel contesto della storia ebraica considerata nella sua interezza. Perché soffrire così lungamente? Non abbiamo forse vissuto abbastanza nella valle di lacrime? “Forse il Giudice di tutta la terra non fa giustizia?”.
Noi non siamo profeti e nemmeno i figli dei profeti, ma talvolta dobbiamo fermarci e chiederci: qual è il significato di questo momento? Che cosa ci dice sul destino degli Ebrei? Non c’è una sola risposta. L’antisemitismo e l’antisionismo sono dei fenomeni complessi. Ma questa è la mia risposta, dopo molti anni di domande.
In principio D-o creò l’universo in uno scoppio di energia che diede vita alle stelle, ai pianeti, e poi alla vita. Fra milioni di forme di vita che emersero una era diversa dalle altre: l’homo sapiens, la sola forma di vita conosciuta capace di porere una domanda. “Perché?”.
In questo essere vivente, D-o mise il più alto segno del Suo amore, ponendo la Sua immagine e somiglianza in ogni essere umano senza distinzione di colore, cultura, credo o classe. Egli invitò l’umanità a diventare “Sua partner nel lavoro della Creazione”, chiamandoci a creare quello che Lui stessi aveva creato: libertà e ordine, l’ordine della natura e la libertà che permette agli umani, soli nell’universo, di scegliere fra il bene e il male.
Quello che la Torà ci dice poi è come l’umanità ha fallito. Lo fece in due modi. Crearono la libertà senza ordine. O crearono l’ordine senza libertà. Questa è ancora la tragedia dell’umanità.
La libertà senza ordine era il mondo prima del Diluvio, uno stato di anarchia e caos che Thomas Hobbes descrisse come “la guerra di ogni uomo contro ogni uomo”, nel quale la vita “è brutale e breve”. Questo è il mondo oggi in Siria, Iraq, Nigeria, Somalia, Mali, Repubblica Centrale Africana e nelle altre zone di conflitto: un mondo di stati falliti e che stanno fallendo, di società rovinate e distrutte dalla mancanza di legge. Questa è la libertà senza ordine, quella che la Torà chiama “un mondo riempito di violenza” (Gen. 6:13), che fece “rimpiangere D-o di avere creato l’uomo sulla terra, e che lo fece affliggere” (6:6).
Ma l’alternativa era un mondo di ordine senza libertà, incarnato nella Torà dalla Torre di Babele e dall’Egitto dei faraoni, civiltà che raggiunsero la grandezza costringendo gli uomini alla schiavitù. Anche questo è un affronto alla dignità umana, perché ognu o di noi, non solo alcuni, sono nell’immagine di D-o.
Avendo visto questi due tipi di fallimento, D-o chiamò un uomo, Abraham, e una donna, sara, e disse: voglio che voi siate diversi. Voglio che voi e quelli che verranno dopo di voi creaiate una nazione che dimostrerà al mondo che cosa significa mantenere insieme la libertà con l’ordine; che cosa significa costruire una società sul triplice imperativo dell’amore: amore per D-o “con tutto il tuo cuore, la tua anima per la tua forza”, amore per il tuo vicino “come te stesso” e amore per lo straniero. Voglio che voi diventiate io popolo che rispetta le leggi di tzedek e mishpat (giustizia e legge), hesed e rachamim (grazia e misericordia), non perché obbligati dallo Stato, ma perché avete insegnato ai vostri figli ad ascoltare la voce di D-o nel cuore dell’uomo. Voglio che dimostriate al mondo come creare la libertyà senza l’anarchia, e l’ordine senza la tirannia. Questa è la missione ebraica da 4.000 anni.
Il risultato è che gli ebrei si sono sempre trovati in prima linea. Dove c’è libertà senza ordine – anarchia – ognuno è una vittima potenziale. Gli ebrei non hanno mai svolto un grande ruolo in questa storia. Ma dove c’è ordine senza libertà – imperialismo in tutte le sue forme – gli ebrei sono spesso stati l’obiettivo primario, perché sono il popolo che più di ogni altro ha costantemente rifiutato di sottomettersi ai tiranni.
Questa è la ragione per cui furono attaccati dagli imperi antichi, Egitto, Assiri e Babilonia; o dell’antichità classica, Greci e Romani; i Cristiani e gli imperi musulmani del medio Evo; e le due grandi tirannie del mondo moderno, la Germania nazista e la Russia Stalinista. La faccia della tirannia oggi è l’islam radicale nelle forme di Al Qaeda, ISIS, Boko Haram, Jihad islamica, hezbollah e Hamas, che stanno creando caos e distruzione in medio oriente, Africa Sub-Sahariana e parti dell’Asia. Costituiscono un reale e presente pericolo alle democrazie liberali anche dell’Europa.
E nonostante Israele sia un elemento microscopico in questo trambusto globale, è ancora una volta in prima linea. Perché? Perché gli ebrei nella storia hanno riconosciuto la tirannia per quello che è, hanno rifiutato di essere intimiditi dal potere dalla minaccia e dal terrore. In qualche modo, nella regione più pericolosa del mondo, Israele ha creato una società di libertà e ordine: una stampa libera, libere elezioni e un sistema giudiziario indipendente da un lato; dall’altro, una costante innovazione nelle arti e nelle scienze, nell’agricoltura, medicina e tecnologia.
Israele non è perfetto. Crediamo – la Bibbia è il testo più autocritico che esista – che nessuno sia perfetto, che “Non c’è nessuno sulla terra così giusto da fare solo del bene e mai peccati” (Ecclesiaste 7:20). Ma Israele oggi ha fatto quello che gli ebrei hanno dovuto fare dai tempi di Abramo e Mosè. Creare libertà senza anarchia e ordine senza tirannia. E se questo pone Israele ancora una volta in prima linea, non c’è una causa più nobile in cui essere così.
Le parole di Mosè assumono oggi molto più potere di quanto non ne avessero 300 anni fa: “Scegli la vita, in modo che tu e i tuoi bambini possiate vivere”. Se Hamas facesse questa sola cosa, i palestinesi di Gaza avrebbero la pace. Vite innocenti non verrebbero perse, i bambini palestinesi avrebbero un futuro. Dal momento che Israele ha fatto questa scelta, ha creato una società di ordine e libertà, mentre tutto intorno infuriano il caos e il terrore.
Quindi nonostante ancora una volta spargeremo lacrime in questo Tisha be’Av, lasciateci almeno ringraziare il Signore per il coraggio e la grandezza del popolo di Israele, grazie al quale, sapendo quello che sappiamo dalla Storia, abbiamo lo Stato di Israele e la condanna del mondo, piuttosto che nessuno Stato e la simpatia del mondo. Come leggiamo nell’ultima riga di Eichah: הֲשִׁיבֵ֨נוּיְקֹוָ֤ק׀אֵלֶ֙יךָ֙וְֽנָשׁ֔וּבָהחַדֵּ֥שׁיָמֵ֖ינוּ
“Ci hai portato indietro, Oh Signore, e siamo ritornati. Aiutaci a rinnovare i nostri giorni come i vecchi”, in pace. Amen.
(traduzione di Ilaria Myr)