di Roberto Zadik
Chi pensava che in questo mio blog parlassi solo di cinema – anche se in questo periodo sono stato un po’ monotematico -, o di musica, si sbagliava di grosso. Infatti in questo mio canale sul mondo culturale ebraico contemporaneo, intendo dare spazio ai libri e non solo ai grandi classici come Joseph o Philip Roth, che hanno in comune solo il cognome, magari qualcuno può pensare siano parenti, o alle tre icone della letteratura israeliana, Grossman, Yehoshua e Amos Oz. Ci sono anche tanti autori non così sdoganati, pubblicizzati o venerati dal mondo culturale che meritano la stessa attenzione.
Prima fra tutte la grande scrittrice ebrea sudafricana Nadine Gordimer (Scorpione ascendente Capricorno), di padre lituano e madre inglese, nata a Johannesburg nel 1923 e scomparsa due anni fa che è stata una delle voci letterarie più efficaci del suo Paese. Morta a 91 anni, autrice di libri bellissimi come “L’aggancio”, che ho scoperto casualmente mentre mi aggiravo nelle biblioteche comunali spinto dalla mia solita curiosità, la Gordimer ha descritto a metà fra sociologia, cronaca e emotività i contrasti sociali e razziali sudafricani con tono sobrio e partecipe. Vincitrice di vari premi e riconoscimenti prestigiosi, come il Booker Prize, la Gordimer nei suoi tanti libri ha affrontato temi spinosi come razzismo. classismo, apartheid, amori interraziali, incomunicabilità fra persone di diversa condizione e ora è arrivata sugli scaffali delle librerie con “Il saccheggio e altri racconti” (Feltrinelli, 217 pagine, 18 euro).
Uscito recentemente, il testo mi ha subito colpito perché si tratta di racconti che da Buzzati, a Carver, a Balzac sono il mio genere letterario preferito e non a caso anche il mio secondo libro “Soulcityty 2.1L’anima delle città”, pubblicato su amazon, è una raccolta di storie. Come direbbero gli anglosassoni si tratta di “short stories”, dieci racconti brevi, scritti negli anni Novanta, dal 1994, nell’epoca d’oro sudafricana in cui il coraggioso Nelson Mandela pose fine alla vergogna dell’apartheid, segnando l’inizio di una nuova era esattamente come era successo con Gorbaciov, con Lech Walesa e altri “uomini del cambiamento”. Sentimenti, tensioni emotive e razziali e colpi di scena dominano anche queste nuove trame della Gordimer. Dieci storie in cui spiccano oltre alla storia che dà il titolo al volume, vicende incisive venate di sottile ironia, ad esempio “Come da protocollo” che tratta dell’idillio amoroso fra Charuma, politico africano e Roberta Blayne, una funzionaria governativa di origine inglese dove i due s’innamorano nelle foreste della savana africana. Suggestiva anche la vicenda di “Somiglianze” che descrive povertà e riscatto nei quartieri degradati di Johannesburg e di alcuni giovani all’assalto delle università e l’analisi della nuova realtà sudafricana descritta in “Home and intimacy” (Casa e intimità). Insomma anche dopo la sua morte, la Gordimer è capace di stimolare il lettore, di illustrare la società della sua terra, e i suoi scritti sono stati di grande ispirazione per me nei miei tentativi di “narrativa sociale” argomento letterario che mi ha sempre molto colpito, tipico di alcuni straordinari narratori recenti o meno.
Dagli ebrei americani, Philip Roth, a Paul Auster e Norman Mailer, fino agli israeliani Etgar Keret e Eskol Nevo, capaci di catturare lo spirito della loro società e del loro tempo uscendo dalla soggettività e dalla fiction. Fra le tante nuove uscite ebraiche di questo periodo, ci spostiamo alla letteratura ebraica francese, con il prolifico e sentimentale Marc Levy – Bilancia, apolide – giramondo che da vent’anni vive a New York e che sforna questo nuovo “Lei e lui” (Rizzoli, pp . 304, 18euro). Spesso e volentieri, il 54 enne Levy, ebreo parigino, ci parla d’amore e infatti anche qui, l’acclamato autore ebreo francese, uno dei più famosi della nuova generazione ebraica d’oltralpe assieme alla Abecassis, si sofferma sui labirinti delle passioni come in libri di successo come “Amici miei, miei amori” e “Se solo fosse vero” . Stavolta però, Levy, diventato padre recentemente, si connette a internet e parla di passioni sul web e di coppie in crisi con brillante umorismo e riflettendo sul tema complesso dell’identità, tanto in voga in questi anni di integralismo, terrorismo e crisi economica e culturale dell’Europa.
La trama del libro? L’americano Paul Barton, che da anni abita a Parigi è un uomo insoddisfatto, tormentato scrittore mezzo fallito che chatta su internet in cerca dell’amore della sua vita mentre è fidanzato con la sua traduttrice coreana che l’ha reso celebre nell’unico Paese dove il suo talento è stato riconosciuto, la Corea del Sud. Ebbene la coppia è in crisi e lui trova svago in relazioni virtualplatoniche in rete. Su un sito di appuntamenti incontra l’attrice inglese Mia infelicemente sposata e i due diventano subito amici. Il romanticismo di una Parigi, ben lontana dalle tensioni che l’hanno attraversata in questi ultimi anni che di sentimentale hanno ben poco e ben descritto nell’omaggio di Woody Allen alla Ville Lumiere di “Midnight in Paris”, i dialoghi brillanti e le passeggiate che ricordano i film di Truffaut e della Nouvelle Vague, danno un tocco di magia a queste pagine intimiste di Marc Levy.
Fra umorismo, sentimento e introspezione, il romanzo ha venduto milioni di copie in Francia rivelandosi il più grande successo dell’autore, dai tempi del suo esordio “Les enfants de la libertè” (I ragazzi della libertà”).
Terza uscita di rilievo è “Il matrimonio degli opposti” della scrittrice ebrea newyorchese Alice Hoffman (Neri Pozza, 384 pagine, 18 euro,). La storia è un’avvincente saga famigliare romanzata, tratta dalla biografia di uno dei più grandi pittori ottocenteschi, l’ebreo francese Jacob Abraham Camille Pissarro. L’intreccio, molto ben orchestrato dall’autrice, si svolge fra la splendida isola caraibica di Saint Thomas e le vie della Parigi dell’Ottocento. Quali furono le vicende della famiglia dell’artista nato nelle Antille danesi, il 10 luglio 1830 e scomparso a 73 anni nel 1903? Su questo si sofferma il romanzo. La madre Rachel Pomiè è una donna infelice sposata con un anziano commerciante Isaac Petit con cui conduce una vita noiosa e priva di soddisfazioni. Discendente di una famiglia di ebrei spagnoli marrani e perseguitati, fra Spagna e Portogallo, la donna fantastica ogni giorno di scappare a Parigi e di rifarsi una vita. Nella capitale francese conosce il nipote del marito, un giovane attraente e arguto, Frederic Pissarro e se ne innamora e dal loro matrimonio verrà fuori il grande Pissarro.
Il romanzo descrive con agilità e scorrevolezza, nonostante sia voluminoso, la saga famigliare e la vicenda umana dei Pissarro, restituendo un quadro nitido dell’ebraismo sefardita e caraibico e un ritratto di un’epoca accuratamente descritto dall’autrice fra emotività, ricordi e mondo dell’arte e della pittura.