Jewish in the City #150. Kenneth Stein: “Su Israele troppe emozioni, ma nessuno sa la storia”

Jewish in the City

di Anna Lesnesvskaya (@alesnevskaya)

steinE’ da quasi quarant’anni ormai che lo studioso americano Kenneth W. Stein si occupa dell’insegnamento della storia dello Stato di Israele e attualmente lo fa in veste di presidente del Center for Israel Education (Cie) e di direttore di Emory Institute for the Study of Modern Israel (Ismi). Ed è proprio a questa sua esperienza di professore maturata nel corso di tanti anni che si è voluta rivolgere Simonetta Della Seta, direttrice del Museo Nazionale dell’Ebraismo Italiano e della Shoah di Ferrara (Meis). E lo ha fatto nell’ambito del confronto dal titolo “Israele e l’educazione ebraica oggi” svoltosi alla Fondazione del Corriere della Sera come parte del percorso “Questioni” del festival Jewish in the City #150.

“Perché insegnare la storia moderna di Israele per arricchire la cultura ebraica e come si può prescindere dalla politicizzazione della questione?” – ha lanciato la sfida Della Seta. “Se non sai da dove vieni non sai dove stai andando”, è stata la risposta  dello studioso americano, che ha citato suo padre, profugo dalla Germania nazista stabilitosi su Long Island. “Mi ricordo quando all’inizio degli anni ’50 mio padre mi spiegò che senza lo Stato di Israele non avremmo mai avuto il rispetto di cui godevamo negli Usa”, ha poi aggiunto Stein.

“La maggior parte delle persone basano le proprie idee su quanto leggono su certi blog scritti da chi non è esperto della questione e questi articoli non fanno altro che rispecchiare il loro punto di vista”, ha polemizzato Kenneth. Nella discussione su Israele non bisogna quindi farsi intrappolare dalle emozioni, senza chiedersi quale sia la problematica e la storia che ha portato alla situazione attuale, ritiene il presidente del Cie.

Lo studioso poi si è soffermato sulla tradizione del dialogo propria agli ebrei che si è manifestata prima nel rapporto tra i leader sionisti e le autorità britanniche, e poi tra il governo di Israele e gli Usa. E’ stata proprio questa attitudine, dipesa dal fatto di sentirsi sempre come una minoranza, ad avere un ruolo determinante nella creazione dello Stato di Israele. “Si dice sempre che un singolo ebreo frequenta due sinagoghe, in una delle quali però non va mai, ma intanto c’è”, ha scherzato Stein.

Un altro problema dell’educazione ebraica quando si parla dello Stato di Israele è quello del divario tra la storia e la narrazione. “Come si fa a superalo?” – ha domandato la direttrice del Meis allo studioso americano. “Ci sono troppi non ebrei che pretendono di spiegare la nostra storia in 140 caratteri, come se fosse un tweet, e noi stiamo soccombendo, perché noi stessi non la conosciamo”, ha replicato Stein.

“Ma come insegnare la storia ebraica ai giovani che ragionano per concetti e fanno fatica ad avere in mente una cronologia?”, – ha chiesto allora la Della Seta. “La sfida che si presenta davanti allo storico contemporaneo è quella di fare in modo che gli studenti riescano a guardare il passato con occhi aperti, e questo si può fare solo leggendo con loro documenti, diari personali, materiale archivistico; bisogna insomma risalire alle fonti”, ha concluso il presidente del Cie.