di Roberto Zadik
Sembra davvero incredibile che siano passati già dodici anni da quando, il 23 luglio 2011, in una Londra frastornata dai festeggiamenti per la nascita del figlio di William e Kate d’Inghilterra, si spegneva la stella Amy Winehouse. Come altre icone disperate del rock anglo-americano, da Jim Morrison a Jimi Hendrix a Janis Joplin, aveva solo 27 anni ma cantava un genere assai “retro”, per gli anni duemila, fra soul e jazz con la sua voce suadente ed il suo carisma felino che ammaliavano il pubblico.
Irrequieta, ribelle ed eccessiva nascose il suo lato ebraico. Scomparsa a soli 27 anni, era nata a Londra il 14 settembre 1983 dove il suo adorato padre Mitch faceva il taxista, da una famiglia ashkenazita, di origini bielorusse e in tema di momenti ebraici alcune foto la raffigurano al Bar Mitzva di suo fratello maggiore Alex. La cantante, tuttavia, aveva una sua identità ebraica stravagante, si dedicava all’impegno sociale e alla beneficenza e indossava una Stella di David al collo anche se frequentava la sinagoga solo a Kippur e ‘per rispetto” come sottolineava. Passata alla storia per i suoi eccessi, la personalità tormentata e fragile e per capolavori come “Rehab”, in cui provocatoriamente diceva ‘No no” a chi cercava di spingerla alle terapie di disintossicazione, e “Back to black” il cui video’ è quasi più cupo della canzone poiché , in esso, lei guida un funerale prevedendo forse la propria fine.
La Winehouse, dal suo esordio vent’anni fa con l’album “Frank” del 2003 ha ricevuto vari premi e riconoscimenti ed è stata acclamata dal pubblico e, soprattutto, da una certa critica musicale molto raffinata; infatti è stata una delle poche cantanti, di nuova generazione, ad aggiudicarsi il prestigioso premio Ivor Novello, vinto nientemeno anche da Freddie Mercury, per le sue doti musicali e compositive duettando con star del passato come Tony Bennett scomparso lo scorso 21 luglio. Un’artista intensa ed imprevedibile, capace di grande altruismo e generosità, come la descrivono gli amici, legata sentimentalmente ad un personaggio ambiguo come Blake Fielder Civil; la fine della loro unione portò alla disperazione la Winehouse che nonostante la sua vita spericolata sognava una famiglia ed una stabilità ma che, come dice una delle sue canzoni più struggenti, “Wake up alone”, spesso si svegliava da sola.
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Ascolta il nostro podcast: L’insospettabile ebraismo di Amy Winehouse