di Nathan Greppi
Quando, tra l’86 e l’87, scrisse il suo romanzo Norwegian Wood, l’autore giapponese Haruki Murakami era in viaggio tra la Grecia e l’Italia, chiedendosi se parlare del proprio paese mentre era lontano da casa avrebbe influenzato la sua prospettiva. Ritrovatosi in una situazione simile, ha provato a rispondere lo scrittore israeliano Assaf Gavron, venuto ad alloggiare alla Casa delle Traduzioni di Roma dal 5 al 16 settembre, per scrivere il suo prossimo libro: “Per me, l’importante è avere il tempo per scrivere, e prendere una pausa dall’ansia della vita di tutti i giorni: impegni, telefonate, badare alle mie figlie. Ma a parte questo, mi piace allontanarmi da Israele per scriverne da un altro luogo. La distanza geografica ti offre una prospettiva più ampia, che per uno scrittore è fondamentale”.
Classe 1968, residente a Tel Aviv, ad oggi Assaf Gavron ha scritto 9 libri, di cui 4 sono stati tradotti in italiano. Parallelamente, dopo aver lavorato negli anni ’90 come giornalista e negli anni 2000 nell’industria high-tech, ha cantato nel gruppo rock The Mouth and Foot e, avendo imparato l’inglese già in famiglia essendo figlio di immigrati ebrei britannici, ha tradotto in ebraico autori anglofoni del calibro di J.D. Salinger, Philip Roth, J.K. Rowling e Jonathan Safran Foer.
Il 10 settembre è stato relatore di un evento per la Giornata Europea della Cultura Ebraica, tenutosi nel cortile del Tempio Maggiore. Mentre il 14 settembre prima si è recato al Liceo Ebraico Renzo Levi di Roma per parlare con gli studenti, e poi è tornato alla Casa delle Traduzioni per un incontro sul suo lavoro di traduttore, e in particolare sulla sua traduzione in ebraico della raccolta di poesie La fiamma del cantautore canadese Leonard Cohen. In quest’ultima occasione, l’abbiamo incontrato per un’intervista.
Perché ha scelto di venire in Italia per scrivere il suo prossimo libro?
Sono venuto qui perché ne ho avuto l’occasione. Due anni fa, a luglio, sono stato qui a Roma per un festival organizzato dalla Casa delle Letterature. In quell’occasione ho parlato con loro, e mi hanno raccontato che avevano questo posto dove si può andare a scrivere in tranquillità. Per un po’ me ne sono dimenticato, finché non me ne sono ricordato qualche mese fa, e ho scritto loro una mail chiedendo se la casa era ancora libera. Mi hanno risposto di sì, mettendomi poi in contatto con la Casa delle Traduzioni. All’inizio pensavo di andarci più avanti, ma loro mi hanno convinto a venire già a settembre.
Nel suo romanzo del 2008 “Idromania” (tradotto da Giuntina nel 2013), si trovano molte descrizioni di tecnologie futuristiche. Avendo lei lavorato nel settore high-tech, quanto c’è di autobiografico nei suoi libri?
Varia a seconda del libro, ma in ognuno di essi vi è un elemento autobiografico. Quello che sto scrivendo ora è quello più intimo, e forse è per questo che mi è più difficile scriverlo. A volte bisogna allontanarsi dall’autobiografia per riuscire a scriverlo come si deve. È un’opera che riguarda molto me e i miei amici. In quelli precedenti questo elemento era molto meno presente, ma anche in quei casi credo che ci fosse parte di me, della mia storia e dei miei pensieri. Tuttavia, in Idromania la protagonista Maya realizza un progetto che non c’entra niente con il mio passato nell’high-tech, riguarda l’acqua, e molto di quello che scrissi me lo sono inventato. La stessa Maya è ispirata ad una persona a cui ero legato, ma solo in minima parte.
Sempre “Idromania”, ambientato in un futuro distopico, trattava temi come la siccità e i monopoli delle grandi multinazionali. Quindici anni dopo la pubblicazione, quanto di ciò che ha predetto si è avverato?
Il romanzo è ambientato nel 2067, quindi è ancora troppo presto per fare previsioni. Quel che è certo è che negli ultimi 15 anni la questione della scarsità d’acqua, e più in generale la questione climatica, è diventata sempre più discussa all’interno dell’opinione pubblica. E la siccità è diventata un problema sempre più diffuso. Non che quando l’ho scritto certi temi non fossero dibattuti; del riscaldamento globale ho sentito parlare almeno dai primi anni 2000, forse anche da prima. Non ho inventato niente di nuovo, ma rispetto a 15 anni fa è diventato un problema sempre più reale.
Al tema degli insediamenti nei Territori palestinesi ha dedicato invece il romanzo del 2013 “La collina” (tradotto da Giuntina nel 2015). Che opinione ha sull’attuale situazione politica in Israele?
Al momento abbiamo un governo molto estremista, che dopo aver vinto per vie democratiche cerca di approfittare del suo potere per cambiare le cose e rendere la società meno democratica. Già nel romanzo, uscito in Israele 10 anni fa, ma che avevo iniziato a scrivere nel 2008, parlavo del loro potere politico (dei coloni, ndr), delle loro capacità manipolative, ma adesso il loro potere è aumentato. Oggi sono nel governo, e la situazione attuale è catastrofica. Non lavorano per la gente, non gli importa davvero dell’economia e della sicurezza, favoriscono solo i loro uomini e tentano di far passare leggi molto pericolose. Questo da un lato. Ma dall’altro lato, finalmente le persone hanno alzato la testa e hanno fatto capire che tutto questo non lo accettano. Sono scese in piazza, e per ora la riforma giudiziaria sembra ferma, ma ancora non è chiaro come andrà a finire. Per ironia della sorte, è un bene che l’operato del governo sia così pessimo, perché così stando ai sondaggi alle prossime elezioni subiranno un duro colpo, e molti di loro non verranno rieletti.
Tornando all’Italia, che rapporto ha con il nostro paese?
Amo profondamente l’Italia. Sono stato qui molte volte, perlopiù in veste di scrittore per presentare i miei libri. Sono stato un po’ ovunque, in diversi festival in Sardegna, a Mantova, Milano, Torino, Roma, Firenze. E amo molto il vostro caffè, il vostro cibo.
Quali sono i suoi scrittori italiani preferiti?
Il mio preferito è senza dubbio Primo Levi. Se devo essere sincero, una che invece non mi attrae è Elena Ferrante, anche se in Israele la adorano tutti. E amo molto anche il cinema italiano. Inoltre, va riconosciuto che molti dei migliori film americani sono stati realizzati dagli emigranti italiani.
Per concludere, un consiglio che darebbe a giovani aspiranti scrittori?
Leggere il più possibile. Conoscere diversi generi letterari, scrittori e scrittrici sia del proprio paese che stranieri. Cercare di sentire che cosa vogliono scrivere, e come chi vorrebbero scrivere. Scrivere tutti i giorni, anche solo per un’ora. Credere in sé stessi, e non sentirsi in imbarazzo a far leggere ciò che si è scritto a persone di fiducia per sentire le loro opinioni. Solo così puoi migliorare e diventare uno scrittore.