Esiste una società, una “cultura” che ha la volontà di sopprimere gli ebrei, dissacrarli, disumanizzarli

Taccuino

di Paolo Salom

[Voci dal lontano Occidente]

Scrivere dal lontano Occidente è sempre più doloroso. Le immagini del brutale attacco dei terroristi di Hamas contro i civili israeliani saranno impossibili da dimenticare ed entreranno anzi nella tragica memoria collettiva al fianco di quelle che speravamo consegnate alla Storia, ovvero le testimonianze visive della Shoah.

 

È bene non farsi illusioni, perché la verità nuda e cruda è emersa in tutta la sua insopportabile violenza. Esiste una società, una cultura che ha nell’animo la volontà di sopprimere gli ebrei, ucciderli, dissacrarli, disumanizzarli. C’è chi lo dichiara da anni impunemente, ovvero chi si riconosce nell’organizzazione islamista Hamas; e chi ricopre questi desideri di false dichiarazioni “di pace e convivenza” una volta che Israele si sarà ritirato da Giudea, Samaria e Gerusalemme Est, ovvero i sostenitori di Abu Mazen e del Fatah. Ma sappiamo che, potendo scegliere, si accoderebbero ai metodi di Hamas. Lo provano del resto le scene di giubilo nelle piazze delle città palestinesi ogni volta che un “ebreo” viene trucidato.

 

È ora di raccontare, dunque, prima di tutto a noi stessi, come stanno le cose, perché anche molti di noi continuano a covare l’illusione di “due Stati per due popoli”, un’espressione ripetuta come un mantra da decenni a questa parte. La triste realtà è che tutto questo è una menzogna smentita a ogni tragedia annunciata. Io non ho ricette, non ho certezze, non ho una soluzione. Ma so che, prima di capire come risolvere un problema, per quanto grave, è indispensabile accettarne l’esistenza. Può essere molto doloroso farlo. E può anche darsi che non tutto sia compreso. Ma è impossibile affrontare sfide come quelle che si trova di fronte Israele (e con Israele tutti gli ebrei del mondo, sia chiaro) senza la piena consapevolezza che il domani non sarà mai come viene descritto nei simposi internazionali (o sui media), ma prenderà la forma che noi vorremo dargli.

 

Un esempio per chiarire che cosa intendo. Se Israele è stato colto di sorpresa (e non c’è dubbio che sia avvenuto) la colpa immediata può essere di chi in quelle ore era distratto, certamente. Ma il processo mentale che ha consentito questa distrazione arriva da lontano. È stato nutrito dalle divisioni interne al Paese da una parte e dall’idea, derivata da una concezione della società democratica e aperta, che tutto può avere una soluzione e che, dunque, l’altra parte – il mondo arabo-palestinese – avrebbe bisogno soltanto di tempo per “diventare come noi”. Non è così. E, il lontano Occidente comincia a capirlo, anche se con grande difficoltà, questa “resistenza” ai valori del mondo occidentale – per valori intendo: democrazia, uguaglianza, libertà – è una febbre che travalica confini e spinge le nazioni a combattersi.

 

Ora, non ha importanza sapere se le azioni di Hamas sono state decise a Teheran o a Mosca. Perché comunque hanno trovato nei terroristi di Gaza orecchie più che pronte ad accoglierle. Ed è questo che, ora, deve interessare gli israeliani e i loro fratelli della Diaspora, cioè noi. Si può scendere a patti con chi ti vuole distruggere? No, non si può. La scelta non è più tra noi e un “loro in futuro” (non dobbiamo essere troppo duri perché siamo destinati a convivere).

Non ci sarà convivenza perché, molto semplicemente, i nostri nemici sono votati alla totale distruzione dello Stato di Israele, un pezzo alla volta. Chiunque sarà alla guida del magnifico frutteto ricostruito nella terra dei nostri Padri e delle nostre Madri avrà il compito arduo, ma non impossibile, di correggere gli errori fatti (in buona fede) finora per garantire un futuro a tutti gli ebrei. Perché, sia chiaro, il nostro destino, quello della Diaspora e dello Stato ebraico, è legato e indissolubile, ora più che mai. Am Israel Chai.