di Nathan Greppi
“Ieri l’incontro del Papa con i parenti degli ostaggi rapiti da Hamas, da tempo richiesto e sempre rinviato, è stato finalmente possibile perché è stato seguito da un incontro con parenti di palestinesi prigionieri in Israele, così come riportato dal Papa, mettendo sullo stesso piano innocenti strappati alle famiglie con persone detenute spesso per atti gravissimi di terrorismo. E subito dopo il Papa ha pubblicamente accusato entrambe le parti di terrorismo. Queste prese di posizione al massimo livello seguono dichiarazioni problematiche di illustri esponenti della Chiesa in cui o non c’è traccia di una condanna dell’aggressione di Hamas oppure, in nome di una supposta imparzialità, si mettono sullo stesso piano aggressore e aggredito.
Ci domandiamo a cosa siano serviti decenni di dialogo ebraico cristiano parlando di amicizia e fratellanza se poi, nella realtà, quando c’è chi prova a sterminare gli ebrei invece di ricevere espressioni di vicinanza e comprensione la risposta è quella delle acrobazie diplomatiche, degli equilibrismi e della gelida equidistanza, che sicuramente è distanza ma non è equa”.
Lo dichiara una nota dell’Assemblea dei Rabbini d’Italia.
Gli incontri del 22 novembre
Non sono mancate le controversie dopo che, la mattina di mercoledì 22 novembre, Papa Francesco ha ricevuto in Vaticano due delegazioni, una israeliana e l’altra palestinese, con le quali parlare della situazione in Medio Oriente. La prima era composta da 12 persone, parenti degli israeliani presi in ostaggio da Hamas, che il Papa ha ricevuto nella residenza di Santa Marta, mentre l’altro gruppo di 10 persone l’ha incontrato nell’Auletta Paolo VI.
A seguito dell’incontro, parlando con i media alcuni famigliari degli ostaggi si sono detti delusi dall’incontro. “Sono deluso dal fatto che il Papa ci abbia dedicato poco tempo. Mia figlia è venuta in Italia per raccontare al Pontefice la storia di suo fratello gemello e non ce l’ha fatta per questioni di tempo. Per quanto riguarda le dichiarazioni del Pontefice sul fermare la guerra e l’omicidio non ha nominato Hamas e non lo ha definito un’organizzazione terroristica. Questo mi è dispiaciuto”, ha dichiarato ai giornalisti Yehuda Cohen, padre di un ragazzo di 19 anni rapito dai terroristi.
In particolare, hanno suscitato non poco sdegno le parole espresse dal Pontefice: “Questa mattina ho ricevuto due delegazioni, una di israeliani che hanno parenti come ostaggi in Gaza e un’altra di palestinesi che hanno dei parenti prigionieri in Israele. Loro soffrono tanto, ho sentito come soffrono ambedue. Le guerre fanno questo ma qui siamo andati oltre le guerre: questa non è guerra, è terrorismo. Per favore andiamo avanti per la pace, pregate per la pace”, ha detto. Parole, le sue, che mettono sullo stesso piano il terrorismo di Hamas e la risposta dell’esercito israeliano, in una indecente equiparazione tra civili, tra i quali donne e bambini, rapiti da una organizzazione terroristica sanguinaria e detenuti per reati in carceri israeliane con tutte le garanzie legali del caso.
Le sue dichiarazioni hanno ricevuto molte critiche, ad esempio dalla Presidente UCEI Noemi Di Segni: “Avrei preferito ascoltare dal Papa una chiara presa di condanna del terrorismo del 7 ottobre e di tutto il percorso che porta a uno sterminio”, ha affermato.
Un’altra controversia riguarda l’incontro con l’altra delegazione: usciti dall’incontro, i palestinesi hanno sostenuto che Bergoglio avesse usato il termine “genocidio” palestinese in riferimento a quello che succede a Gaza. «Il Papa ha riconosciuto che viviamo un genocidio – ha detto Shrine Halil, cristiana di Betlemme, presente all’incontro a Roma -. Ci ha detto che il terrorismo non si combatte con il terrorismo».
In seguito, il portavoce della Santa Sede Matteo Bruni avrebbe smentito questa versione, affermando che il Papa non ha mai parlato di genocidio: “Non mi risulta abbia usato tale parola”, ha detto. I palestinesi però hanno ribadito la loro versione in una conferenza stampa: “Siamo in dieci e lo abbiamo sentito tutti”.