di Roberto Zadik
Nella letteratura è sempre molto complesso separare la fantasia dalla realtà, ma scorrendo le pagine del nuovo libro Baumgartner dell’acclamato autore Paul Auster, che il prossimo 3 febbraio compirà settantasette anni, sembra davvero di assistere al suo epilogo.
Da quando è uscito, lo scorso 21 novembre nelle librerie italiane Baumgartner (115 pp, Einaudi 17 euro e 50) è diventato un vero “caso letterario” e svariati siti si sono interrogati sul suo reale significato: a questo proposito sul sito The Guardian lo scorso 18 novembre è uscito un articolo firmato da Nicholas Wroe che svela alcuni interessanti retroscena sul testo e sulla sua tormentata genesi. Stando a quanto rivela il giornalista sembra che lo scrittore abbia dichiarato di essere “seriamente malato di tumore” e che questo “potrebbe essere il mio ultimo libro”.
A confermare questa affermazione assai cupa, ci sarebbe la trama del testo in cui l’autore si traveste nei panni del suo alter ego, il professor Seymour, detto Sy Baumgartner che, rimasto vedovo da dieci anni della sua amata moglie Anna e pensionato dalla sua lunga docenza come insegnante di filosofia nel prestigioso ateneo di Princeton, traccia un bilancio della propria vita affermando “qualunque cosa può accaderci in ogni momento”.
Un libro ironico e fatalista che condensa riflessioni serie e momenti tragicomici, come i vari incidenti domestici che capitano al protagonista e i classici temi austeriani della memoria, del caso e del dolore. Come ha ricordato sempre The Guardian, questo libro è stato realizzato durante la lunga “battaglia contro il tumore” di Auster ufficializzata pubblicamente a marzo dalla sua seconda moglie di origini norvegesi Siri Hustvedt. A causa di questa malattia l’anno scorso egli aveva dovuto scomparire dalla vita pubblica per dedicarsi, come ha sottolineato un altro articolo uscito recentemente sulla testata spagnola El Pais , a un “devastante trattamento medico”. L’autore è noto internazionalmente per opere molto intense come La trilogia di New York, Mr Vertigo e le Follie di Brooklyn e per aver firmato la sceneggiatura di Smoke, un bel film con William Hurt, e si è segnalato per la sincerità, l’ironia amara e l’originalità di opere brillanti come questo suo ultimo lavoro. Si tratta dunque di un libro nato dal dolore, che come tanti testi di Auster mischia la sua sbrigliata fantasia e una serie di “tracce autobiografiche” come specifica l’articolo in uno stile che condensa “tutte le sue opere precedenti e le loro tematiche” in maniera sintetica e coinvolgente.
Ma chi è lo scrittore Paul Auster e quale il suo lato ebraico? Nella sua lunga carriera l’autore, che si è ispirato a una serie di suggestioni e argomenti, dalla psicanalisi di Jacques Lacan ad autori problematici e stimolanti come Edgar Allan Poe e Samuel Beckett, ha avuto una vita complessa, divisa fra successi letterari e vicissitudini famigliari. Fra i drammi che lo hanno segnato maggiormente sia nella personalità che nel percorso letterario, il tormentato rapporto col padre e la morte di Daniel suo primo figlio nato dal primo matrimonio durato solo quattro anni con la scrittrice Lydia Davis dopo essere stato accusato dell’omicidio colposo di sua figlia, una neonata di dieci mesi e suicidatosi con un’overdose di eroina.
Successi letterari e drammi personali per Auster che molto raramente ha affrontato le sue radici ebraiche. A questo proposito però in una rara intervista a Tablet Magazine uscita il 23 giugno 2020 e firmata da Jake Marker, egli ha esternato qualche inedita dichiarazione sulla propria identità ebraica laica e totalmente secolarizzata. Autore di poesie oltre che di romanzi, la sua ebraicità stando a quanto ha affermato Auster è stata “risvegliata però da tre grandi poeti ebrei come Paul Celan, Edmond Jabes e Charles Reznikoff, che hanno sollevato dentro di me alcune importanti domande sul mio rapporto con l’ebraismo”. “E’ stato soprattutto l’egiziano Jabes” ha specificato “diventato mio amico, ad aprire porte nella mia mente su questo argomento che fino a quel momento erano rimaste chiuse “.
Per quanto riguarda il suo attaccamento a Israele, ha dichiarato di “aver sempre sentito un forte legame con lo Stato ebraico fin dai tempi della scuola ebraica e di esservisi recato solo due volte, nel 1997 e nel 2010. Ricordo i momenti passati a Gerusalemme prima dello Shabbat e col mio amico David Grossman”. Una identità ebraica complessa e nascosta quella di Auster e una prosa sempre originale e intensa anche e soprattutto in questo suo Baumgartner che condensa la sua tumultuosa esperienza di vita in cerca di nuove ispirazioni o della pace prima della fine.
(Foto: BBC. Flickr)