di Ilaria Myr
È la formula magica per eccellenza, che viene usata negli spettacoli di prestigiatori di tutti i tipi e, per estensione, come espressione per evocare incantesimi magici. Potrebbe sembrare una parola senza senso, come “sim-sa-labim”, ma vanta in realtà origine antichissime (in greco c’era già: ἀβρακαδάβρα), anche se nei secoli se ne è perso il significato originario.
Le proposte etimologiche abbondano. C’è chi la fa risalire all’ebraico Ebrah k’dabri, che significa “creerò mentre parlo”, cioè che l’atto della parola crea “magicamente” nuove realtà. Se questa è davvero la derivazione, allora coinciderebbe con la nozione cabalistica secondo cui le parole e le lettere dell’alfabeto ebraico hanno il potere di creare. Altri pensano che possa derivare da una corruzione della formula “padre – ab, figlio – ben, e spirito – Ruach A Cadsch”, ma non convince tutti.
Sembra però certo che fu adottata da Quinto Sereno Sammonico, medico romano del III secolo, in alcuni passaggi del suo Liber Medicinalis, in cui forniva ricette per la guarigione, pozioni e farmaci. Per essere efficaci, dovevano essere accompagnati da alcune parole, e “Abracadabra” era una di queste. Per le febbri malariche il rimedio proposto da Sammonico era uno solo: coprirsi con un papiro con su scritta la parola Abracadabra in forma piramidale. Curioso, infine, è che una formula simile – probabilmente derivata dall’aramaico Abhadda Kedhabhra, che significa “sparisci con questa parola”- si ritrova anche nella saga di Harry Potter: Avada Kedavra, o Anatema che uccide, è infatti la Maledizione senza Perdono lanciata dal cattivo Voldemort, che provoca la morte istantanea del soggetto colpito.