di Redazione
Il silenzio delle bandiere. Non ne sventola neppure una in questa piazza di solito gremita da moltissimi vessilli spesso aggressivi, protervi, urlanti. Oggi in piazza San Babila non è così. Per questioni di sicurezza, per non accendere gli animi, per evitare episodi spiacevoli, dicono. Eh sì, allora meglio lasciar perdere, niente vessillo blu e bianco d’Israele, solo cartelli e pettorine gialle per ricordare in questo 7 marzo, alla vigilia della festa della donna, – esattamente cinque mesi dopo -, tutte le ragazze, le figlie, le madri, le nipoti, le ragazzine stuprate e uccise il 7 ottobre durante la mattanza di Hamas e la conseguente, vergognosa, minimizzazione – per non dire il silenzio – che ne è seguito da parte di femministe, organizzazioni umanitarie in difesa dei diritti umani e delle donne, Ong, eccetera…
Circa trecento sono le persone riunite qui in San Babila, per questo flash mob vibrante e composto, mentre sul palco si alternano i discorsi e gli interventi. Tutto d’intorno, sulle panchine al sole, c’è la gente in pausa che mangia panini, che scarta insalatone e apre schiscette: tutti osservano curiosi e in silenzio, ascoltano parole che non afferrano del tutto, “ma di che cosa stanno parlando?” si chiedono tra loro, “israeliane? Ostaggi? Sette ottobre?, ma ormai siamo a marzo…”. “Stupri? Capirai, con tutto quello che succede qui da noi in Italia, con sti’ femminicidi…”.
E allora capisci che un quieto chissenefrega si alza dalle panchine, una rapida alzata di spalle si china sul pranzo veloce di mezzogiorno mentre la fretta di correre altrove si riprende i suoi diritti. E tutto stride, tutto ha un effetto straniante in questa piazza italiana sotto un sole grifagno: straniante come possono esserlo il lutto e il dolore che isolano e ti fanno vivere in una bolla a parte; straniante come il soffio dell’indifferenza su un’anima che si ritrae, ferita; straniante come questo toccare con mano il cozzare delle diverse percezioni e, in ultima analisi, il sonoro chissenefrega che sussurra tutto intorno.
Molte ragazze tengono dei cartelli a braccia alzate, hanno i pantaloni sporchi e macchiati di rosso per simulare il sangue degli stupri, mostrano fotografie di giovani donne e scritte con Verità per Israele, Basta indifferenza…
È un flash mob per i diritti delle donne israeliane dimenticate, per lo stupro di massa pianificato a tavolino e perseguito come arma di guerra da Hamas, esattamente come fece l’Isis con le donne yazide o come accade adesso nelle carceri della Repubblica islamica dell’Iran, stupro come tecnica di rieducazione per le attiviste anti-regime.
Il palco è rivolto verso corso Europa, in molti salgono a parlare, il tutto dura meno di un’ora. Franco Modigliani – uno degli organizzatori –, si sofferma sulla narrazione dei fatti, sull’efferatezza delle violenze filmate dagli stessi assassini, rievoca lo stupro reiterato delle donne ancora in ostaggio e il cui incubo non finisce.
Modigliani presenta i numerosi oratori: Rav Alfonso Arbib, rabbino capo di Milano, Manuela Sorani consigliere della Comunità ebraica, Roberta Vital e Emanuela Alcalay dell’ADEI WIZO, Olga Kola presidente di Woman Care per la difesa della donna, l’avvocato Stefania Zaparrata presidente di Scarpetta Rossa (che si occupa di fesa della donna contro la violenza), Mashi Hazan di Wow, la dottoressa Pepe dell’AMPI (Associazione milanese pro Israele), Silvia Sardone, europarlamentare della Lega e consigliere comunale, Diana De Marchi consigliere comunale del Partito Democratico e Presidente commissione pari opportunità e diritti civili, Mariangela Padalino consigliere comunale di Noi Moderati, Margherita Mazzoccolo del direttivo Italia Viva e Assessore alle politiche sociali di Pieve Emanuele.
Hanno concluso – con vibranti parole di lotta e di riscatto – l’attivista Tamara Campagnano e Gabrielle Fellus di I respect. L’evento aveva il patrocinio della Comunità Ebraica di Milano, dell’AMPI, dell’ADI, di Woman Care, di Scarpette Rosse.