di Francesco Paolo La Bionda
Il presidente iraniano Ebrahim Raisi è morto lo scorso 19 maggio in seguito allo schianto dell’elicottero su cui stava viaggiando in una regione montuosa nel nord del paese, durante una giornata di fitta nebbia. Nell’incidente sono deceduti anche il ministro degli Esteri Hossein Amir-Abdollahian e altre sei persone.
Raisi, sessantatré anni, di Tabriz, faceva parte dell’ala conservatrice più intransigente all’interno del regime iraniano, molto vicino alla Guida suprema Khāmeneī e considerato il suo potenziale successore. Eletto presidente nel 2021 in elezione considerate fraudolente e non libere dagli osservatori internazionali, Raisi aveva alle spalle una lunga carriera in campo giuridico, durante la quale si era guadagnato il soprannome “il macellaio di Teheran”, quando nel 1988, in veste di magistrato, firmò le condanne a morte di migliaia di oppositori politici del regime.
La sua scomparsa apre una fase di incertezza per l’Iran: il 28 giugno si terranno nuove elezioni per scegliere il suo successore, che potrebbero però diventare l’occasione per nuove proteste come quelle che hanno scosso il paese negli ultimi anni. Il popolo è infatti prostrato da una perdurante crisi economica e dalla repressione sempre più severa del dissenso a opera del regime, e già alle elezioni parlamentari del marzo scorso ha fatto registrare il più alto tasso di astensionismo di sempre alle urne persiane. Sui social sono rimbalzate le immagini e i video di iraniani che, dentro e fuori i confini nazionali, hanno festeggiato la morte del loro presidente.
Tra aggressività tattica e prudenza strategica, la linea su Israele resta invariata
Tuttavia, difficilmente il nuovo vertice della Repubblica Islamica ne cambierà l’attuale linea verso Israele, radicalmente e attivamente ostile allo Stato ebraico ma timorosa delle conseguenze di un’escalation diretta. Già in questi giorni immediatamente successivi all’incidente, infatti, si sono visti elementi di sostanziale continuità con quanto accaduto negli ultimi mesi.
Da un lato, quindi, si sono avute le consuete dimostrazioni pubbliche di odio antisraeliano, con le migliaia di partecipanti ai funerali di Raisi, tenutisi a Teheran il 22 maggio, che hanno intonato le solite grida “morte a Israele”. Alla processione funebre sono stati invitati sia Naim Qassem, vicesegretario generale di Hezbollah, sia Ismail Haniyeh, il leader di Hamas al di fuori di Gaza. Quest’ultimo ha prontamente dichiarato di sentirsi sicuro che l’Iran “continuerà a supportare il popolo palestinese”, che nella visione dell’organizzazione terroristica coincide appunto col sostegno finanziario e militare che in questi anni il paese ha fornito all’organizzazione terroristica.
Dall’altro, le autorità iraniane hanno ufficialmente identificato la causa dell’incidente in un guasto tecnico, senza quindi voler cavalcare i sospetti già circolati in campo antisraeliano che puntavano il dito contro un ipotetico sabotaggio a opera del Mossad, tanto che alcuni ufficiali israeliani avevano dovuto esplicitamente dichiarare che lo Stato ebraico non c’entrava niente con l’accaduto. Del resto, Raisi viaggiava su un Bell 212, un elicottero di fabbricazione americana vecchio di decenni, i cui pezzi di ricambio sono oggi difficili da ottenere per l’Iran a causa delle sanzioni.
L’atteggiamento prudenziale del regime iraniano ne dimostra comunque la volontà di non voler cavalcare la vicenda per alzare il livello dello scontro con Gerusalemme, così come era già avvenuto con l’attacco di missili e droni lanciato dalle forze iraniane contro Israele lo scorso 14 aprile, che non aveva provocato sostanzialmente danni. Un’azione praticamente dimostrativa, come tra le righe aveva ammesso la stessa Guida Suprema Khamenei già una settimana dopo, dichiarando che questioni come il numero di missili abbattuti dalla contraerea israeliana e se fosse stato colpito qualche bersaglio fossero “di secondaria importanza”.
Resta calda la questione nucleare
Lo schianto dell’elicottero nell’immediato ha avuto conseguenze invece sulla questione del nucleare iraniano. La scomparsa del ministro degli Esteri ha infatti forzato una pausa nei negoziati che erano in corso tra il paese e l’Agenzia internazionale per l’energia atomica (IAEA), che solo due settimane prima aveva incontrato il funzionario iraniano per una serie di colloqui. Tuttavia, anche nel momento in cui dovessero riprendere, è difficile che l’Iran si sblocchi dalla sua posizione intransigente, di cui Raisi era un forte sponsor. Anche perché il paese ha ormai raggiunto la piena capacità di assemblare le bombe atomiche. Sempre ammesso, e non concesso, che in segreto non si sia già portato avanti: il parlamentare iraniano Ahmad Bakhshayesh Ardestani, durante un’intervista alla radio, ha dichiarato che a suo parere il paese possiede già armi atomiche, ma lo tiene riservato per continuare a giocare al tavolo delle trattative sull’accordo nucleare.
Ebrahim Raisi alla Duma il 20.1.2022 (foto Wikimedia)