di Nathan Greppi
Alcuni di loro si sforzavano di sorridere e scherzare, nascondendo il dolore che si portano dentro. Altri, invece, una volta entrati nel cortile interno, sono scoppiati in lacrime nel vedere la calorosa accoglienza con la quale sono stati ricevuti. E almeno uno aveva attaccata al cellulare la foto del figlio che non c’è più.
In sintesi, è stata una serata carica di emozioni quella di martedì 28 maggio, quando al Tempio Noam sono giunti circa 60 israeliani che hanno perso i loro figli soldati in guerra, spinti a portare la loro testimonianza agli ebrei milanesi dall’associazione Or La Mishpachot (“Luce per le famiglie” in ebraico), che fornisce assistenza alle famiglie dei caduti. Si tratta del quarto anno in cui l’associazione viene al Noam, ma dopo il 7 ottobre l’evento è diventato ancora più sentito.
Mercoledì 29 maggio le famiglie sono state accolte alla Scuola della comunità ebraica, dove sono stati ricevuti con affetto dai bambini di seconda primaria e dai loro genitori.
Un caloroso benvenuto
Nel cortile interno del tempio, gli israeliani e gli italiani presenti si sono riuniti per cantare tutti insieme canzoni come Hava Nagila, Am Israel Chai e la Hatikwah, accompagnati da un musicista che suonava il clarinetto. Dopodiché, alcuni dei genitori hanno preso la parola, ringraziando la comunità per l’accoglienza ricevuta.
Orly Biton, che il 7 ottobre ha perso la figlia Shir di soli 19 anni, ha raccontato che sua figlia “era una soldatessa di stanza nel kibbutz di Nahal Oz, al confine con Gaza”, quando venne uccisa da quelli che non ha esitato a definire dei mostri. “Insieme a lei, sono morti tanti soldati che con la loro forza e il loro impegno sono riusciti a fermare l’attacco dei terroristi. Hanno sacrificato la loro vita per difendere Israele”.
Ha portato la sua testimonianza anche Noa Buntzel, il cui figlio Amit è caduto il 6 dicembre 2023 a soli 22 anni, mentre combatteva a Gaza; l’hanno sepolto lo stesso giorno in cui si accendeva la prima candela di Chanukkah. “Noi non abbiamo scelto di essere famiglie di soldati caduti. Ma siamo fieri di essere genitori di eroi, che hanno difeso non solo Israele, ma anche la diaspora”. Dello stesso avviso anche il marito di Noa, Yitzhak Buntzel, il quale ha rimarcato come la guerra in corso “riguarda tutti noi”. Si è augurato che “l’anno prossimo non vengano qui nuove famiglie in lutto, ma persone in festa per matrimoni e Bar Mitzvah, e che questa guerra sia l’ultima”.
Le preghiere e la cena
Dopo un breve rinfresco all’aperto e le preghiere per Minchà, i partecipanti all’evento si sono riuniti dentro la sinagoga. Elia Golran, presidente della comunità persiana del Noam, ha raccontato ai presenti che i fondatori del tempio erano ebrei persiani originari di Mashhad, nell’odierno Iran; questi hanno sempre avuto “un amore incondizionato per Israele”, tanto che già nel 1890 c’erano state le prime aliyot a Gerusalemme da parte degli ebrei di Mashhad. Ha poi letto i nomi di tutti i soldati israeliani caduti i cui genitori erano lì presenti, concludendo che i loro nomi “non saranno mai dimenticati”.
Prima della cena si sono tenuti Arvit e una preghiera per i soldati caduti, preceduta dai saluti istituzionali del presidente della comunità ebraica di Milano Walker Meghnagi – “quei ragazzi sono eroi che hanno combattuto per Israele, e per tutti noi”, ha dichiarato -, del vicepresidente della Comunità Ebraica di Milano Ilan Boni e da altre testimonianze dei genitori. Un evento che, nel complesso, ha trasmesso ai genitori in lutto un messaggio tanto semplice quanto fondamentale: non siete soli.
“Abbiamo scelto di continuare a vivere”
Mentre la maggior parte dei convitati era riunita per mangiare tutti insieme nella sala grande, ci siamo spostati in una stanza al piano terra per parlare con tre dei genitori venuti con Or La Mishpachot: Nir e Urit Arzi, il cui figlio Lior era un sergente paramedico ucciso il 3 novembre 2023 a soli 25 anni nel nord di Gaza; e Yehuda Yehoshua, il cui figlio Ido era un comandante dell’unità d’élite Shaldag dell’IAF (Israel Air Force), ucciso il 7 ottobre all’età di 27 anni.
“Abbiamo deciso di venire a parlare perché siamo grati alla comunità di Milano che ci ha dato forza”, ha spiegato Nir Arzi, “e vogliamo ricambiare ringraziando la comunità per tutto ciò che fanno da anni con Or La Mishpachot”. Dello stesso avviso sua moglie Uri, la quale ha detto che “vogliamo ricambiare il vostro abbraccio, ringraziandovi con tutto il cuore”.
Le possibilità che si hanno nella loro situazione, ha spiegato Yehoshua, “sono due: dimenticare, o continuare a vivere la vita. Io ho scelto di continuare a vivere”, ha dichiarato, aggiungendo che ha deciso di partecipare perché è importante “rafforzarci a vicenda”, in quanto secondo lui “questo è ciò che i nostri figli avrebbero voluto che facessimo”.
Nel rivolgersi direttamente alla Comunità Ebraica di Milano, Urit Arzi ha voluto dire che “abbiamo bisogno di tutto l’aiuto che può venire dalla diaspora. Stiamo combattendo per difendere lo Stato d’Israele, e ci serve l’aiuto di tutti gli ebrei per vincere questa guerra”. Mentre Jehuda Yehoshua ha sottolineato l’importanza di questa unità di popolo, ricordando che nel momento in cui si sono ritrovati in pericolo “il religioso ha combattuto al fianco del laico. Tutti hanno combattuto insieme, mettendo da parte i litigi”.