di Pietro Baragiola
Jonny Greenwood, chitarrista del gruppo pop Radiohead (a sinistra nella foto) è stato preso di mira in questi giorni per essersi esibito con l’artista israeliano David “Dudu” Tassa (a destra nella foto) sul palco del Barby Club di Tel Aviv.
Il concerto dal vivo si è tenuto il 26 maggio, il giorno dopo che Greenwood ha partecipato alle proteste a Tel Aviv per il rilascio degli ostaggi israeliani da parte di Hamas, ed ha incluso numerosi appelli alla pace oltre a proporre alcuni pezzi tratti dall’album di canzoni d’amore arabe “Jarak Qaribak” (Il tuo vicino è tuo amico) pubblicato da Greenwood e Tassa nel 2023.
Subito dopo lo spettacolo il movimento filo-palestinese Boycott, Divestment and Sanctions (BDS) ha rilasciato una dichiarazione su X in cui accusava Greenwood di “genocidio d’arte”, aggiungendo: “i palestinesi condannano inequivocabilmente il vergognoso artwashing di Jonny Greenwood sul genocidio commesso da Israele. Chiediamo una pressione pacifica e creativa sulla pagina @radiohead affinché prenda convincentemente le distanze da questa palese complicità nel crimine dei crimini, o affronti misure di base.”
Con questa affermazione il movimento BDS, noto per le pressioni esercitate sugli artisti affinché rifiutino di esibirsi in Israele, ha provocato la reazione di Greenwood che ha risposto prontamente sui suoi profili social rifiutandosi di cedere a “pressioni non progressiste” volte a cancellare il suo tour europeo, previsto per quest’estate al fianco di Tassa.
La dichiarazione di Greenwood
Martedì 4 giugno, Greenwood ha pubblicato una risposta alle dichiarazioni del BDS sul proprio account X, cercando di diffondere non solo le motivazioni per le quali non intende allontanarsi da Tassa ma anche un messaggio di unità e collaborazione trasversale nel mondo dell’arte.
Di seguito riportiamo il testo del post tradotto in italiano:
“Quest’estate, suonando nei festival europei con Dudu Tassa e i Kuwait, in tanti mi hanno chiesto perché lo facessi.
Collaboro con Dudu e scrivo musica con lui dal 2008 – e lavoro privatamente da molto prima.
Penso che un progetto artistico che unisca musicisti arabi ed ebrei sia degno di nota. Ed è importante anche un progetto che ricordi a tutti che le radici culturali ebraiche in Paesi come l’Iraq e lo Yemen risalgono a migliaia di anni fa.
Peraltro, quando si definisce “importante” un’opera artistica si attribuisce una certa serietà all’intera faccenda. In realtà si tratta solo di musicisti provenienti da tutto il Medio Oriente che si rispettano reciprocamente, che lavorano insieme al di là dei confini e che condividono il nostro amore per il lungo catalogo di canzoni arabe, siano esse scritte da compositori musulmani, ebrei o cristiani.
(Forse il più famoso compositore iracheno è stato il nonno di Dudu, uno dei leggendari fratelli Al-Kuwaity, le cui canzoni sono tuttora punti fermi delle stazioni radiofoniche di tutta l’area araba, anche se purtroppo il loro retaggio di ebrei non viene più menzionato).
Altri scelgono di credere che questo tipo di progetto sia ingiustificabile e chiedono di mettere a tacere questo – o qualsiasi altro – sforzo artistico compiuto da ebrei israeliani. Ma non posso unirmi a questo appello: mettere a tacere i cineasti, musicisti, danzatori israeliani quando il loro lavoro va in tournée all’estero – soprattutto se, su sollecitazione dei loro colleghi occidentali, mi sembra poco progressista. Anche perché queste persone sono inevitabilmente i membri più progressisti di qualsiasi società.
Sono grato di lavorare con gli straordinari musicisti che ho incontrato nel corso di questo progetto, che mi sembrano tutti molto più coraggiosi di coloro che stanno cercando di farci chiudere, o che ora tentano di attribuire una sinistra motivazione ulteriore all’esistenza della band. Non ce n’è una: siamo musicisti che onorano una cultura condivisa, ed io sono coinvolto in questo da quasi 20 anni.
In ogni caso, nessuna arte è così “importante” da fermare tutta la morte e la sofferenza che ci circonda. Come può esserlo? Ma non fare nulla sembra un’opzione peggiore. E mettere a tacere gli artisti israeliani perché sono nati ebrei in Israele non sembra un modo per raggiungere una comprensione tra le due parti di questo conflitto apparentemente senza fine.
Ecco perché faccio musica con questo gruppo. Siete liberi di non essere d’accordo o di ignorare quello che facciamo, ma spero che ora abbiate capito qual è la vera motivazione e possiate reagire alla musica senza sospetti o odio.”
Greenwood è personalmente coinvolto nella causa israeliana essendo sposato con l’artista Sharona Katan, la cui famiglia quest’anno ha perso un nipote mentre prestava servizio nell’IDF. Poco dopo i massacri del 7 ottobre, il chitarrista ha twittato: “porgo le mie condoglianze alle famiglie degli innocenti frequentatori di concerti, dei bambini e dei civili di tutte le età uccisi, violentati o rapiti in questi massacri. È impossibile non disperarsi.”
I Radiohead e Israele
Il gruppo Radiohead, di cui Greenwood fa parte, ha una lunga storia con Israele. La loro mega hit “Creep” è diventata un successo della radio israeliana e la band ha continuato ad esibirsi nel Paese per tutta la carriera, nonostante le proteste di fan e attivisti.
In seguito alle critiche diffuse per il loro concerto del 2017 a Tel Aviv, il frontman della band, Thom Yorke, ha dichiarato che il suo gruppo non si schiera con il movimento BDS e che “suonare in un Paese non equivale ad appoggiarne il governo”.
Durante quello stesso tour, Dudu Tassa & the Kuwaitis hanno aperto per la band in America. In seguito il produttore dei Radiohead, Nigel Godrich, ha contribuito personalmente al mixaggio dell’album Jarak Waribak di Tassa e Greenwood, definendolo “uno stupendo messaggio di pace e amore che ha riunito vocalist e musicisti provenienti da tutto il Medio Oriente”.