di Sofia Tranchina
In un mondo dove l’antisemitismo cresce in modo allarmante, la comunità ebraica internazionale risponde con una straordinaria coesione e determinazione. Il 3 luglio, la CEO Edna Weinstock-Gabay del Keren Hayesod – organizzazione che supporta le Comunità Ebraiche all’Estero e lo sviluppo dello Stato di Israele – ha organizzato un incontro con la Commissione Europea per la lotta contro l’antisemitismo. La partecipazione della coordinatrice Katharina von Schnurbein sottolinea l’importanza di un’azione congiunta a livello transnazionale per affrontare le sfide poste dall’antisemitismo e per delineare strategie efficaci.
Sam Grundwerg, presidente mondiale di Keren Hayesod, ha ribadito l’importanza di contrastare la demonizzazione di Israele e degli ebrei. «Si parla molto del problema delle università statunitensi, ma il Keren Hayesod si deve concentrare sulla diaspora nella sua interezza, ed è importante restare in contatto con le comunità di tutto il mondo,» ha spiegato.
Testimonianze e Preoccupazioni Globali: Inquadrare le Sfide Attuali e le Risposte Necessarie
L’antisemitismo, storicamente, cambia faccia ma non sostanza: durante la pandemia, gli ebrei sono stati accusati di trarre beneficio dal virus. Negli ultimi due anni, la Russia ha utilizzato propaganda nazista contro l’Ucraina e ha bombardato i memoriali dell’Olocausto che l’Ucraina aveva creato come parte del suo processo di democratizzazione, venendo a patti con il proprio ruolo nella Shoah.
Oggi, la sfida principale da affrontare è la polarizzazione e la mancanza di comunicazione nei luoghi dedicati all’educazione. L’eruzione di antisemitismo dopo il 7 ottobre e le celebrazioni per l’attacco perpetrato da Hamas stanno diventando gradualmente sempre più accettati e normalizzati. Le giovani generazioni spingono l’argomento «senza informarsi adeguatamente, cadendo in comparazioni errate con l’Olocausto e chiamando gli ebrei nazisti», spiega von Schnurbein.
La scarsa comprensione della storia della Shoah e di quella di Israele evidenzia la necessità di un rinnovato impegno educativo. È stato richiesto agli stati membri dell’UE di sviluppare strategie nazionali per fornire materiali e formazione migliori. «Sappiamo che le cose si mettono male quando gli ebrei non vedono per sé stessi un futuro qui in Europa e tengono d’occhio le valigie casomai servissero».
La Commissione Europea per la lotta contro l’antisemitismo è stata fondata nel 2015 dopo l’attacco a Charlie Hebdo, quando «i politici europei si sono resi conto che il problema non riguardava solo gli ebrei, ma anche i nostri valori democratici, ed era già tardi». Oggi, lavora per proteggere i valori democratici.
«Non sono ebrea, ma sin dalla mia infanzia in Germania i miei genitori mi hanno educata sulla responsabilità dei tedeschi nei confronti del popolo ebraico. Sono appena tornata dall’università Ben Gurion e sono commossa dalla resilienza degli israeliani nella loro volontà di rialzarsi dopo gli eventi del 7 ottobre e superare la situazione pur lottando quotidianamente per gli ostaggi ancora trattenuti da Hamas», ha raccontato von Schnurbein.
Durante l’incontro, si sono analizzate le problematiche legate all’antisemitismo nelle università europee e il linguaggio della demonizzazione, temi che hanno suscitato un ampio dibattito tra i partecipanti.
Yohanna Arbib Perugia, presidente del Keren Hayesod di Roma e Presidente del Consiglio Mondiale dei Fiduciari dell’organizzazione, ha sottolineato con urgenza la necessità di interrompere i finanziamenti a entità pro-Hamas presenti nelle università europee: «dobbiamo preoccuparci per le giovani generazioni. A livello europeo, è imperativo trovare un modo per fermare i finanziamenti a tali organizzazioni».
Peter Horovitz, dall’Australia, ha condiviso video e foto che mostrano manifestanti a Sidney, dal 9 ottobre, che incitano alla violenza con frasi come “gas the jews”, e graffiti con scritte minacciose come “morite ebrei”. La sua preoccupazione si è accentuata quando ha riferito che la polizia ha suggerito più volte agli ebrei di “stare a casa” o di “evitare di indossare abiti ebraici” piuttosto che garantire una protezione adeguata a questa minoranza.
Dall’Uruguay, Sergio Oberlander ha descritto come l’ostilità crescente verso Israele da parte dei governi di sinistra influenzi negativamente l’opinione pubblica, portando anche individui precedentemente non antisemiti a percepire Israele in termini estremamente negativi.
Rimane essenziale nella lotta all’antisemitismo la battaglia linguistica e semantica, enfatizzata da Richard Prasquier, presidente del Consiglio di rappresentanza delle istituzioni ebraiche francesi, che ha messo in luce come termini come “genocidio”, “carestia” e “sionismo” siano spesso usati impropriamente come armi contro gli ebrei, ricordando le tragiche conseguenze storiche di tali accuse: «abbiamo già visto in passato cosa succede quando gli ebrei sono additati come ‘popolo di genocidi’».
Ariella Rohringer, da Toronto, ha esposto il problema della cancel culture che intimidisce i non-ebrei spingendoli verso un “antisemitismo tossico”. Figlia di sopravvissuti all’Olocausto, ha come missione di fare di più per la comunità ebraica per assicurarsi che non accada mai più ciò che è accaduto ai suoi genitori.
Dal Sudafrica, Philip Krawitz, membro del Consiglio Direttivo dell’Agenzia Ebraica e amministratore della Fondazione Sudafricana per l’Olocausto e il Genocidio, ha condiviso la sua esperienza di vita sotto continua minaccia, con una taglia considerevole sulla sua testa, e ha lamentato la mancanza di riconoscimento ufficiale della correlazione tra antisemitismo e antisionismo nel suo Paese.
L’incontro ha evidenziato la necessità di un approccio olistico per affrontare l’antisemitismo, ed educare sulla vita ebraica e «sui contributi ebraici nel nostro DNA europeo», come spiegato da von Schnurbein. La collaborazione tra le comunità ebraiche e le istituzioni europee è cruciale per combattere l’odio e proteggere i valori democratici: «credo che non debba ricadere sugli ebrei il compito di combattere l’antisemitismo, ma per essere efficiente la Commissione deve continuare a collaborare con le comunità e dialogare sui problemi del momento e sulle possibili soluzioni,» ha concluso von Schnurbein.
Le difficoltà crescenti hanno spinto molti ebrei, che in passato si erano distaccati dal giudaismo, a riabbracciare le proprie radici e riscoprire con orgoglio la loro eredità culturale e religiosa.