La Francia ebraica allo specchio del voto: davvero il suo futuro è sempre più fosco?

Mondo

di Ilaria Myr
«Marine Le Pen sconfitta». «Francia: la destra non sfonda». «La destra si può battere» (Elly Schlein, PD).
«La verità è che nessuno può cantare vittoria» (Giorgia Meloni, FdI).
Sono solo alcuni dei titoli e delle dichiarazioni uscite subito dopo l’annuncio dei risultati ufficiali delle elezioni legislative in Francia, che si sono svolte su due turni, e che hanno visto il Nuovo Fronte Popolare, costituito dalle forze di sinistra, guadagnare più seggi e il Rassemblement National di Marine Le Pen, uscito vincitore al primo turno, arrivare terzo, addirittura dietro al partito del presidente Emmanuel Macron. Un risultato, però, che non vede un vincitore con la maggioranza assoluta e che sta dividendo l’opinione pubblica francese. A questo si aggiungano le frizioni interne al Nuovo Fronte Popolare, con le diverse componenti  in disaccordo su premier e programmi, e l’ingovernabilità è servita. Perché quello che unisce il blocco di sinistra – di cui è capofila La France Insoumise del discusso Jean-Luc Mélenchon (nella foto)- è un’idea sola: fare sbarramento all’estrema destra del RN.

I risultati del secondo turno delle elezioni legislative francesi

Il voto ebraico

Al secondo turno, dunque, i francesi si sono trovati a dover scegliere fra un blocco di destra e uno di sinistra, con i partiti più estremisti in testa. Ma come hanno reagito le diverse anime della comunità ebraica francese (ed europea)? Il dibattito è stato molto acceso e di fatto la comunità ebraica francese si sente minacciata dai fondamentalisti islamici, ma è anche scettica nei confronti della nuova narrazione filo-israeliana dell’estrema destra del Rassemblement National.

Non a caso il Consiglio Rappresentativo delle Istituzioni Ebraiche di Francia (CRIF), aveva esortato la comunità a respingere entrambi gli schieramenti. Jean-Luc Mélenchon, nel suo discorso di vittoria, ha promesso di riconoscere uno Stato palestinese, aumentando ulteriormente le preoccupazioni del 92% degli ebrei francesi, convinti che la retorica dell’estrema sinistra abbia contribuito all’aumento dell’antisemitismo.

Dal canto suo, Marine Le Pen ha cercato di migliorare l’immagine del suo partito, rinunciando all’antisemitismo, denunciando l’attacco di Hamas e adottando una posizione pro-Israele. Tanto che di fronte all’ascesa di La France Insoumise, alcune importanti voci ebraiche hanno invitato a votare per il partito di Le Pen. Una è quella di  Serge Klarsfeld, noto cacciatore di nazisti in Francia, che ha motivato la sua decisione con la difesa della memoria ebraica e di Israele, ritenendo che l’estrema sinistra sia accusata di antisemitismo e violento antisionismo per attirare i voti degli elettori di origine maghrebina e islamica.

Ma ha fatto lo stesso anche il controverso intellettuale Alain Finkielkraut, che ha dichiarato di esservi costretto non essendoci alternative, descrivendo questa decisione come un «incubo». «Preferirei la destra all’antisemitismo del Fronte Popolare – ha dichiarato in un’intervista sul Corriere della Sera  –. Povera Francia, lacerata dagli estremi. Io sono un conservatore, vedo la lingua, la cultura, la nazione disfarsi».

 

Intervista a Georges Bensoussan

Georges Bensoussan

 

Come dunque hanno votato gli ebrei francesi?
Lo abbiamo chiesto a Georges Bensoussan, storico francese di origine marocchina e da anni attento osservatore delle tendenze sociali in Francia, legate in particolare alla componente musulmana.

Si aspettava un risultato come quello uscito dal secondo turno?

No. Solo negli ultimi giorni ho capito che il Rassemblement National avrebbe potuto non vincere, visto il battage mediatico martellante che ha avuto contro, tutto giocato sulla paura degli elettori nei confronti di un partito definito fascista. Ma non pensavo che il Nuovo Fronte Popolare sarebbe arrivato in testa. Detto questo, si deve precisare che l’avanzata di questa coalizione non è considerevole come si crede, perché i risultati ci dicono che il primo partito in Francia è il RN, mentre i gruppi che compongono il blocco di sinistra hanno tutti ottenuto meno deputati del partito della Le Pen. La maggior parte delle persone, poi, non considera che nel primo turno del 30 giugno il Rassemblement National ha avuto più voti del blocco di sinistra (33,14% contro 27,99%, ndr). Quello che è sorprendente, e che viene annunciato a gran voce sui giornali, è che ha vinto la coalizione di sinistra, quando in realtà il paese è molto a destra, fronte rappresentato dal RN, dalla destra repubblicana e da una grande parte del partito del presidente Macron. Quindi il paradosso a cui assistiamo è che la sinistra grida alla vittoria quando in realtà sociologicamente ha perso le elezioni. Basta vedere come quest’anno abbia preso meno voti di 20 anni fa, quando gli elettori erano meno, 38 milioni contro i 49 milioni di oggi. Ciò è dovuto sicuramente al sistema elettorale francese, ma anche al fatto che fra i due turni il ritornello dominante sui media è stato di fare sbarramento all’estrema destra e perché il Fronte Popolare è una coalizione basata sul rifiuto del RN, e non su un progetto politico condiviso. Il RN non solo è il primo partito in Francia, ma è quello in maggiore espansione: ha avuto 55 deputati in più della precedente assemblea, e in tre anni è passato dai sette deputati nel 2021 ai 142 di oggi. Una crescita enorme…

Come spiegare una crescita tale del RN?

Marine Le Pen

 

La politica borghese francese delle grandi metropoli, che sia di destra o sinistra, non sa più parlare alle classi popolari e a buona parte della classe media, che si sentono abbandonate e non rappresentate dalle classi borghesi delle grandi città, sempre di più ripiegate su sé stesse e sul proprio modo di vivere. Attenzione, però: non è l’immigrazione che spiega il voto al RN, quanto l’abbandono dei servizi pubblici – posta, mezzi di trasporto, polizia – nelle zone più periferiche, tanto che è emerso che più ci si allontana da una stazione ferroviaria più è forte il voto al RN. Basta guardare i risultati per capire che i voti di Parigi sono esattamente il contrario di quelli del resto della Francia: nella capitale il RN è al 7% mentre nelle altre zone del Paese è fra il 35 e il 38%. Di fatto è la classe borghese che è stata rifiutata dal voto al RN, ma questo voto popolare non è andato ai partiti della sinistra, sentita come non più rappresentante delle classi popolari: una sinistra “bobo” (da ‘bourgeois’ e ‘bohemian’, ndr), che vota per i matrimoni gay, per l’accoglienza degli immigrati (che vanno però a insediarsi nei quartieri più poveri) e che non si occupa assolutamente delle questioni che interessano le realtà più svantaggiate. Quindi la scelta di votare RN è popolare e antiborghese, e non, come si è voluto fare credere, un voto fascista. Il risultato è che le classi popolari hanno l’impressione che il loro voto sia stato scippato.

Cosa ha pesato di più per gli ebrei: la minaccia dell’estrema destra o quella dell’estrema sinistra?

In realtà il RN di Marine le Pen non è più percepito da molti ebrei come una minaccia, come un partito di estrema destra né tantomeno fascista: lo considerano piuttosto populista-autoritario. Inoltre, se è vero che nelle file del RN ci sono degli antisemiti (ad aprile, pochi giorni dopo lo stupro di una dodicenne ebrea con movente antisemita, ha dovuto ritirare il sostegno a uno dei suoi candidati, Joseph Martin, che aveva pubblicato un messaggio antisemita sui social network nel 2018. ndr), è anche vero che la sua dirigenza ha rotto con l’antisemitismo e dal 7 ottobre ha avuto delle posizioni impeccabili nei confronti di Israele.

Quello che è lampante è che il voto ebraico rispecchia esattamente quello dei francesi: l’establishment borghese rappresentato dalle istituzioni ha fatto appello a fare sbarramento, non votando né per l’una né per l’altra parte (vedi l’appello del Crif, ndr), ma le comunità “di base” hanno votato RN o Reconquete di Éric Zemmour. Quindi le comunità ebraiche popolari non ascoltano più le indicazioni delle istituzioni ebraiche, così come le classi popolari non seguono più le direttive della classe borghese veicolate dai media benpensanti. La discriminante è l’antisemitismo: ma mentre RN ha fatto – sinceramente o meno non ci è dato sapere – una pulizia degli elementi antisemiti, non si può dire lo stesso della France Insoumise. E poi ci sono gli interessi di classe, e come gli altri francesi molti ebrei non vedono i propri interessi rappresentati e non vogliono una Francia invasa dagli immigrati e islamizzata.

Manifestazione di LFI contro Israele e per Gaza (AP Photo/ Christophe Ena)

 

Secondo lei l’antisemitismo, molto spesso camuffato da antisionismo, nella sinistra e in LFI, rappresenta una minaccia per le comunità ebraiche?

Assolutamente sì, una minaccia evidente e forte. Non sarebbe però giusto dire che tutto il blocco di sinistra è antisemita e neanche che lo è LFI. Quel che è certo è che soprattutto il partito di Mélenchon sfrutta il fatto che la popolazione francese è sempre più musulmana: gli ultimi dati del Ministero degli interni stimano che un francese su 5 sia musulmano. Mélenchon ha fatto il calcolo che alle presidenziali del 2022 gli mancavano 300.000 voti per arrivare al secondo turno, e gli strateghi del partito hanno capito perfettamente che li avrebbero trovati nelle banlieue musulmane. Da qui l’ossessione per Gaza, il promesso riconoscimento della Palestina, la presenza di Rima Hassan (l’avvocatessa franco-palestinese e attivista antisraeliana, diventata eurodeputata con LFI alle ultime europee e fotograsfata con la kefiah al collo vicino a Mélenchon, ndr). Non penso neanche che lui sia antisemita, ma sicuramente gioca sull’antisemitismo, sulla Palestina e su Gaza per portare i voti al suo partito, ben sapendo che i pregiudizi antisemiti sono molto forti nelle famiglie musulmane in Francia. Di fatto si serve dell’antisemitismo come di un trampolino elettorale.

Per gli ebrei francesi è dunque molto pericoloso perché demograficamente non pesano più nulla: si pensa siano circa 400.000 (ma le statistiche etniche sono vietate in Francia), mentre circa 70.000 hanno lasciato il Paese fra il 2020 e il 2023 per Israele, e molti altri per gli Stati Uniti o l’Australia, e si sa che ci sono oggi più di 15.000 richieste di aliyà per Israele in attesa. Quindi si stima che in 25 anni un quinto degli ebrei se ne sarà andato altrove.

Dal canto suo, l’elettorato non musulmano di LFI ha una grande simpatia per la causa palestinese, e quando ci sono dichiarazioni antisemite del partito non vuole vederle, preferendo parlare di antisionismo. Molto forte è il nocciolo profondamente antiisraeliano, che vede in Israele il seguito della colonizzazione francese in Algeria, il colonizzatore bianco, razzista. Cosa che – e in pochi lo dicono -, permette di sbarazzarsi del senso di colpa per la Shoah: “voi ebrei, vittime di ieri, siete i carnefici di oggi, quindi lasciateci stare con la Shoah, non vi state comportando meglio dei nazisti”.

Cosa  augura all’ebraismo francese? Pensa che gli ebrei debbano andare in Israele, come hanno invitato a fare alcuni personaggi pubblici francesi e israeliani, oppure che possano continuare a vivere in Francia?

La soluzione non è quella di partire: si deve rimanere, difendendo la vita ebraica e prendendo le misure necessarie per contrastare le manifestazioni di antisemitismo. Ma certo non è facile, vista anche la crescita della popolazione arabo-musulmana. Allo stesso tempo, Israele non è una soluzione per tutti: il costo della vita è altissimo e sia le persone meno abbienti  che la classe media non possono permettersi molte cose, come acquistare un appartamento, andare a mangiare fuori, ecc… Quindi gli ebrei francesi sono condannati alla doppia pena: o restano in Francia e subiscono l’antisemitismo, oppure vanno in Israele ma, se non hanno abbastanza mezzi economici, vivono una vita povera. Per questo molti scelgono altre mete.

Per chi rimarrà in Francia, l’unica possibilità sarà diventare invisibile, vivere raggruppati e nel modo più discreto possibile: si toglierà la mezuzà dalle porte, non si metterà il ciondolo con il Magen David o la kippà, e quando si ordinerà un Uber si darà un nome francese. Già ora è una comunità che si sta abituando a vivere all’ombra. E lo sarà sempre di più.

Anche la piazza e la partecipazione alle manifestazioni contro l’antisemitismo ci dimostrano che il clima sta cambiando in peggio. Quello che è sorprendente è che dopo lo stupro della ragazzina ebrea di 12 anni, l’80% dei partecipanti scesi in piazza era costituito da ebrei; soltanto 30 anni fa, nel 1990, per la violazione del cimitero di Carpentras (era stato profanato un cadavere) c’era un milione di persone nelle strade, tra cui moltissimi non ebrei… Persino il Presidente della Repubblica François Mitterrand era sceso in piazza. Invece, alla manifestazione del novembre scorso contro l’antisemitismo Emmanuel Macron ha rifiutato di partecipare.

Gli ebrei a mano a mano stanno capendo che dietro alle belle parole, l’apparato statale li sta abbandonando: non per antisemitismo, ma a causa del rapporto di forza con il mondo musulmano. In questo contesto gli ebrei non contano più niente.