Grazie al fatto che Israele esiste, gli ebrei non sono più vittime dei tempi bruti e dei venti di follia

Taccuino

di Paolo Salom

[Voci dal lontano occidente] Abbiamo avuto altri momenti difficili in passato. Ma questo 5784 promette di essere il più duro da decenni a questa parte. Eppure, mentre si avvicinano Rosh haShanah, Kippur e la stagione delle feste autunnali, nonostante le difficoltà che il futuro ci presenterà, è forse giunto il momento di rasserenarci un pochino. Perché dico questo? Lo scorso novembre, a poche settimane dal 7 ottobre, ho avuto l’occasione di parlare con Lior Keinan, vice ambasciatore di Israele a Roma. Allora, lo ricordo bene, eravamo tutti in stato di choc. E ricordo la sorpresa sul volto del diplomatico che cercava di infondere nell’interlocutore (io) la giusta dose di fiducia, nonostante l’impazzimento del lontano Occidente. “È presto per pensare a come sarà il dopo – mi aveva spiegato tra l’altro parlando del conflitto a Gaza -. Ma se vogliamo aprirci alla speranza, e dobbiamo farlo anche in queste ore buie, dobbiamo essere onesti e dire che una parvenza di normalità potrà esserci soltanto quando Hamas uscirà dall’equazione”.

Ecco: queste parole, pronunciate all’inizio di una guerra non voluta da Israele e comunque atroce per tutti, potevano sembrare propaganda, wishful thinking, mentre tutto sembrava precipitare nell’assurdo di una ferocia che stava avvolgendo il mondo intero, con le frange di estremisti pro palestinesi impegnate ad attaccare gli ebrei ovunque si trovassero. Eppure, il vice ambasciatore aveva visto con obiettività la situazione e, oggi, possiamo dire che aveva ragione: nonostante il duro prezzo pagato, le vittime civili, i soldati e i riservisti bruciati nei loro anni più belli in difesa di Israele, si comincia a intravedere una luce diversa attorno allo Stato ebraico. E di conseguenza anche attorno a noi.

È fallito il tentativo dell’Iran di isolarlo (di fronte ai missili lanciati dagli ayatollah si sono mobilitati Paesi come gli Stati Uniti, la Gran Bretagna, la Francia). Sono falliti tutti i movimenti di pressione per separare le comunità della Golah dai fratelli in Terra di Israele. Hamas è ridotta al lumicino. E, soprattutto, nonostante la paura, gli ebrei hanno scelto di resistere, combattere (con le parole) e non cedere alla tentazione di lasciare tutto o nascondersi di fronte all’oscena rappresentazione di un antisemitismo “moderno” studiato e riproposto dai soliti noti.

Insomma, possiamo dire che il peggio è alle nostre spalle? No. Non è il momento di fare previsioni. Il futuro non è conoscibile. Però è onesto dire che quest’anno ci ha messo tutti a dura prova. Ma, anche grazie al fatto che Israele è lì, nella Terra dei nostri Padri e delle nostre Madri, gli ebrei non sono più vittime dei tempi bruti e dei venti di follia che spazzano il mondo come se l’umanità non avesse imparato nulla dal passato.

Dunque, sì, viviamo un’era di cambiamenti grandi e terribili (a volte). Ma la nave che ci trasporta ha dimostrato di saper affrontare le onde più alte. Scusate le metafore. Credo che un briciolo di retorica, in un momento come questo, sia giusto concedersela. Auguro a tutti Shanà tovà umetukà: sia davvero dolce e sereno per ciascuno di noi. Am Israel chai.