Israel Joshua Singer: Willy e lo scontro tra le generazioni

Libri

di Esterina Dana

Volf Rubin, ebreo in fuga dalla Polonia antisemita e dalla tradizione chassidica della sua famiglia, approda negli Stati Uniti dell’American dream. Un ebreo che, per inclinazioni, volontà di autodeterminazione, rifiuta l’ebraismo e la sua comunità

 

Willy, un prezioso inedito di Israel Joshua Singer edito da Giuntina (postfazione e traduzione dallo yiddish di Enrico Benella), è stato presentato il 9 maggio al Salone del libro di Torino. Si tratta di un romanzo breve, singolare rispetto alle corpose saghe de I fratelli Ashkenazi (1937) e La famiglia Karnowski (1943). Risale agli anni Trenta e fu pubblicato a puntate sulla rivista ebraica americana Der Forverts nel 1936. Vi si affrontano temi cari allo scrittore quali il confronto generazionale padre-figlio e l’incontro-scontro dell’ebraismo con la modernità, che destruttura i capisaldi della famiglia ebraica tradizionale, e offre una duplice narrazione che deriva dall’osservanza ortodossa e dal dissenso eterodosso. Racconta di Volf Rubin, un ebreo polacco in fuga dalla Polonia antisemita e dalla tradizione chassidica della sua famiglia, e del suo approdo negli Stati Uniti dell’American dream. Il protagonista differisce dal tradizionale modello dell’ebreo sradicato in perenne pericolo; rappresenta, al contrario, un ebreo che, per inclinazioni, volontà e anelito all’autodeterminazione, rifiuta l’ebraismo della sua comunità di appartenenza. Diverso dai suoi correligionari smunti e barbuti, Volf è alto e possente, ama la vita all’aperto, la cura dei campi e l’allevamento del bestiame; in particolare ama i cavalli. La sua natura taciturna e refrattaria allo studio della Torà, l’attrazione per la vita militare e l’inclinazione alla lotta sembrano più adeguati a un goy che a un ebreo. Di contro suo padre, Reb Hersh Rubin, è un uomo di campagna suo malgrado.

Nato per le dispute sulla Torà, invoca Dio ogni giorno di portarlo via dalla campagna e ricondurlo tra gli ebrei. Volf è il cruccio di suo padre; questi, che lo vorrebbe pio, non riesce a concepire di aver generato un estraneo con cui è sempre in conflitto (“Non so proprio come sia possibile che io abbia avuto un figlio come lui”; “Sembra proprio che non abbia niente della fisionomia degli ebrei.”). Insofferente alla vita nello shtetl e soffocato dalle aspettative del padre, Volf decide di emigrare negli Stati Uniti dove spera di realizzare i suoi sogni agricoli. Il primo approccio con New York, “la città tutta pietra e fumo”, lo sconvolge. Si trasferisce quindi nella campagna americana, dove si integra facilmente in una società di contadini semplici e di poche parole, che lo apprezzano. Nella sua fattoria, conduce con Esther, la devota moglie non ebrea, una vita serena ed economicamente solida.

È felice, finalmente lontano dai rimproveri del padre e dagli ebrei polacchi dediti al chassidismo. Per i suoi vicini è Willy Robin. Ma il passato rimosso torna a bussare alla sua porta. Da un articolo di giornale sui resoconti di guerra, “Grossi problemi nel vecchio mondo”, legge e apprende della difficile condizione degli ebrei dell’Est-Europa. Assalito dai ricordi e dalla nostalgia («La sua casa, i genitori, i fratelli e le sorelle, i parenti, i conoscenti, tutti quelli che in tutti quegli anni passati alla fattoria aveva ormai dimenticato gli tornarono in mente all’improvviso […]

Una nostalgia acuta e lancinante gli strinse il cuore»), rintraccia i genitori che lo davano per morto e li accoglie nella sua casa. L’arrivo alla fattoria del padre Hersh riporta con sé le antiche tensioni e i rimproveri legati all’ebraismo chassidico, creando in Willy un conflitto tra la sua nuova vita e le radici che aveva cercato di lasciarsi alle spalle. Ritrovatosi di nuovo immerso nella medesima realtà a lui estranea e da cui era fuggito, “pensò di andarsene da lì come già dallo shtetl, quando all’improvviso se ne era andato di casa di notte e aveva passato la frontiera. I cavalli (nella stalla) allungarono il muso per farsi carezzare e nitrirono languidamente verso di lui”.

Qui, come in altri romanzi, Singer rievoca, attraverso il suo protagonista, la propria memoria della patria perduta, mentre la Storia lo ha sospinto verso un mondo nuovo, ricco di promesse e opportunità (Israel Joshua Singer si era trasferito negli Stati Uniti nel 1933). La conclusione sospesa del romanzo evidenzia l’irrisolvibile problematica di fondo della narrativa dello scrittore: l’eterno “dissidio tra emancipazione e sottomissione, tra libertà e repressione” della propria identità ebraica. Perché Willy, sebbene assimilato senza sensi di colpa, conserva un legame inscindibile con il proprio passato. Meritevole di nota il lavoro a corredo di Enrico Benella: un extratesto che arricchisce il valore del romanzo e chiarisce il fascino di una “lingua mista” come lo yiddish.

Israel Joshua Singer, Willy, Giuntina, Firenze, traduzione e postfazione di Enrico Benella, pp. 152, euro 18,00