di Marina Gersony
Rachel Aviv, nel suo libro, ci guida attraverso le storie di individui che hanno affrontato difficoltà mentali cercando di trovare un senso alla loro esistenza, partendo dalla sua vicenda personale
I meandri della malattia e del disagio mentale. Il sentirsi straniero a se stesso. Quello di Rachel Aviv è un libro profondamente intelligente che indaga un tema attualissimo, considerando che in Italia solo un giovane su dodici riporta uno stato di benessere mentale pieno e soddisfacente. Le condizioni psicologiche sono allarmanti non solo in Italia, ultima in Europa per salute mentale (AXA Mind Health Report 2023, indagine condotta da Ipsos), ma anche in quei Paesi colpiti dalla pandemia, dalla guerra, dai cambiamenti climatici, dalle difficoltà occupazionali e dall’incertezza per il futuro.
Rachel Aviv, nata a New York nel 1981, è una giornalista pluripremiata del New Yorker. Nel suo libro, ci guida attraverso le storie di individui che hanno affrontato difficoltà mentali cercando di trovare un senso alla loro esistenza. Il punto di partenza è la stessa storia dell’autrice: poco dopo il sesto compleanno, Aviv smise di mangiare. Era stato durante lo Yom Kippur mentre la sua famiglia stava osservando il tradizionale digiuno. Di ritorno a scuola, rifiutava il cibo, ma Kippur era solo un pretesto per qualcosa di più grave. La diagnosi di anoressia nervosa, tipicamente associata alla lettura di riviste che idealizzano la magrezza, suonava strana: Rachel non sapeva ancora leggere. Durante il ricovero, incontrò Hava, una dodicenne le cui circostanze erano simili. Entrambe provenivano da famiglie ebree con genitori in ostile divorzio, ma mentre Rachel tornò presto alla normalità, Hava rimase impigliata nella sua malattia rimanendo fino alla fine estranea a se stessa.
Rachel non solo supera il suo disturbo alimentare, ma utilizza la sua esperienza per investigare come altre persone abbiano lottato con le loro identità a causa delle malattie mentali. Stranieri a noi stessi raccoglie una serie di storie di coraggio e resilienza. C’è Ray, medico disturbato che svuota i suoi risparmi per trovare un equilibrio mentale e poi vendicarsi dei suoi analisti. Laura, che si ribella contro la pressione di essere la figlia perfetta e dopo anni di terapia e diciannove psicofarmaci diversi non sa più chi è senza medicine. E Bapu, che scappa dal marito imposto per seguire il suo amore per Krishna, a costo di lasciare i suoi figli. Questi racconti, sebbene unici, condividono un tema comune: la battaglia per comprendere e definire la propria identità al di là delle etichette imposte dalla società e dalla Medicina. Rachel Aviv pone una domanda fondamentale: quanto le nostre storie personali, influenzate dalle diagnosi mediche e dalle aspettative sociali, possono condizionare la nostra mente? La sua ricerca evidenzia come le narrazioni possano trasformare una vita, portando a conseguenze profonde e spesso drammatiche.
Il libro è stato accolto con entusiasmo dalla critica. Elif Batuman, scrittrice e giornalista del New Yorker ha affermato: «Stranieri a noi stessi cambierà il modo in cui ogni lettore guarda alla malattia, al rapporto delicato fra diagnosi e identità». La scrittura di Aviv, priva di pietismo e ricca di empatia, mostra che è spesso la nostra percezione delle storie che ci raccontiamo a definire la nostra salute mentale. Leggendo questo libro, esploriamo gli angoli più nascosti della nostra psiche, ottenendo nuove prospettive nel delicato e difficile esercizio del saper vivere.
Rachel Aviv, Stranieri a noi stessi, Iperborea, traduzione Claudia Durastanti, pp. 288, euro 19,00