Colpiti i vertici di Hamas e Hezbollah: Israele si avvicinerà alla testa del serpente?

Mondo

di Sofia Tranchina

 

I tentacoli della piovra  e la testa del serpente: eliminati nel giro di due giorni i due leader del terrorismo Ismail Haniyeh (Hamas) e Fuad Shukr (Hezbollah), Israele avanza nella sua rivalsa contro la Repubblica Islamica.

 

Dopo aver giurato al mondo di chiudere la partita con Hamas solo una volta eliminati i leader responsabili del massacro del 7 ottobre, Israele è riuscito a riscattare la sua reputazione da chi non lo riteneva all’altezza delle proprie aspirazioni e, mercoledì mattina, ha ucciso Ismail Haniyeh e una sua guardia del corpo.

 

Dichiarato dal 31 gennaio 2018 “terrorista globale appositamente designato” in quanto “leader chiave di un gruppo terroristico sponsorizzato e diretto dall’Iran che sta minacciando la stabilità del Medio Oriente e minando il processo di pace”, Ismail Haniyeh faceva parte di Hamas sin dalla sua fondazione durante la prima intifada, quando la carta costitutiva giurò la distruzione di Israele.

Con la vittoria politica di Hamas alle elezioni parlamentari del 2006, diventò Primo ministro palestinese, e nel 2017 diventò capo dell’ufficio politico di Hamas.

Sopravvissuto a numerosi tentativi di omicidio, nel 2019 ha lasciato la striscia di Gaza e per cinque anni ha vissuto tra il lusso del Qatar e della Turchia. Lì, come volto politico di Hamas, è diventato il negoziatore principale del gruppo terroristico e ha gestito le trattative con la convinzione di poterne uscire vincitore, mentre la sua controparte armata Yahia Sinwar si nasconde nei tunnel di Gaza, da cui gestisce le milizie ancora attive.

Poco dopo il massacro del 7 ottobre, Haniyeh ha dichiarato ad Al Jazeera che tutti gli accordi di normalizzazione che gli Stati arabi hanno firmato con Israele «non porranno fine a questo conflitto», e ha affermato: «siamo pronti al martirio per il bene della Palestina, per il bene di Dio Onnipotente e per il bene della dignità di questa nazione». Tre mesi dopo aver perso tre figli in un attacco nella Striscia di Gaza, il suo amore per il martirio si è abbattuto sulla sua testa.

Haniyeh si trovava a Teheran per partecipare alla cerimonia di giuramento del neoeletto presidente Masoud Pezeshkian (durante la quale il pubblico ha gridato “morte all’America e morte a Israele”). Lì, la sua residenza è stata colpita in un attacco attribuito a Israele.

 

La Repubblica Islamica – che occupa l’Iran dal 1979 e lotta con il mondo libero per espandere i propri interessi politici ed economici sotto l’ombrello della globalizzazione della sharia – ha sempre posto la distruzione di Israele in cima alla lista delle priorità, guadagnandosi l’appellativo di “testa del serpente”. Così, in una guerra strategica che va avanti da 45 anni, ha finanziato e addestrato i militanti di Hamas, Hezbollah e Houthi, e solo il 14 aprile ha attaccato Israele direttamente, senza avvalersi dei suoi proxies, lanciando 320 munizioni (droni e missili).

Dal canto suo, Israele ha compiuto – si dice – una serie di attacchi mirati ad altissima precisione contro figure di spicco della Repubblica Islamica, tra cui lo scienziato nucleare Mohsen Fakhrizadeh (nel 2020) e il colonnello Sayad Khodayee, ufficiale dell’IRCG impegnato in omicidi e rapimenti internazionali dell’Unità 840 (nel 2022).

 

Dopo la conferma della morte di Haniyeh da parte dell’IRGC, il presidente Pezeshkian ha dichiarato ai media iraniani che l’Iran “difenderà la sua integrità territoriale, la sua dignità, il suo onore e il suo orgoglio, e farà sì che gli occupanti terroristi si pentano del loro atto codardo”, lasciando presumere una prossima escalation.

Anche l’ayatollah Ali Khamenei – leader supremo della Repubblica Islamica – ha affermato che è suo dovere vendicare l’omicidio avvenuto nella capitale iraniana e che Israele ha tirato su di sé “una punizione severa”. Il massimo organo di sicurezza iraniano si è riunito per decidere la strategia di tale punizione.

 

Hamas, lungi dall’accettare la sconfitta, «dichiara al grande popolo palestinese, al popolo delle nazioni arabe e islamiche e a tutti i popoli liberi del mondo che il fratello leader Ismail Haniyeh è un martire», e la sua uccisione «porterà la battaglia a nuove dimensioni e avrà gravi ripercussioni».

L’alto funzionario di Hamas Mousa Abu Marzouk ha detto alla TV Al-Aqsa che l’omicidio è stato «un atto codardo che non rimarrà impunito», mentre Sami Abu Zuhri ha reiterato che Hamas sarebbe abbastanza forte da sopravvivere alla morte di uno qualsiasi dei suoi leader: «Stiamo conducendo una guerra aperta per liberare Gerusalemme e siamo pronti a pagare qualsiasi prezzo. Questo assassinio da parte dell’occupazione israeliana del Fratello Haniyeh è una grave escalation che mira a spezzare la volontà di Hamas e la volontà del nostro popolo e a raggiungere falsi obiettivi. Confermiamo che questa escalation non riuscirà a raggiungere i suoi obiettivi. Hamas è un concetto e un’istituzione, non persone. Hamas continuerà su questa strada nonostante i sacrifici e siamo fiduciosi della vittoria».

 

Persino Abu Mazen, presidente dell’Autorità Nazionale Palestinese generalmente opposta a Hamas, ricordandosi che in certe situazioni tenere i piedi in due scarpe è sempre utile per farsi voler bene, ha denunciato l’uccisione di Haniyeh come “codarda” e «ha esortato i palestinesi e le sue forze a unirsi, a rimanere pazienti e a resistere fermi contro l’occupazione israeliana». Seguendolo, le fazioni palestinesi in Cisgiordania hanno indetto uno sciopero e manifestazioni di massa.

 

Tra le voci di condanna, suona particolarmente beffarda quella del ministro degli esteri russo Mikhail Bogdanov che, avendo la Russia stretto legami sia con il leader iraniano Khamenei sia con altri leader arabi, ha definito l’attacco un “omicidio politico” e per questo “assolutamente inaccettabile”. Sembra il ladro di asini di La Fontaine.

 

L’attacco al responsabile della strage di Majdal Shams

 

L’altra promessa che Israele è riuscito a mantenere è quella di rispondere severamente all’attacco da parte di Hezbollah che il 27 luglio ha ucciso a Majdal Shams 12 bambini drusi. Invitato dagli alleati americani a mantenere la moderazione, Israele ha colpito in un attacco aereo a Beirut il comandante militare più anziano di Hezbollah, Fuad Shukr, vicino al Consiglio della Shura di Hezbollah.

 

Si tratta della prima volta che Israele colpisce direttamente Hezbollah in Libano da quando, 10 mesi fa, questi ha iniziato i suoi lanci quotidiani di razzi e missili ‘in solidarietà con Gaza’.

 

Secondo Al Hadath, Shukr è morto e il suo corpo è in ospedale. Ma Hezbollah fatica ad ammettere il colpo subìto e non si rassegna a dichiararne il decesso: «il grande comandante fratello Fuad Shukr (Hajj Mohsen) era presente», ma «le squadre di soccorso stanno ancora lavorando per rimuovere le macerie… e siamo ancora in attesa dei risultati di questa operazione per quanto riguarda la sorte del comandante».

Durante l’attacco a Beirut hanno perso la vita anche una donna e due bambini.

 

Shukr, consigliere diretto di Nasrallah, era stato indicato come uno dei suoi possibili successori nel ruolo di capo di Hezbollah. Noto anche con il suo nome di battaglia al-Hajj Mohsin, ha svolto un ruolo chiave nell’attentato del 1983 a Beirut in cui, con cinque tonnellate di esplosivo nella caserma dei Marines, vennero uccisi 241 soldati americani. Anche lui designato come «terrorista globale» dal Dipartimento di Stato americano, aveva sulla sua testa una taglia di 5 milioni di dollari.

 

Il ministro della Difesa israeliano Yoav Gallant ha dichiarato che l’attacco ha dimostrato che il sangue del popolo d’Israele ha un prezzo, e che «non c’è posto fuori dalla portata delle nostre (israeliane) forze per raggiungere questo scopo».

 

Israele non può iniziare oggi una guerra totale in Libano, e neppure il Libano sembra averne l’intenzione, ma Hezbollah ha respinto gli inviti alla calma e alla moderazione e ha risposto con 25 razzi, uccidendo un uomo di 30 anni nella comunità cooperativa del Kibbutz Hagoshrim.

 

Foto in alto: © IDF; wikicommons