Israele e Taiwan, una storia comune di sopravvivenza

Mondo

di Nathan Greppi

Sin da prima del 7 ottobre, le relazioni sino-israeliane sono sempre state assai ambigue: se sul piano economico la Cina è il principale partner commerciale d’Israele in Asia, sul piano politico il governo di Pechino ha fortemente attaccato l’intervento israeliano a Gaza, oltre ad aver ospitato dei negoziati tra Hamas e Fatah in vista di una loro possibile riconciliazione. Per contro, lo Stato Ebraico ha inviato una delegazione parlamentare a Taiwan, oltre a firmare una dichiarazione congiunta all’ONU per condannare la Cina per violazioni dei diritti umani contro gli uiguri.

 

 

Proprio Taiwan sembra essersi avvicinata ulteriormente ad Israele: dopo il 7 ottobre, tra i primi leader mondiali ad aver condannato l’attacco di Hamas vi furono sia l’allora presidente taiwanese Tsai Ing-wen che l’attuale presidente, Lai Ching-te. Mentre Abby Lee, rappresentante di Taiwan a Tel Aviv, è persino andato a lavorare come volontario nei campi agricoli e ha incontrato i familiari degli ostaggi.

Una delle principali ragioni di questa vicinanza tra Taipei e Gerusalemme (sebbene non manchino manifestazioni propal neanche a Taiwan) risiede nel fatto che così come gli israeliani devono da decenni difendersi da vicini ostili, così i taiwanesi vivono con il costante timore di essere invasi dalla Cina, che non ha mai riconosciuto l’indipendenza dell’isola e spera prima o poi di riuscire a riconquistarla.

Per capire come si sono evolute le relazioni tra i due paesi e cosa potrebbe accadere qualora le minacce cinesi dovessero concretizzarsi, Mosaico ne ha parlato con Chris King: nato e cresciuto in Cina (il nome è uno pseudonimo), dove nel 1989 ha preso parte alle proteste studentesche contro il regime stroncate dal massacro di Piazza Tienanmen, oggi vive negli Stati Uniti. Dal 2020 è ricercatore senior presso il MEMRI (Middle East Media Research Institute), dove è tra i curatori del Chinese Media Studies Project.

Quali erano i rapporti tra Taiwan e Israele prima del 7 ottobre?
Per rispondere a questa domanda, penso che sia necessario chiarire il contesto storico dello sviluppo nelle relazioni tripartite tra Israele, la Repubblica di Cina (come si autodefinisce Taiwan, ndr) e la Repubblica Popolare Cinese.

Prima del massacro del 7 ottobre, il governo di Taiwan si teneva ad una certa distanza da Israele. Sebbene le relazioni tra i due paesi fossero generalmente buone, queste mancavano di un forte legame ed erano largamente influenzate e limitate da fattori legati al PCC (Partito Comunista Cinese). ​​​​

Già all’inizio del marzo 1949, poco dopo la nascita d‘Israele, il governo della Repubblica di Cina riconobbe ufficialmente Israele. Il 9 gennaio 1950, sulla base del principio della diplomazia pragmatica, il governo israeliano riconobbe ufficialmente la neonata Repubblica Popolare Cinese, diventando il primo paese del Medio Oriente a riconoscere il regime comunista.

A quel tempo, il regime del PCC, fortemente influenzato dall’URSS, presentava una forte convergenza con la politica estera sovietica. Siccome Israele all’inizio della sua fondazione era stato sostenuto dall’Unione Sovietica, il PCC riconobbe e accolse con favore la creazione di Israele. Dopo la guerra d‘indipendenza nel 1949, i rapporti tra l‘URSS e Israele si deteriorarono, finché le relazioni diplomatiche non furono interrotte. Di conseguenza, anche la Repubblica Popolare Cinese smise di riconoscere Israele e appoggiò gli Stati arabi.

Da allora, sebbene Israele abbia cercato di stabilire relazioni diplomatiche formali con il governo cinese, Pechino lo ha a lungo ignorato. Ad esempio, nel 1955 il governo israeliano inviò una nota al Ministero degli Affari Esteri cinese dicendo che era “pronto a stabilire relazioni diplomatiche con la Cina”, ma i cinesi rifiutarono.

Allo stesso tempo, anche se le relazioni tra Israele e Pechino erano state difficili per molto tempo, Israele aveva evitato contatti aperti con il regime del Kuomintang a Taiwan per ragioni strategiche, e non aveva stabilito relazioni diplomatiche. Israele e la Repubblica di Cina di Taiwan non hanno instaurato relazioni diplomatiche per rispettive considerazioni: oltre al riconoscimento della Repubblica Popolare Cinese da parte d‘Israele, Taiwan adottò anche una posizione vicina agli arabi e distante da Israele, basata sulla necessità di ottenere il sostegno diplomatico degli Stati arabi e di competere con Pechino sul piano delle relazioni.

Dagli anni ’70 in poi, Israele e Taiwan hanno stretto forti relazioni in vari campi come la tecnologia missilistica, quella nucleare, il settore aerospaziale, l’agricoltura, gli investimenti e il commercio. Ma questa relazione è rimasta fredda e distante.

 

Cosa è cambiato dopo il 7 ottobre, e nel corso della guerra attuale?
Come dice un proverbio cinese, “Chi è amico nel bisogno è davvero un amico”. Il governo di Taiwan è stato tra i primi a condannare Hamas dopo il massacro del 7 ottobre. Ciò dimostra a Israele chi sono i suoi veri amici. La vicinanza tra i due paesi, basata su valori condivisi nel campo democratico occidentale e sulla simile esperienza di minaccia da parte dei regimi dittatoriali che li circondano, è cresciuta rapidamente. C’è chi ha sostenuto che Israele e Taiwan condividano un profondo legame: entrambi difendono fermamente la democrazia e la libertà, nonostante siano circondati da vicini autoritari.

 

Cosa può dirci invece dei rapporti tra Israele e la Cina?
A mio parere, l’atteggiamento amichevole di Israele nei confronti di Pechino in passato si basava inizialmente sul principio diplomatico del realismo, ma era anche dettato dalla gratitudine nei confronti del governo cinese per aver teso una mano agli ebrei durante la Seconda Guerra Mondiale. Il problema è che coloro che hanno aiutato gli ebrei durante la guerra erano nel governo del Kuomintang al potere in Cina all’epoca, e questo governo si è rifugiato a Taiwan dopo il 1949.

L’aiuto agli ebrei da parte della Cina non ha nulla a che fare con il Partito Comunista Cinese. Ad esempio, il governo di Taiwan ha rilasciato dei “visti a vita” ad un gran numero di ebrei europei in fuga dalla Germania nazista. Inoltre, nel 1939 il governo nazionalista della Repubblica di Cina pianificò la creazione di un insediamento ebraico a Tengchong, nella provincia dello Yunnan. Al contrario, Pechino finora si è astenuta dal condannare Hamas dopo il massacro del 7 ottobre.

Penso che l’orientamento politico di Pechino sia radicato nella sua storia, e miri principalmente agli Stati Uniti. Ai tempi di Mao Zedong, per opporsi al cosiddetto colonialismo, questi mise in atto una serie di politiche in Medio Oriente, sostenendo i movimenti nazionalisti nel mondo arabo e in particolare favorendo l’OLP (Organizzazione per la Liberazione della Palestina), che è stata fondata solo nel 1964, nonostante il fatto che non esistesse il concetto di uno Stato palestinese al momento della nascita d‘Israele.

Nel 1965, i rappresentanti dell’OLP visitarono Pechino. Durante l’incontro, Mao paragonò Israele a Taiwan, dicendo che i due paesi erano stati creati dall'”imperialismo” per contenere gli arabi e i cinesi. Da queste parole si poteva già vedere che Pechino, per esigenze strategiche e di politica internazionale, considera Israele un paese ostile come gli Stati Uniti.

Sebbene da allora la Cina abbia migliorato i rapporti con gli Stati Uniti e l’Occidente, stabilendo relazioni diplomatiche con Israele nel 1992, l’inerzia della sua politica in Medio Oriente, le vaste differenze ideologiche e la necessità di sopprimere le forze islamiche radicali in patria hanno reso impossibile per Pechino schierarsi con Israele nei momenti critici. È chiaro che questo atteggiamento è fondamentalmente guidato dalla necessità della Cina di indebolire il dominio degli Stati Uniti in Medio Oriente.

 

Proprio come Israele, Taiwan affronta da decenni lo stigma di paesi che negano il suo diritto di esistere. In che modo questo ha influenzato la loro relazione?
L’isolamento di Taiwan e l’indifferenza della comunità internazionale in realtà sono molto più grandi di quelli verso Israele. Fondata su un destino simile e su valori condivisi, la società taiwanese è piena di ammirazione per Israele, e sperare di diventare l’Israele dell’Oriente, di superare la propria difficile situazione, scongiurare la minaccia dei regimi autoritari, difendere il proprio destino e proteggere la libertà e la democrazia duramente conquistate. Israele ha anche ricevuto un forte sostegno da parte di Taiwan sulla scia del massacro del 7 ottobre: l’ambasciatrice de facto di Israele a Taiwan, Maya Yaron, ha detto ai giornalisti a Taipei che “Taiwan è un vero amico di Israele, e apprezziamo davvero tutto ciò che Taiwan ci ha dato”. Questi legami comuni hanno portato ad un significativo miglioramento delle relazioni tra i due paesi.

Sebbene la Cina sia vicina all’Iran e ai palestinesi in politica estera, gli scambi commerciali con Israele sono stati molto redditizi per anni. Come spiega questa contraddizione?
Come ho detto poc’anzi, il sostegno della Cina alla Palestina e le sue strette relazioni con l’Iran sono motivati principalmente dalla necessità di giocare un ruolo geopolitico in contrapposizione agli Stati Uniti. Sin dall’epoca di Mao, il governo cinese ha cercato di tenere testa agli americani e di intervenire gradualmente negli affari mediorientali per rafforzare la propria voce in Medio Oriente.

Riferendomi alla Dichiarazione di Pechino per porre fine alla divisione della Palestina e rafforzare l’unità nazionale palestinese, firmata alla fine di luglio, credo che Pechino voglia far riappacificare le due principali fazioni palestinesi. Tuttavia, questa dichiarazione è più propensa a rafforzare la posizione di Fatah e a indebolire la posizione di Hamas. Pechino ha mantenuto a lungo stretti legami con Fatah, accettandolo tacitamente come legittimo rappresentante della Palestina. Sebbene il PCC non abbia definito Hamas un’organizzazione terroristica, il suo atteggiamento nei loro confronti è stato relativamente freddo e diffidente. A causa delle esigenze di Pechino di contrastare il terrorismo e il radicalismo islamico interno, questa politica serve alla Cina per mantenere buoni rapporti con il mondo arabo e islamico.

Xi Jinping, l’attuale leader del PCC, emula Mao in molti modi, ma i due sono fondamentalmente diversi. Xi è un realista, mentre Mao era un idealista e un pensatore fanatico. Credo che Xi abbia una chiara comprensione della forza politica, tecnologica e militare di Israele. Anche se il suo regime denuncia sempre Israele verbalmente, sta essenzialmente mettendo in scena uno spettacolo di fronte al mondo, per placare i paesi arabi. Ma dietro le quinte non osa essere troppo duro con Israele, a maggior ragione in un momento in cui Pechino è ansiosa di migliorare le sue relazioni con gli Stati Uniti e l’Occidente, anche perché al momento l’economia cinese è in difficoltà.

 

In una sua recente analisi pubblicata sul sito del MEMRI, ha detto che Taiwan non può difendersi militarmente dalla Cina senza il sostegno americano. Quale lezione dovrebbero imparare i taiwanesi dal modello israeliano?
Taiwan vorrebbe essere un alleato fondamentale degli Stati Uniti come lo è Israele, ma non è riuscita a raggiungere questo obiettivo. Penso la ragione di ciò sia in parte dovuta al fatto che Taiwan si trova difronte ad una Cina enorme, e le due parti presentano un ampio divario, nella forza militare come in altri ambiti.

Taiwan dovrebbe certamente seguire il modello israeliano e assicurarsi che tutto il popolo sia pronto a combattere unito da una solidarietà comune. Ma quello che abbiamo visto finora è che i taiwanesi hanno speranze irrealistiche di essere protetti dagli Stati Uniti e dai loro alleati. L’attuale sistema di servizio militare taiwanese difficilmente può garantire che Taiwan abbia abbastanza soldati in caso di guerra.

Il modello israeliano è difficile da replicare a Taiwan, dove la maggior parte dei taiwanesi oggi si accontenta di una vita di poca ricchezza e manca dello spirito militare degli israeliani. L’esercito taiwanese crede fondamentalmente che finché le proprie truppe possono ritardare l‘avanzata dell’esercito cinese, si può considerare un successo, e il successivo confronto militare potrebbe contare solo sull’intervento statunitense. In altre parole, non sono ottimista sul fatto che i taiwanesi possano imparare ad applicare il modello israeliano.

Che peso potrebbero avere sul sostegno americano a Taiwan le elezioni di novembre?
Alcuni analisti ritengono che Pechino stia osservando da vicino le elezioni statunitensi. Se Trump verrà rieletto, il PCC potrebbe avere in programma di fare un accordo con lui, perché Trump non è interessato a Taiwan; di recente, ha detto in un’intervista che Taiwan dovrebbe pagare per la protezione americana. Durante il primo mandato di Trump come presidente degli Stati Uniti, ero preoccupato che potesse fare accordi economici con Pechino e abbandonare Taiwan. Fortunatamente, in seguito tra gli Stati Uniti e la Cina è scoppiata una guerra commerciale, facendo sì che questo scenario non si verificasse.

Qualora il Partito Democratico dovesse vincere le elezioni, Xi si è già preparato in anticipo. Alla fine di ottobre dello scorso anno, il governatore della California Gavin Newsom ha visitato la Cina ricevendo un’accoglienza straordinaria da parte di Xi. È chiaro che Pechino sta cercando di mandare un segnale amichevole all’astro nascente del Partito Democratico.

Quanto è probabile che la Cina tenti di invadere Taiwan nel breve termine? E cosa dovrebbe fare l’Occidente se ciò accadesse?
Non è mai facile fare previsioni del genere, perché ci sono molte variabili. Dipende anche se la Russia deciderà o meno di appoggiare militarmente la Cina. Ma c’è una costante: Xi Jinping cercherà sicuramente di riprendersi Taiwan mentre è in carica. Penso che se le autorità di Taiwan non cercheranno di smantellare lo status quo, è improbabile che la guerra scoppi in un anno o due. Alla base di questo giudizio vi è il fatto che Xi ha commesso errori di valutazione, a partire dal malgoverno in patria durante la pandemia di Covid che ha causato gravi danni all’economia cinese e rimandato i suoi piani per l‘annessione di Taiwan. Ha bisogno di tempo perché la Cina recuperi le proprie forze e raggiunga un relativo vantaggio militare sugli Stati Uniti e i loro alleati a livello locale, e un vantaggio militare schiacciante su Taiwan. Solo quando queste condizioni saranno soddisfatte, Xi potrà decidere di conquistare Taiwan con la forza.​

Credo che l’opzione migliore per l’Occidente sia quella di prevenire la guerra, che si tratti di integrare coalizioni militari o di sanzioni economiche contro la Cina. Tra questi, il mezzo più efficace per controllare e frenare l’ambizione di Xi di impadronirsi di Taiwan è quello economico: in altre parole, rendersi indipendenti con fermezza e gradualità dall’economia cinese. Se questa dovesse andare male, la presa del PCC sul potere in Cina potrebbe essere scossa. Solo così Xi potrebbe rinunciare all’idea di impadronirsi di Taiwan.