Alla Convention democratica, i genitori di Hersh Polin-Goldberg portano il dramma degli ostaggi a Gaza

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di Redazione
Decine di migliaia di persone sono scoppiate in canti di “Riportateli a casa” (‘Bring them home’), si sono alzate in piedi e sono rimaste in piedi per tutto il discorso tenuto dai genitori dell’ostaggio americano-israeliano Hersh Goldberg-Polin nella terza serata della Convention Nazionale Democratica a Chicago.

Come racconta il Times of Israel, dopo giorni di speculazioni sull’eventualità che gli organizzatori della DNC offrissero uno spazio di parola a una delle famiglie degli ostaggi americani presenti in città per la convention – e sul fatto che un discorso del genere avrebbe messo in luce le spaccature all’interno del partito sulla guerra tra Israele e Hamas a Gaza – il silenzio attento e rispettoso che ha avvolto lo United Center durante il discorso di Jon Polin e Rachel Goldberg-Polin ha fornito una risposta.

La coppia ha suscitato un applauso travolgente da parte delle decine di migliaia di partecipanti alla DNC, mentre affermava che è il momento per Israele e Hamas di raggiungere un accordo per il cessate il fuoco e il rilascio degli ostaggi, riconoscendo il costo umano della guerra sui civili sia a Gaza che in Israele.

“In un Medio Oriente infiammato, sappiamo che l’unica cosa che può allentare immediatamente la pressione e portare la calma nell’intera regione è un accordo che riporti a casa questo gruppo eterogeneo di 109 ostaggi e ponga fine alle sofferenze dei civili innocenti di Gaza”, ha dichiarato Jon.

Durante i nove minuti che hanno trascorso sul palco, Jon e Rachel sono sembrati offrire ai delegati democratici la speranza che un accordo sia ancora possibile, se non necessario. “Il momento è adesso”, ha affermato Jon.

Rachel, con gli occhi pieni di lacrime e visibilmente commossa, ha iniziato il suo discorso condividendo la storia di suo figlio di 23 anni, uno dei 109 ostaggi rapiti il 7 ottobre e ancora detenuti a Gaza.

Adattando il suo discorso, pronunciato innumerevoli volte, al particolare pubblico dello United Center, Rachel ha fatto notare che “come il Vicepresidente Kamala Harris, Hersh è nato a Oakland, in California”, mentre le foto di suo figlio venivano mostrate sul maxischermo sopra di lei.

Rachel ha ricordato che 45 americani sono stati uccisi nel massacro di quasi 1.200 persone il 7 ottobre e che otto americani sono tra le persone ancora prigioniere di Hamas e di altri gruppi terroristici a Gaza.

L’avambraccio sinistro di Hersh è stato fatto saltare da una granata lanciata in un rifugio antibomba sul ciglio della strada, dove lui e altre 27 persone si erano nascoste dopo l’inizio dell’attacco.

“È stato caricato su un camioncino e portato via dalla sua vita, da me e da Jon, a Gaza”, ha raccontato Rachel. “Da allora, viviamo su un altro pianeta”.

Il padre di Hersh ha poi ringraziato i membri del Congresso di entrambi i partiti, e in particolare l’amministrazione Biden, per gli sforzi compiuti per ottenere un accordo sugli ostaggi.

L’elogio era in contrasto con la frustrazione che molti familiari di coloro che sono tenuti prigionieri hanno ripetutamente rivolto al Primo Ministro Benjamin Netanyahu, che hanno accusato di aver vanificato gli sforzi per garantire un accordo sugli ostaggi al fine di mantenere la sua coalizione, in cui l’estrema destra si oppone a tale accordo con Hamas.

Ma il messaggio dei Goldberg-Polin era privo di critiche.

“Siamo anche profondamente grati a voi, ai milioni di persone che negli Stati Uniti e in tutto il mondo hanno inviato amore, sostegno e forza alle famiglie degli ostaggi. Ci avete fatto respirare in un mondo senza aria”, ha detto Jon, che, come sua moglie, portava ‘320’ scritto con pennarello nero su un pezzo di nastro adesivo bianco attaccato alla camicia, un numero che hanno dolorosamente aggiornato ogni nuovo giorno che il loro figlio ha trascorso in cattività.

La gratitudine è stata accompagnata da un messaggio severo: “Questo è un convegno politico, ma la necessità di riportare a casa il nostro unico figlio e tutti gli ostaggi più cari non è una questione politica. È una questione umanitaria”, ha detto Jon tra gli applausi della folla.

“C’è un eccesso di agonia da tutte le parti del tragico conflitto in Medio Oriente. In una gara di dolore, non ci sono vincitori”, ha continuato. Nella nostra tradizione ebraica diciamo: “Ogni persona è un intero universo. Dobbiamo salvare tutti questi universi”.

 

 

(Foto in alto: Jon e Rachel Polin. Screenshot)