di Roberto Zadik
Solo un autore originale e, spesso, assai polemico come il regista israeliano Amos Gitai poteva parlare di guerra senza mostrare immagini belliche ma mettendo in dialogo due colossi come Albert Einstein e Sigmund Freud. Accade nella sua nuova fatica Why War (perché la guerra) che verrà presentato all’imminente Mostra del Cinema di Venezia sabato sera 31 agosto nella categoria delle pellicole fuori concorso.
Ovviamente come spesso accade a Gitai, il più famoso regista dello Stato ebraico nel mondo, i media, dal sito di Variety, al Corriere della Sera all’Ansa, stanno già parlando di questo film e anche stavolta la sua opera farà riflettere e anche molto discutere. Meno sferzante del durissimo Kadosh, ritratto al vetriolo del mondo ortodosso, lontano dalle immagini di guerra del suo Kippur e dalle audaci ricostruzioni storiche del suo coinvolgente Last Day, riflessione amara sull’omicidio del premier Rabin, stavolta egli si concentra sull’assurdità dei conflitti e della violenza. Il regista, infatti, mette in luce un fatto poco noto, ossia l’ interazione, tramite una fitta corrispondenza, fra due massimi esponenti del pensiero ebraico del Novecento come il fisico e pensatore Einstein, noto oltre che per la teoria della Relatività anche per pregiate opere filosofiche come “Il lato umano”, e Sigmund Freud, punto di riferimento della psicanalisi.
Ma come si conobbero e cosa si dissero queste due eminenti personalità? Come racconta la pellicola tutto iniziò nel 1931 quando la Società delle Nazioni interpellò Einstein e gli chiese di pensare ad un possibile interlocutore con il quale discutere su un quesito da lui formulato. Curiosamente, proprio mentre stava per scoppiare la furia nazista, egli scelse il tema della guerra e decise di contattare Freud, esperto indagatore degli abissi dell’animo umano per avere da lui una risposta. Ne nacque una serrata corrispondenza e una forte amicizia partendo da interrogativi di alto spessore come il senso della guerra e da cosa nasca il desiderio di violenza nell’essere umano. Pellicola profonda e fortemente etica, con un cast composto da bravi attori come Yael Abecassis, notevole la sua interpretazione in Kadosh, e Irene Jacob, famosa, negli anni ’90, per le sue collaborazioni con registi importanti come Kenneth Branagh e l’esistenzialista polacco Kieslowski.
In un’intervista pubblicata sul Corriere della Sera, Gitai rivela alcuni interessanti dettagli sul suo nuovo film, quali aver scelto una trama in cui riflettere sulla guerra senza mostrare immagini di battaglie o scontri: il regista ha infatti sottolineato come esse rafforzino gli istinti peggiori come “la rabbia e il desiderio di vendetta e siano pericolose” e che “la forza del cinema e delle parole siano invece estremamente positive e persuasive”.
Autore controverso e, spesso, molto divisivo, voce controcorrente e indagatore nelle ferite dello Stato ebraico con una forza espressiva e una schiettezza rare, Gitai il prossimo 11 ottobre compierà settantaquattro anni e quest’anno celebra trentacinque anni di carriera, da quando nel 1989 esordì col suo Berlin Jerusalem. Nell’intervista al Corriere egli ha sottolineato il suo spirito battagliero e analitico dicendo “amo le contraddizioni non mi spaventano” e il suo desiderio di creare consapevolezza con la cultura e la riflessione, come ha sempre fatto in tutto il suo cinema.